Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18934 del 10/04/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 18934 Anno 2013
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: BARBARISI MAURIZIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) Porcu Ciriaco

n. il 26 maggio 1978

2) Porci] Giuseppe

n. il 13 gennaio 1981

avverso
la sentenza 12 gennaio 2012 — Corte di Appello di Cagliari, sezione distaccata di

Sassari;
sentita la relazione svolta dai Consigliere dott. Maurizio Barbarisi;
udite le conclusioni del rappresentante del Pubblico Ministero, in persona del dr.

Giovanni D’Angelo, sostituto Procuratore Generale della Corte di Cassazione, che ha
chiesto il rigetto del ricorso con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese
processuali;
udito 11 difensore avv. Pasqualina Federici che, per gli imputati ha concluso per
raccoglimento dei motivi di gravame.

Data Udienza: 10/04/2013

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima Sezione penale

Svolgimento del processo
1. — Con sentenza deliberata In data 12 gennaio 2012, depositata in cancelleria
il 13 aprile 2012, la Corte di Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, confermava la sentenza 22 febbraio 2011 del Tribunale di Nuoro che aveva dichiarato
Porcu Ciriaco e Porcu Giuseppe, responsabili dei reati di violenza privata e tentato
omicidio nei confronti di Chessa Gianni, reati commessi in data 25 febbraio 2009 in

diminuente del rito abbreviato, li condannava alla pena di anni dieci di reclusione
ciascuno, oltre al pagamento delle spese processuali del giudizio e di quelle relative
alla custodia cautelare in carcere e al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile e alle relative spese processuali del grado.
1.1. — Secondo la ricostruzione del fatto operata nella sentenza gravata, i fratelli Porcu Ciriaco e Porcu Giuseppe fermavano con il proprio veicolo quello guidato
dal Chessa, consentendo a Porcu Giuseppe di aggredirlo con un coltello canadese;
subito dopo, la parte offesa veniva assalita alle spalle anche dal fratello Ciriaco che
lo colpiva violentemente al capo con un corpo contundente. Nonostante il violento
colpo il Chessa cercava di ripararsi dai fendenti infettigli con il coltello riportando
varie lesioni agli arti superiori. Dopo l’aggressione riusciva però a salire sulla propria auto e a percorrere un centinaio di metri prima di incontrare il proprio fratello
Pietro che Io soccorreva. Dalla documentazione sanitaria acquisita risultavano essere state vibrate alla parte lesa sedici coltellate di cui tre molto penetranti.
— Il giudice di merito richiamava, onde pervenire alla formulazione del
giudizio di responsabilità, il dato probatorio consistito: dalle dichiarazioni della medesima parte lesa che doveva ritenersi lineare, coerente e confortata da numerosi
elementi estrinseci; dalle dichiarazioni di Chessa Pietro che aveva appreso dal fratello di essere stato aggredito poco prima dai Porcu; dai rilievi di polizia giudiziaria
eseguiti sul luogo del fatto e sul furgone degli imputati che portavano ad accertare
la presenza di tracce emetiche riferibili alla persona della vittima; dalla documentazione sanitaria e dalla visita legale del dott. Mingioni che avevano fornito riscontro
alle numerose subite dal Chessa (tra le quali all’arteria carotidea e alla vena giugulare che avevano cagionato il conseguente stato emorragico che aveva messo in
pericolo di vita della vittima). La versione fornita dalla difesa, di essere stati i Porcu
ad essere stati affrontati dal Chessa era apparsa, secondo il giudice, confusa, oltre
che non riscontrata e smentita dalle numerose ferite patite dalla vittima, mentre la

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Orune e, ritenuto il vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. cod pen., applicata la

