Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18933 del 27/02/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 18933 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: BLAIOTTA ROCCO MARCO

Data Udienza: 27/02/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
TORINO
FLAEI CISL TORINO (FEDERAZOINE LAVORATORI AZIENDE
ELETTRICHE ITALIANE)
FEDERAZIONE ITALIANA LAVORATORI CHIMICI ENERGIA E
MANIFATTURIERO
nei confronti di:
NEGRONI ALBERTO N. IL 14/01/1927
FERRARA UMBERTO N. IL 05/03/1932
BERTELLA MARIO N. IL 05/04/1940
DI CINTIO SALVATORE N. IL 08/12/1941
avverso la sentenza n. 5829/2009 CORTE APPELLO di TORINO, del
28/11/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/02/2014 la relazione fatta dal
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Consigliere Dott. ROCCO MARCO BLAIOTTA i ,
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Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. dIA
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che ha concluso per

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2 Moretti ed altri

Motivi della decisione

1.11 Tribunale di Torino ha affermato la responsabilità degli imputati Moretti
Massimo, Genesio Corrado, Bertella Mario, Di Cintio Salvatore e Ferrara Umberto in
ordine al reato di omicidio colposo plurimo aggravato dalla violazione delle norme sulla
Regis Dante, Torasso Franco, Savino Giuseppe; nonché solb i primi quattro
dell’omicidio in danno di Furnari Silvio. Li ha altresì condannati, unitamente al
responsabile civile Enel, al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili CIGL,
CISL ed INAIL. Ha assolto Negroni Alberto per insussistenza del fatto; e Ferrara dal
solo omicidio in danno di Furnari per insussistenza del fatto.
La pronunzia è stata riformata dalla Corte d’appello di Torino, che ha dichiarato
non doversi procedere nei confronti di Moretti e Genesio per morte degli imputati; ed
ha assolto Bertella e Di Cintio perché il fatto non sussiste quanto ai reati in danno di
Regis, Torasso, Furnari e Savino perché il fatto non sussiste; nonché Ferrara quanto ai
reati in danno di Regis, Torasso e Savino perché il fatto non sussiste. Ha confermato
nel resto la sentenza appellata.
L’imputazione attiene alle morti, tra il 2003 ed il 2006, degli indicati lavoratori
per mesotelioma pleurico. L’impianto era massicciamente coibentato con amianto che,
nel corso delle lavorazioni e delle operazioni di manutenzione, si disperdeva
nell’ambiente. I quattro lavoratori erano stati massicciamente esposti.
Agli imputati, che in diversi tempi hanno ricoperto incarichi dirigenziali, è stato
mosso l’addebito di non aver adottato misure per contenere l’esposizione delle vittime
all’amianto.
2. Ricorrono per cassazione il Procuratore generale della Repubblica, nonché le
parti civili Cisl e Cgil.
3. La parte civile Cisl espone che la perizia disposta in appello non ha risposto
al fondamentale quesito afferente alla rilevanza delle esposizioni successive a quella
iniziale e soprattutto all’esistenza o meno di una scuola di pensiero scientifico
prevalente in ordine al tema della dosedipendenza. La suprema Corte ha già
ripetutamente ritenuto affidabile l’enunciazione espressa in due sentenze di merito a
proposito di tale dosedipendenza. I periti del giudizio in esame, per contro, esprimono
la loro personale opinione circa l’irrilevanza delle esposizioni successive e tuttavia si

sicurezza del lavoro, in danno dei lavoratori dipendenti della centrale Enel di Chivasso

