Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18935 del 10/04/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 18935 Anno 2013
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: BARBARISI MAURIZIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

D’Aprile Alessandro

n. il 25 agosto 1977

avverso
la sentenza 31 ottobre 2011 — Corte di Appello di Lecce, sezione distaccata di Ta-

ranto;
sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. Maurizio Barbarisi;
udite le conclusioni del rappresentante del Pubblico Ministero, in persona del dr.

Giovanni D’Angelo, sostituto Procuratore Generale della Corte di Cassazione, che ha
chiesto il rigetto del ricorso con condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali;

Data Udienza: 10/04/2013

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima Sezione penale

Svolgimento del processo
1. — Con sentenza deliberata in data 31 ottobre 2011, depositata in cancelleria
il 23 gennaio 2013, la Corte di Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, in
parziale riforma della sentenza 15 dicembre 2009 del Giudice dell’Udienza preliminare del Tribunale di Taranto che aveva dichiarato D’Aprile Alessandro e D’Aprile
Luigi Antonio responsabili dei reati loro ascritti, il primo di lesioni personali aggra-

omicidio aggravato) nonché di porto e detenzione di arma clandestina, il secondo
degli stessi reati ed anche del reato di lesioni personali aggravate ai danni di Ettorre Davide, concesse le attenuanti generiche a D’Aprile Luigi Antonio, valutate con
giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti di cui al capo concernenti le lesioni personali al Franchini, riduceva la pena inflitta alla pena di anni tre e mesi
quattro di reclusione ed C 400,00 di multa, confermando la condanna del D’Aprile
Alessandro alla pena di anni cinque e mesi otto d reclusione ed C 800,00 di multa.
1.1. — Secondo la ricostruzione del fatto operata nella sentenza gravata, a seguito di un diverbio, nella notte tra il 30 aprile e lI 10 maggio 2009, con i responsabili del Centro sociale Clororosso in Taranto che non avevano consentito a D’Aprile
Francesco di entrare gratuitamente a sua richiesta, quest’ultimo, facendo uso di
una pistola cal. 6.35, con matricola abrasa, esplodeva alcuni colpi d’arma da fuoco
all’indirizzo del Franchini attingendolo più volte agli arti inferiori. D’Aprile Luigi Antonio, accortosi che li fratello era stato smascherato dal Franchini che gli aveva tolto il passamontagna indossato nell’occorso venendone anche disarmato, aggrediva
a sua volta Ettorre Davide, prima con le mani, e, successivamente, con un coltello
con il quale feriva al volto la vittima.
1.2. — Il giudice di merito richiamava, onde pervenire alla formulazione del
giudizio di responsabilità, il dato probatorio consistito dalla parziale confessione di
entrambi gli imputati, dalle conforme dichiarazioni testimoniali delle persone presenti al fatto, dagli esiti delle intercettazioni ambientali e dal rinvenimento della pistola utilizzata nella sparatoria.
2. — Avverso il citato provvedimento, tramite il proprio difensore avv. Mario
Calzolaro, ha interposto tempestivo ricorso per cassazione D’Aprile Alessandro
chiedendone l’annullamento per violazione di legge e vizi motivazionali.
In particolare sono stati sviluppati dal ricorrente quattro motivi:

Pubblica udienza: 26 febbraio 2013 — D’Aprile Alessandro — RG: 30646/12, RU: 15;

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vate ai danni di Franchini Riccardo (così diversamente qualificato il reato di tentato

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima

Sezione penale

a) con il primo motivo di dogllanza veniva rilevata la violazione dell’art. 81 cpv
cod. pen.; il giudice aveva errato nell’indicare nel porto di arma clandestina il reato
più grave che doveva essere invece individuato in quello di ricettazione;
b) con il secondo motivo di doglianza veniva lamentato il mancato riconoscimento del rapporto di specialità tra il porto e la detenzione d’arma clandestina; il

zione posto che la condotta di detenzione, in carenza della prova che l’arma sia stata in precedenza detenuta, è stata contestuale al porto;
c) con il terzo motivo di impugnazione è stato censurato il mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 5 della L. 895/67 per il solo fatto che l’arma utilizzata nell’occorso, una cal. 6.35, fosse clandestina;
d) con il quarto motivo di dcrglianza veniva rilevata la violazione dell’art. 63 cod.
pen. nella fattispecie poiché ricorrevano più circostanze a effetto speciale (la recidiva e quella di cui al capo A), il giudice avrebbe dovuto applicare solo quella più grave.

Motivi della decisione
3. — Il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.
3.1 — Il primo motivo di ricorso è fondato ma deve essere tuttavia ugualmente
respinto. Il giudice di merito ha effettivamente errato nella indicazione del reato più
grave che, proprio per quanto indicato dal ricorrente, per la pena edittale stabilita,
va individuato nel reato di ricettazione e non in quello di porto d’arma clandestina.
A parità per vero di pena edittale detentiva nel minimo e nel massimo (due anni e
otto anni) il reato di cui all’art. 23 comma 4 L. 110/75 prevede la multa, prima della modifica introdotta con il D. Lgs 26 ottobre 2010 n. 204, da euro 154 a euro
1549, mentre la ricettazione (ritenuta come ipotesi di cui al comma primo giusto il
tenore della sentenza gravata) ha come pena edittale pecuniaria da C 516 a C
10.329. Deve tuttavia rilevarsi che il ricorrente non ha alcun interesse all’accoglimento del suo gravame in quanto il medesimo condurrebbe a una reformatio in

pejus non consentita peraltro nella fattispecie in carenza dell’impugnativa del Pubblico Ministero.
3.2 — Il secondo motivo di gravame è invece privo di pregio e va rigettato.