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima Sezione penale

richiesta di rinnovazione istruttoria non sarebbe stata, se sfogata, in alcun modo
dirimente.
2. — Avverso il citato provvedimento, tramite i propri difensori avv.ti Franco Luigi Satta e Pasqualino Federici, hanno interposto tempestivo ricorso per cassazione
Porcu Ciriaco e Porcu Giuseppe chiedendone l’annullamento per violazione di legge
e vizi motivazionali. In particolare sono stati sviluppati dai ricorrenti, in un unico

— veniva censurata l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale
nonché la mancanza, insufficienza illogicità manifesta e contraddittorietà della motivazione, nonché l’omessa considerazione di risultanze decisive espressamente indicate nei motivi di appello e infine la mancata assunzione di una prova decisiva, ai
sensi dell’ art. 606 comma primo lett. b), d) e) cod. proc. pen.; il mendacio che era
stato censurato nei motivi di appello non era quello commesso da Chessa Pietro così come erroneamente inteso dal giudice del gravame, bensì quello della parte civile
Chessa Gianni il quale aveva riferito che voleva raggiungere il fratello che già si
trovava all’ovile sicché non poteva averlo incontrato dopo essere risalito in macchina dopo l’aggressione dirigendosi verso la parte opposta come del resto avevano
fatto i Porcu che, dopo i fatti, nel dirigersi verso il paese, dove infatti era stato poi
rivenuto abbandonato il furgone, avevano incrociato Chessa Pietro; apodittica era
stata poi la risposta fornita dal giudice circa l’impossibilità di descrivere da parte
della vittima con quale oggetto egli fu colpito alla testa, né ha trovato spiegazione
l’osservazione difensiva secondo cui il Ciriaco, ancorché intenzionato a uccidere Il
Chessa, ben potendo armarsi di uno dei tanti coltelli che vi erano nel furgone, aveva fatto uso di un corpo contundente; parimenti senza spiegazione è rimasto altresì
il fatto che il Ciriaco sia intervenuto solo in un secondo momento se non per aiutare
il fratello che doveva difendersi, appunto, dall’utilizzo del coltello impugnato dal
Chessa. è grave infine l’omissione in motivazione circa il denegato accertamento
delle abbondantissime tracce ematiche presenti sul camioncino dei Porcu che testimoniano come Porcu Giuseppe non riportò nell’occorso solo quei piccoli tagli sulla
mano destra cui fa riferimento il giudice, bensì ferite molto più significative, che
trovavano riscontro in quelle cicatrici presenti sul corpo del medesimo imputato.
Inoltre non è stato mai cercato il coltello impugnato dal Chessa e buttato da Porcu
Ciriaco in un cespuglio una volta che fu abbandonato dall’aggressore. Il suo ritrovamento avrebbe potuto far accertare la presenza di sangue del Porcu.

Pubblica udienza: 26 febbraio 2013 — Porcu Ciriaco

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atto di ricorso, le seguenti doglianze:

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima Sezione penale

Motivi della decisione
3. — Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile con ogni dovuta conseguenza di legge.
Deve innanzitutto premettersi che, nella verifica della consistenza dei rilievi critici mossi dal ricorrente, la sentenza della Corte territoriale non può essere valutata