tratta punti di vista personali espressi da scienziati eminenti ma non introdotti nella
specifica materia.
L’opinione dei periti è stata fondatamente ed efficacemente criticata dai
consulenti dell’accusa pubblica e privata e la Corte d’appello ne ha dato atto, tanto che
ha infine aderito a diverse tesi esposte da tali consulenti nell’ambito della complessiva
materia in esame. Su tali basi la Corte medesima si è trovata ad affrontare senza
alcun supporto scientifico l’ulteriore questione legata all’accelerazione della fase di
latenza a seguito della prosecuzione dell’esposizione ad amianto. E dopo aver ritenuto
ritenere che si sia comunque in presenza di legge di tipo probabilistico dal coefficiente
statistico medio-basso, rendendosi essa stessa protagonista ed autrice di valutazioni
propriamente scientifiche, in tal modo contraddicendo gli insegnamenti della sentenza
di legittimità Cozzini alla quale dichiarava di voler aderire. Non si comprende da dove
la Corte territoriale abbia tratto la conclusione del carattere probabilistico della legge
in questione. La Corte neppure spiega perché abbia aderito alla tesi che individua un
periodo di latenza ordinaria lunga e ben superiore alla latenza vera, di circa 10 o 15
anni, ritenuta dai consulenti dell’accusa. L’asserto della sentenza finisce con l’annullare
il contenuto della nota sentenza delle jezioni unite Franzese in tema di accertamento
dell’esistenza del nesso causale.
La Corte erra pure nel valutare il Consensus document prodotto dalle parti
civili, dal quale si desume che non vi è un sapere scientifico unanimemente condiviso
in ordine al tema discusso, trascurando che quel documento non aveva il compito di
rispondere agli specifici quesiti oggetto del processo ma quello di trattare questioni
metodologiche di più ampio respiro.
In conclusione, pur avendo percorso l’itinerario critico evidenziato dal dibattito
istruttorio, la Corte di merito non ne ha tratto tutte le necessarie conclusioni; da un
lato impropriamente valorizzando il carattere probabilistico dell’enunciato scientifico
afferente all’effetto acceleratore; e dall’altro erroneamente ritenendo l’irrilevanza non
solo delle esposizioni nel periodo di latenza vera che si verificano negli ultimi 10/15
anni, ma anche nel corso un arco di tempo che finisce con l’essere sostanzialmente
indefinito e che viene indicativamente determinato in 32 anni.
4. La Cgil ha prodotto ricorso di contenuto identico a quello dell’altra parte
civile.
5. Il ricorso del Procuratore generale propone argomenti in larga parte non
dissimili. Si rammenta che la Corte di merito ha disposto perizia d’ufficio sul tema
dell’effetto acceleratore dell’esposizione protratta all’amianto, in conformità
all’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte di legittimità. L’indagine,

la fondatezza della tesi afferente all’effetto acceleratore di cui si discute è pervenuta a