Pubblica udienza: 26 febbraio 2013 — D’Aprile Alessandro — RG: 30646/12, RU: 15;

delitto di porto illegale d’arma avrebbe dovuto ritenersi assorbito in quello di deten-

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima Sezione penale

3.2.1 — Occorre osservare che le norme incriminatrici della detenzione e del
porto (illegale) d’arma non si trovano in rapporto di specialità tra loro e, di regola,
concorrono. Vi può essere assorbimento nel solo caso in cui si riscontri piena coincidenza temporale tra la detenzione e il porto della medesima arma. Tale ipotesi è
peraltro residuale e, anche in pura linea di fatto, non rispondente all’id quod ple-

rumque accidlt, poiché è normale che l’agente acquisti prima la disponibilità dell’arma e poi, in relazione a situazioni contingenti sopravvenute, la porti con sé. Ne

proposito non si configura un onere probatorio a carico dell’imputato, incompatibile
con il sistema processuale, ma bensì un onere di allegazione, nel senso che, in
mancanza di specifica deduzione della concreta contemporaneità delle due condotte, il giudice non è tenuto a effettuare verifiche e può attenersi al criterio logico della normale anteriorità della detenzione sul porto (cfr. Cass., Sez. 1, 20 dicembre
2001, n. 4490, rv. 220647, Lo Russo; Sez. 1, 11 giugno 1996, Zavettieri).
È dunque corretta la decisione adottata dal giudice del fatto nel caso di specie,
poiché vi è oltretutto la prova in atti (contrarla all’assunto difensivo) secondo cui la
pistola è stata detenuta anche successivamente all’episodio di cui trattasi, atteso
che è stata fatta recuperare dal terzo fratello D’Aprile, Mimmo, in data 19 maggio
2009, che ne aveva indicato il luogo di occultamento alla DIGOS (più esattamente
sul pianerottolo dello stabile ove risiedevano i due imputati).
3.3 — Parimenti destituito di fondamento è il terzo motivo di impugnazione.
3.3.1 — Per giurisprudenza padfica, in tema di reati concernenti le armi, ai fini
del riconoscimento dell’attenuante della lieve entità del fatto, è demandata al giudice di merito una duplice e successiva indagine, consistente, in via primaria, nella
verifica della possibilità di concessione dell’attenuante in questione in relazione ai
connotati soggettivi e oggettivi che caratterizzano il porto e la detenzione delle armi stesse, e in via successiva (all’esito positivo della prima verifica), nell’accertamento della sussistenza della circostanza oggettiva della quantità e potenzialità delle armi (Cass., Sez. 1, 17 giugno 2010, Rabbia, rv. 247716). Può aggiungesi, poi,
alle considerazioni giudiziali, che l’avere impedito alle forze dell’ordine il sequestro
immediato dell’arma con il nasconderla, e fatta recuperare solo da una persona terza estranea al reato, fa comprendere che, come implicitamente fatto valere dal
giudice, che non era intenzione dei prevenuti disfarsi dell’arma, ma successivamente di poterla recuperare. E ancora costituisce giurisprudenza di questa Corte il principio alla cui stregua, in tema di reati concernenti le armi, la clandestinità costitui-

Pubblica udienza: 26 febbraio 2013 — D’Aprile Alessandro

RG: 30646/12, RU: 15;

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consegue che solo l’acquisita prova del contrario può giustificare l’assorbimento; in

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima Sezione penale

sce una “qualità” dell’arma tale da attribuirle una particolare pericolosità per l’ordine pubblico, attesa l’impossibilità di risalire alla sua provenienza, alle sue modalità
di acquisizione, ai suoi trasferimenti: ne consegue che la diminuente del fatto di
lieve entità, specificamente prevista dalla L. 2 ottobre 1967, n. 895, art. 5, non è
applicabile in relazione alle armi clandestine (Cass., Sez. 1, 6 marzo 2008, Vespa,
rv 239905; Sez. 1, 10 novembre 2011, n. 43719, Pellegrino, rv. 251459) come nel-

3.4 — Il quarto motivo di ricorso è altresì infondato.
3.4.1 — Le circostanze aggravanti di cui al capo A), per il combinato disposto
dell’art. 587, 577 in relazione all’art. 61, n. 1 cod. pen. non sono aggravanti a effetto speciale perché la pena è aumentata fino a un terzo per cui il principio mitigatore di cui all’art. 63 cod. proc. pen. non opera.
4. — Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali

per questi motivi
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 10 aprile 2013

Il

nsiglIere estensore

Il Presidente

la fattispecie per cui è causa.

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