sentenza di primo grado, sviluppandosi entrambe secondo linee logiche e giuridiche
pienamente concordanti, di talché — sulla base di un consolidato indirizzo della giurisprudenza di questa Corte — deve ritenersi che la motivazione della prima si saldi
con quella della seconda fino a formare un solo complessivo corpo argomentativo e
un tutto unico e inscindibile (cfr. Cass., Sez. Un., 4 febbraio 1992, Ballan e altri e,
da ultimo, Sez. I, 21 marzo 1997, Greco e altri; Sez. I, 4 aprile 1997, Proietti e
altri).
3.1 — Ciò posto, deve rilevarsi che, atteso il contenuto del gravame, la Corte ritiene di dover richiamare la costante giurisprudenza secondo cui il giudizio avanti la
Corte di cessazione risponde a logiche e finalità sue proprie, che non ripetono quelle del giudizio nei gradi di merito. Una dimostrazione della sostanziale differenza
esistente tra i due giudizi può essere ricavata, tra l’altro, dalla motivazione della
sentenza n. 26 del 2007 della Corte costituzionale, secondo cui il controllo demandato alla Corte di cessazione non ha “la pienezza del riesame di merito” che è propria del controllo operato dalle corti di appello, ben si comprende come il nuovo testo dell’art. 606 cod. proc. pan., tett. e), non autorizzi affatto il ricorso a fondare la
richiesta di annullamento della sentenza di merito chiedendo al giudice di legittimità
di ripercorrere l’intera ricostruzione della vicenda oggetto di giudizio. Il rapporto tra
il disposto degli artt. 544 e 546 cod. proc. pen., e cioè tra completezza e concisione
della motivazione, comporta che la motivazione del giudice di merito non deve dare
conto di tutti gli elementi di prova esaminati, ma concentrarsi su quelli che assumono valore decisivo ai fini della decisione, posto che la finalità della motivazione
resta quello di rendere edotte le parti delle ragioni essenziali della decisione stessa
e del percorso logico seguito. è all’interno di questa prospettiva di ordine generale
che deve essere inteso il riferimento agli specifici atti del processo, con la conseguenza che il giudice di legittimità è chiamato a valutare l’incidenza di eventuali
violazioni commesse dalla decisione impugnata sul risultato finale. Restano pertanto escluse dal controllo della Corte “non soltanto le deduzioni che riguardano l’interpretazione e la specifica consistenza degli elementi di prova, ma anche le incon-

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isolatamente ma deve essere esaminata in stretta ed essenziale correlazione con la

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima Sezione penale

gruenze logiche che non siano assolutamente incompatibili con le conclusioni adottate in altri passaggi argomentativi adottati dai giudici; cosicché non possono trovare ingresso in sede di legittimità i motivi di ricorso fondati su una diversa prospettazione dei fatti adottata dai ricorrenti né su altre spiegazioni fornite dalla difesa per quanto plausibili, ma comunque inidonee ad inficiare la decisione di merito.
Al di là di questi limiti finirebbe per accreditarsi la Corte di cassazione di poteri riva-

3.2 — Le argomentazioni difensive si profilano per vero inconcludenti posto che
fanno leva su una pretesa discrasia in relazione alla direzione presa dal Chessa
Gianni dopo l’aggressione per invalidare tutto il suo racconto. Sono state per contro
ampiamente chiarite le ragioni della irrilevante apparente inesattezza censurata
dalla difesa (non da ultimo la considerazione che, mentre si recava all’ospedale in
stato confusionale da shock, abbia ‘incrociato’ per caso il fratello, pur ritendoio a
quell’ora all’ovile) senza che peraltro la difesa abbia inteso confutare tali argomentazioni.
Inconducenti sono anche le argomentazioni tese a ottenere una rinnovazione istruttoria. Occorre per altro rilevare che la perizia non può affatto rientrare nel concetto di prova decisiva ai sensi e per gli effetti dell’art. 606 comma 1, lett. d) cod.
proc. pen., stante il suo carattere, per così dire, ‘neutro’, sottratto alla disponibilità
delle parti e sostanzialmente rimesso alla discrezionalità del giudice. La perizia, in
altri termini, proprio per tale rilevato carattere (né a favore, né contro l’imputato) è
sottratta al potere dispositivo delle parti, che possono attuare il diritto alla prova,
laddove lo ritengano, anche attraverso proprie consulenze. La sua assunzione è
pertanto rimessa al potere discrezionale del giudice e non è riconducibile al concetto di prova decisiva, con fa conseguenza che H relativo diniego non è sanzionabire ai
sensi dell’art. 606 comma 1, lett. d) cod. proc, pen., e, in quanto giudizio di fatto,
se assistito da adeguata motivazione, è insindacabile in sede di legittimità anche ai
sensi dello stesso art. 606 lett. e) cod. proc. pen., (v., ex pluribus, Cass., Sez. 4, 3
maggio 2005, Candelora e altro). In questa prospettiva, la mancata rinnovazione
dell’accertamento non può essere dedotta con la censura in esame. Ciò che è deducibile in questa sede è semmai il vizio di motivazione ove il giudice di merito abbia
fondato la ricostruzione dei fatti su indimostrate affermazioni o su pareri tecnici legalmente acquisiti al processo ma non valutati criticamente.
3.2.1. — E il giudice del merito, ha dato piena contezza delle ragioni per le quali
non ha ritenuto di disporre accertamento peritale all’interno del furgone dell’impu-