tuttavia, non ha prodotto risultati soddisfacenti, giacché gli esperti chiamati a
rispondere, sebbene scelti per la loro indubbia imparzialità, hanno mostrato di avere
competenze specifiche ben inferiori rispetto a quelle dei consulenti di parte. Essi hanno
espresso il loro personale punto di vista, senza motivare adeguatamente le loro
opinioni e senza dimostrare di essere aggiornati sull’evoluzione delle conoscenze in
materia. In tale situazione la Corte d’appello ha fi nito col decidere disattendendo in
toto le richieste accusatorie, riformando la sentenza di primo grado dopo aver seguito
un proprio e faticoso percorso. Tale approccio ha determinato incomprensioni ed
concetti scientifici che hanno una coerenza di fondo che li rende inidonei ad essere
utilizzati o recuperati solo parzialmente; e che non possono essere correttamente letti
senza un adeguato supporto scientifico.
L’erroneità dell’approccio argomentativo si desume in primo luogo dalla
valutazione del documento denominato in sigla DCCI. La Corte ha enfatizzato il
significato di tale atto, trattandolo alla stregua di una sorta di superperizia. Esso, al
contrario, ha connotazione e finalizzazione prettamente scientifica e non è stato
pensato per le dinamiche processuali. In conseguenza, erroneamente si è ritenuto che
il fatto che non si faccia riferimento all’effetto acceleratore in questione debba indurre
a ritenere che esso non sia accreditato nella comunità scientifica. Il documento in
questione, pur apprezzabile, non può che essere interpretato per i suoi contenuti reali
e non per quelli che ipoteticamente avrebbero potuto essere e non sono stati.
Oggetto di censura è pure il percorso motivazionale che ha condotto la Corte a
qualificare l’effetto acceleratore quelle legge di tipo probabilistico a coefficiente
statistico medio-basso.
La Corte d’appello ha in larga parte condiviso le valutazioni espresse dai
consulenti dell’accusa pubblica e privata, che ha ritenuto più convincenti di quelle dei
periti e di quelle dei consulenti delle difese. In particolare si è prestata adesione alle
tesi accusatorie a proposito della questione della latenza. Anche sul tema della
rilevanza delle esposizioni successive e del loro effetto acceleratore la Corte ha in
definitiva ritenuto, con ampia motivazione, di scostarsi dalle opinioni degli esperti
della difesa; ha valorizzato una serie di voci scientifiche convergenti nel ritenere la
rilevanza di tutte le esposizioni all’amianto ed ha concluso ritenendo la persuasività e
la scientificità del ridetto effetto acceleratore. L’argomentazione della pronunzia viene
ritenuta dal ricorrente ampia e sostanzialmente adesiva dell’approccio accusatorio.
Pur sulla base di tali premesse, la Corte d’appello ha operato una stridente
inversione di rotta che appare illogica e scientificamente infondata, in contrasto con il
percorso sino a quel momento seguito.
Il discorso diviene perplesso e si prospettano profili di criticità che non risultano
comprensibili. Il giudice, anziché disporre un approfondimento sui punti che riteneva

incongruenze anche vistose, essendosi pervenuti alla personale rielaborazione di

irrisolti, attraverso nuovi apporti di studiosi qualificati, si è impegnato autonomamente
in ragionamenti privi di rigore scientifico, in un ambito che la stessa giurisprudenza di
legittimità ha ritenuto supercomplicato. In alcuni aspetti l’argomentazione risulta
inappagante pure col metro della logica comune, esprimendosi in una sorta di azione
distruttiva rispetto alle non poche certezze ritenute fino a quel momento.
In primo luogo la Corte ha sottolineato l’incertezza sulla durata del periodo di
induzione quasi che ciò fosse una novità e non un fatto notorio. E’ infatti acquisito che
nella generalità dei tumori maligni non è dato, allo stato, conoscere con certezza la
tali che la situazione possa essere considerata irreversibile, nel senso che non sono
necessarie ulteriori promozioni per fargli acquisire quella connotazione in base alla
quale può progredire autonomamente.
L’approccio è censurabile comunque anche dal punto di vista logico: ritenere
acquisita la indicata stadiazione irreversibile, non implica affatto che la prosecuzione
dell’esposizione non produca una accelerazione dei tempi della progressione della
patologia. Insomma, per il ricorrente, irreversibilità non significa che si è esclusa la
ulteriore attività di promozione esercitata dalla protratta esposizione all’agente
cancerogeno.
Ulteriore punto critico della sentenza riguarda la durata del periodo di latenza
convenzionale minima. Convenzionalmente tale periodo è stato indicato dai consulenti
in 10 o 15 anni prima della diagnosi, alla luce di studi specifici che la Corte non
sembra aver ben compreso. Essa ha infatti ritenuto più logico utilizzare il dato (32
anni) della latenza convenzionale. Al giudice è sfuggito che utilizzare il dato medio o
più frequente, cioè 32 anni, di una latenza comunque convenzionale significa, come è
intuibile anche a livello di logica comune, tagliare fuori in partenza una fetta del 50%
della casistica; mentre occorre fissare un limite che valga per tutti i soggetti. Ma anche
in ambito processuale assumere il criterio dei 32 anni sarebbe fuorviante, perché in
sostanza equivarrebbe a considerare in partenza irrilevanti le esposizioni più recenti
per i soggetti con latenza inferiore alla media.
Si ritiene che la Corte, mossa dallo scrupolo della cautela in questa complicata
materia, abbia cercato di contemperare le conclusioni degli epidemiologi con l’esigenza
di certezza della responsabilità penale; ed abbia ritenuto in sostanza più garantista un
criterio apparentemente meno estremo e più equilibrato. Ma l’equilibrio è solo
apparente, perché non basato su solida base scientifica ed in assenza di un
contraddittorio sulla specifica questione in ordine alla quale il giudice ha ritenuto di
procedere in autonomia. L’esito del giudizio è quindi incongruo, in quanto frutto di
sostanziale contaminazione di diversi criteri che il giudice non può gestire in
autonomia.

