Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18934 del 16/04/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 18934 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: MARINELLI FELICETTA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
BOLOGNA
nei confronti di:
FERRANTE MARIO N. IL 01/04/1960
avverso la sentenza n. 8767/2012 CORTE APPELLO di BOLOGNA,
del 11/12/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/04/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FELICETTA MARINELLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 07c.AX
,,,s261,x,e4k
che ha concluso per e’

Udito, per parte 9i€le, l’Avv
Udit i ifensor vv.

Data Udienza: 16/04/2014

Con sentenza in data 3.05.2012 il G.I.P. del Tribunale di
Reggio Emilia, in sede di giudizio abbreviato, ha ritenuto
Ferrante Mario responsabile del reato di cui agli articoli
56,110,624 bis e 625 n.2 c.p. per aver tentato di
impossessarsi di danaro o altri beni mobili custoditi
all’interno di un esercizio commerciale, mediante effrazione
con un cacciavite ed un “piede di porco” degli infissi della
porta secondaria del predetto esercizio commerciale,non
riuscendo nell’intento per cause indipendenti dalla sua
volontà e l’ha condannato alla pena di anni due, mesi due e
giorni venti di reclusione ed euro 222,00 di multa.
Avverso tale decisione ha proposto appello
il difensore
dell’imputato. La Corte di Appello di Bologna, con la sentenza
oggetto del presente ricorso emessa in data 11.12.2012, in
parziale riforma della sentenza emessa nel giudizio di primo
grado, riqualificato il fatto come tentato furto aggravato
dalla violenza sulle cose (articoli 624 e 625 n.2 c.p.)
riduceva la pena allo stesso inflitta a un anno e dodici
giorni di reclusione ed euro 120 di multa; confermava nel
resto.
Osservava la Corte territoriale che il reato contestato al
Ferrante doveva essere qualificato come tentativo di furto con
violenza sulle cose e non già quale tentativo di furto ex
art.625 bis c.p., dal momento che doveva escludersi che un
furto commesso o tentato in un esercizio commerciale chiuso,
di notte, in assenza del titolare o dei dipendenti, integrasse
l’ipotesi prevista dall’art.624 bis c.p.. L’azione infatti era
stata posta in essere in ambienti normalmente accessibili al
pubblico durante l’orario di apertura e non già in ambienti
destinati soltanto a consentire lo svolgimento al gestore e ai
dipendenti di attività collaterali o preparatorie.
Avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna il
Procuratore generale della Repubblica della stessa città
proponeva ricorso per Cassazione, chiedendone l’annullamento,
e la censurava per il seguente motivo:
1) Erronea applicazione della legge penale (art.606, comma
generale
il
Procuratore
Secondo
c.p.p.).
1,1ett.b)
ricorrente erroneamente la Corte territoriale aveva
ritenuto sussumibile la fattispecie che ci occupa nella
ipotesi di tentato furto aggravato prevista dagli articoli
56,624,625 n.2 c.p.. Invece, secondo il ricorrente, ove in
un esercizio venga impedito il normale accesso al pubblico
(come ad esempio durante l’orario di chiusura, ciò che è
avvenuto nella fattispecie che ci occupa), qualora in esso
si compia una sottrazione di cose previa introduzione
“invito domino”, lo stesso luogo assumerà le
caratteristiche di “privata dimora”, ricevendo la
protezione privilegiata dell’articolo 624 bis c.p.. Non
sarebbe inoltre rilevante la circostanza che al momento del
tentato furto i titolari fossero assenti dal locale. Sul
punto osservava il Procuratore generale ricorrente che, se
si ritenesse il contrario, sarebbero del tutto frustrati

RITENUTO IN FATTO

gli scopi perseguiti dal legislatore che ha previsto
l’art.624 bis proprio per l’esigenza di rafforzare le pene
per i furti commessi introducendosi in luoghi privati.
Sarebbe infatti punito con pena più lieve il soggetto che,
come nella fattispecie che ci occupa, si apposti nell’ombra
per controllare i movimenti della persona offesa per
colpire il luogo di privata dimora non appena ne verifica
l’assenza o l’allontanamento da esso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Va infatti evidenziato che la doglianza del Procuratore
generale non è supportata dalla descrizione di concrete
circostanze di fatto alla luce delle quali sarebbe logicamente
possibile argomentare la qualificazione di luogo di privata
dimora della sede del “Bar Reggiani” nella quale è stato
perpetrato il tentato furto di cui al capo di imputazione.
Tanto premesso si osserva che sussiste, in effetti un
orientamento giurisprudenziale (cfr, tra le altre, Cass.,
Sez.4, 10 giugno 2009, rv.244243) secondo cui il furto
commesso all’interno di esercizi commerciali, in orario di
chiusura, integra il delitto di furto in abitazione di cui
all’art.624 bis c.p., configurabile nell’ipotesi di fatto
commesso “mediante introduzione in un edificio o in altro
luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle
pertinenze di essa”, ma tale orientamento non è aderente alla
fattispecie in esame.
Si osserva sul punto che correttamente è stato ritenuto dalla
sopra indicata giurisprudenza di questa Corte che ai fini
della configurabilità del reato di cui all’art.624 bis c.p.
nella nozione di “privata dimora”, certamente più ampia di
quella di abitazione, devono ricomprendersi tutti quei luoghi,
non pubblici, nei quali le persone si trattengono per
compiere, anche in modo transitorio e contingente, attività
della loro vita privata, ovvero attività di carattere
culturale, professionale e politico. Sono stati pertanto
ritenuti “non pubblici” gli edifici o gli altri luoghi in cui
l’ingresso sia in vario modo selezionato ad iniziativa di chi
ne abbia la disponibilità (cfr,sez.4, 30 settembre 2008, PM
Santa Maria Capua Vetere, che ha ritenuto “privata dimora”, ai
fini del disposto dell’art.624 bis c.p., la sagrestia, in
quanto funzionale allo svolgimento di attività complementari a
quelle di culto; nonché sez.4, 16 aprile 2008, Castri, che ha
ritenuto corretta la qualificazione ex art.624 bis c.p. del
furto commesso all’interno di un palazzo di giustizia, in un
locale adibito a spogliatoio degli avvocati, trattandosi
infatti di locale in cui gli avvocati si trattenevano seppure
soltanto temporaneamente per compiere atti della loro vita
quotidiana).

La difesa di Ferrante Mario presentava tempestiva memoria
in cui chiedeva il rigetto del ricorso; in via subordinata
di voler rimettere la questione alle sezioni unite di
questa Corte ai sensi dell’art.618 c.p.p..

PQM
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma il 16.04.2014

Le caratteristiche sopra indicate non sono rilevabili nei
locali in cui è stato commesso il tentato furto, oggetto di
odierno esame, né sono state descritte dal Procuratore
generale ricorrente, rivelandosi così la censura destituita di
fondamento.
Nella fattispecie che ci occupa quindi, conformemente a
condivisibile orientamento di questa Corte (cfr, Cass., sez.4,
sent. n.11490 del 24.01.2013, Rv.254854), correttamente i
giudici della Corte di appello di Bologna hanno ritenuto che
non ha costituito il reato di tentato furto in abitazione la
ha tentato di
condotta dell’imputato Ferrante Mario che
introdursi in un bar, in orario notturno, trattandosi di
locale non adibito a privata dimora.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

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