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lutativi che, come tali, appartengono alla sola cognizione del giudice di merito.”

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima Sezione penale

tato non risultando dall’incartamento processuale che sarebbero state presenti le
copiose tracce ematiche appartenenti asseritamente a Porcu Giuseppe. Se così fosse stato, sarebbe stato onere dei prevenuti, in ossequio all’onere di autosufficienza
del ricorso, provare la circostanza addotta e travisata dal giudice, che ha posto peraltro l’accento sulla non rimediabilità del fatto che il Porcu, rimasto latitante per un

anno e mezzo dopo i fatti (latitanza rimasta senza una plausibile giustificazione e
tanto più inspiegabile visto che gli imputati asseriscono essere stato il Chessa ad

sioni che dichiara di aver subito nell’alterco, tacendo persino sul nome del medito
che, nell’immediatezza, le avrebbe curate.
Anche la richiesta di ricerca del coltello, oltre che palesemente tardiva, è irrilevante dal momento che è pacifico in atti che possano sul medesimo possano rinvenirsi sia tracce biologiche del Porcu che della vittima, senza che tale fatto possa essere dirimente per alterare significativamente, nel senso voluto dalla difesa, il quadro probatorio acquisito.
Motivati da parte del giudice sono anche i rilievi che attengono al fatto che il
Chessa non sia stato in grado di distinguere di cosa fosse armato il Ciriaco sceso

dal furgone in un secondo momento (è più che plausibile infatti che questa carenza
di focalizzazione sia dovuta al fatto che la vittima, nella concitazione del momento,
fu colpita alle spalle) mentre la circostanza che il Ciriaco sia intervenuto solo in un
secondo momento e solo per tramortire con un corpo contundente il Chessa anziché con un’arma (giusto per venire in aiuto del fratello che stava difendendosi dal
Chessa munito di coltello, secondo l’assunto difensivo) sono, con evidenza, meri
suggerimenti in fatto che tendono a proporre una sovrapposizione argomentativa a
quella già esaustivamente espressa dal giudice di merito che ha dato ampia contez-

za anche di questi passaggi motivazionali.
In altri e conclusivi termini, questa Corte ritiene che il giudizio sulla completezza
e correttezza della motivazione della sentenza impugnata non possa confondersi
“con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporsi a quella
fornita dal giudice di merito”, con la conseguenza che una motivazione esauriente
nell’affrontare i temi essenziali e coerente nella valutazione degli elementi probatori
si sottrae al sindacato di legittimità. Conservano, dunque, piena validità anche dopo
la novella del 2006 i principi essenziali fissati dalla sentenza delle Sezioni Unite Penali, n. 2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio 1996, Fachini (rv 203767).

Pubblica udienza: 26 febbraio 2013 — Porco Orlare

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aggredire loro), non abbia voluto far riscontrare immediatamente le numerose le-

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4. — Alla dichiarazione di Inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi indicativi dell’assenza di colpa (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di C 1.000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende

per questi motivi

se processuali e al versamento, ciascuno, della somma di C 1.000,00 (mille) alla
Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 10 aprile 2013

Il C si fiere
\., estensor e

Il Presidente

dichiara inammissibile Il ricorso e condanna I ~menti al pagamento delle spe-

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