durata del periodo di induzione ed il tempo nel quale il tumore raggiunge dimensioni

Sulla base di tale incongruo percorso si perviene a ritenere, immotivatamente,
di carattere probabilistico l’effetto acceleratore, con una frequenza verosimilmente
medio-bassa. L’avverbio da solo dimostra che la Corte non ha acquisito alcuna positiva
certezza. Tale incerto epilogo sarebbe stato evitato attraverso l’acquisizione e la
valutazione delle più qualificate conoscenze scientifiche e degli approdi conseguiti in
diversi contesti processuali.
Oggetto di censura è pure il tema della causalità individuale. La Corte si è
basata sull’assunto che l’effetto acceleratore non si verifica immancabilmente dopo

carico del patrimonio nucleare della cellula mesoteliale. Tali incertezze non sono state
però riscontrate in altri procedimenti. E d’altra parte accanto alla probabilità statistica
vi è la probabilità logica basata sull’intera evidenza disponibile. La Corte ha esaminato
diffusamente la situazione complessiva della centrale Enel con particolare riferimento
alla presenza ed alla diffusione delle polveri di amianto, ma si è poi attenuta a criteri
rigoristi tali da privilegiare in definitiva l’incertezza.
Gli errori logici e scientifici indicati conducono ad erronee conclusioni quanto
alle singole situazioni soggettive dei lavoratori deceduti. Un errore specifico riguarda il
lavoratore Regis nei cui confronti non è stata ravvisata la prova certa della diagnosi di
mesotelioma pleurico, in una situazione di alta esposizione all’amianto ed in assenza di
ipotesi causali alternative. Un giudizio in termini di alta credibilità razionale avrebbe
dovuto senz’altro indurre a ritenere la patologia in questione.

6. I ricorsi sono fondati.
Il primo giudice ha ritenuto la irrilevanza causale delle esposizioni fino a 10-15
anni prima dell’esplosione della malattia, momento in cui, essendo già innescato il
processo cancerogenetico, le successive esposizioni erano irrilevanti. Ha invece
ritenuto rilevanti le esposizioni anteriori, che avevano accelerato l’evoluzione del
processo morboso e diminuito il periodo di latenza.
Nel giudizio d’appello è stata disposta perizia medicolegale collegiale. Ne è
emerso che non vi è, per il solo mesotelioma, una sicura relazione tra dose
complessiva e risposta. Il processo cancerogenetico si distingue schematicamente in
due fasi: l’iniziazione, che consiste nella mutazione del DNA come fenomeno iniziale
per la trasformazione neoplastica; e la promozione, che consiste nella proliferazione di
cellule già modificate in senso maligno. L’amianto, alla luce delle evidenze statistiche,
costituisce sicuro fattore di iniziazione. Ma non vi sono solide evidenze che contrastino
l’ipotesi che esso sia pure promotore: vi è plausibilità biologica, giacché la flogosi
cronica potrebbe fornire un importante stimolo alla proliferazione di cellule già iniziate
al processo di cancerogenesi. Nella materia svolge un ruolo chiave la lunga latenza: la
prima trasformazione neoplastica si determina a breve distanza dall’esposizione. Il

l’inizio dell’induzione, costituito dal momento in cui ha luogo la lesione genetica a

mesotelioma insorge dopo una lunga latenza, di alcune decine di anni dalla prima
esposizione e mediamente di circa 30 anni. I periti hanno dato conto delle contrastanti
opinioni di qualificati esperti indipendenti. Essi hanno ritenuto certa la diagnosi di
mesotelioma per Torasso, Furnari e Savino e solo probabilistica quella per Regis.
I consulenti dell’accusa pubblica hanno esposto che la latenza diminuisce con
l’incremento dell’esposizione. Si tratta di legge scientifica sufficientemente radicata
nella comunità scientifica e di carattere universale. Non esiste esposizione irrilevante.
Studi accreditati indicano che la latenza minima è di circa 15 anni e di 32 anni quella
confermata la valutazione di certezza diagnostica per i 3 lavoratori già sopra indicati
e probabilistica per l’altro.
I consulenti delle parti civili hanno riferito che il criterio di definizione dell’
esposizione quale fattore di rischio è dato dalla dose cumulativa: variabile che integra
durata e concentrazione dell’esposizione. Vi sono tre stadi: iniziazione, promozione,
progressione. L’iniziazione non è costituita da un solo momento ma corrisponde ad un
periodo complesso costituito da una sequenza di fasi. Terminata tale fase, la prima
cellula mutata in senso neoplastico non può considerarsi autonoma ma è necessario
che la cellula stessa si moltiplichi (promozione) sino a raggiungere la dimensione di
un clone cellulare capace di resistere alle difese immunitarie. E’ solo al termine del
periodo di induzione che si forma l’aggregato di cellule mesoteliali in grado di
proseguire autonomamente il processo verso il mesotelioma. La fase di induzione è
determinabile in 10, 12 anni. Il periodo di latenza è difficilmente inferiore a dieci anni.
Solo tale ultimo decennio è irrilevante nello sviluppo del processo cancerogenetico.
Tale criterio può essere utilizzato con riguardo alle storie lavorative dei lavoratori
deceduti. In conseguenza il lavoro in Enel è eziologicamente rilevante.
E’ stata pure posta la distinzione tra latenza vera e latenza convenzionale. La
prima è entità teorica, non essendo possibile determinare la durata del tempo di
induzione, al termine del quale si è costituito l’ammasso cellulare in grado di sostenere
la successiva evoluzione autonoma del tumore. Si fa quindi riferimento alla latenza
convenzionale, periodo compreso tra l’inizio dell’esposizione e la data della morte.
All’aumentare della dose cumulativa corrisponde nella coorte una tendenziale riduzione
del tempo di latenza convenzionale: in tal senso molti studi sperimentali. La tesi
contraria è stata sostenuta solo da uno studioso di nome Chiappino e costruita a
tavolino con scopi difensivi.
Il consulente dell’INAIL ha posto in luce la rilevanza della durata ed intensità
del’esposizione. Secondo la migliore dottrina solo gli ultimi dieci anni di esposizione
sono irrilevanti nello sviluppo della malattia.
I consulenti della difesa hanno rimarcato che i fattori temporali sono molto più
importanti della dose. Il rischio cresce in misura estremamente forte in relazione al

media. Inoltre, l’esposizione lavorativa implica una latenza più breve. E’ stata pure

tempo trascorso dalla prima esposizione, indipendentemente dall’età e da ogni altro
fattore. La latenza ha un ruolo dominante e quindi contano le prime esposizioni. Il
ruolo delle esposizioni recenti non è quantificabile ma verosimilmente trascurabile.
Tale punto di vista è sostenuto da diversi autorevoli studi. La latenza è di molti
decenni, e l’eccesso di rischio diviene evidente solo dopo almeno 25 anni dalla prima
esposizione. Dose media e durata dell’esposizione non influenzano la latenza.
Le opinioni degli esperti sono state dibattute e chiarite nel giudizio, come

7. Anche alla luce di tali acquisizioni istruttorie, la pronunzia propone un’ampia
esposizione teorica
Per tre dei quattro lavoratori è certa la diagnosi di mesotelioma ed altrettanto
certa l’eziologia connessa all’esposizione lavorativa. Per Regis, invece, tale diagnosi è
solo probabile: come ritenuto dai periti d’ufficio, le indagini non sono state utili ai fini
della sicura dimostrazione dell’origine mesoteliale primitiva del tumore. Pure alla luce
delle critiche espresse dai consulenti di parte, permane una situazione di ragionevole
dubbio intotno alla diagnosi.
Si considera che vi è stata esposizione dei lavoratori in epoca anteriore al
servizio in Enel e che inoltre gli imputati si sono succeduti nel tempo nel ruolo di
dirigenti dell’Enel. Assume, quindi, decisivo rilievo l’esistenza o meno di una legge
scientifica a proposito del cosiddetto effetto acceleratore, in base alla quale sono
rilevanti non solo le esposizioni iniziali che conducono all’iniziazione del processo
cancerogenetico, ma rilevano pure quelle successive fino all’induzione della patologia,
dotate di effetto acceleratore, appunto e di abbreviazione, quindi, della latenza.
Interessa inoltre comprendere se, eventualmente, si tratti di legge universale o
probabilistica.
Si argomenta pure che i consulenti dell’accusa pubblica e privata sostengono la
rilevanza causale della dose cumulativa come fattore condizionante dell’aumento
dell’incidenza di mesotelioma. Non sono altrettanto chiare e ponderose le deduzioni a
sostegno della rilevanza come effetto acceleratore, come fattore cioè di abbreviazione
della latenza. Viene peraltro data per scontata l’irrilevanza dell’esposizione nella fase
di latenza propriamente detta, che viene fatta coincidere con gli ultimi 10-15 anni
prima della manifestazione clinica.
I periti d’ufficio ed i consulenti della difesa hanno sostenuto che il mesotelioma
si differenzia dagli altri tumori: la latenza è l’elemento chiave. Le esposizioni nel
lontano passato sono quelle rilevanti.
Le tesi scientifiche addotte sono inconciliabili. I periti d’ufficio, sono apparsi si
indipendenti ma con minore competenza scientifica nella specifica materia: essi non
hanno adeguatamente motivato il loro punto di vista.
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esposto analiticamente in sentenza.

In tale irresolubile situazione si è ritenuto di attribuire importante rilievo al
documento di consenso nell’ambito della seconda Consensus con ference italiana nel
2011. Il documento costituisce una sorta di metanalisi e tiene conto dei principali
contributi scientifici internazionali. Esso, in sintesi estrema, dà conto di risultati
altamente coerenti nell’indicare la proporzionalità della patologia rispetto alla dose
cumulativa. Il documento, invece, tace circa l’abbreviazione del tempo di latenza come
conseguenza dell’aumento dell’esposizione. Alla stregua di tale “illuminante
chiarificazione scientifica” vengono valutati criticamente i contributi dei consulenti.

esposizione ad asbesto, emergendo da numerosi studi. Le perplessità dei periti al
riguardo sono ritenute ingiustificate dalla Corte d’appello. Viene pure ritenuto
fuorviante l’attribuzione di ruolo chiave alla latenza da parte dei periti, sempre alla
luce del DCCI: non vi sono dubbi sull’interpretazione dell’evidenza disponibile nel
senso dell’esistenza di una proporzionalità tra dose cumulativa e occorrenza di
mesotelioma.
Quanto all’effetto acceleratore, si dà conto della già indicata opinione perplessa
dei periti. Essi evidenziano le evidenze contrastanti circa il ruolo di promotore
dell’amianto, dopo l’iniziazione; anche se l’ipotesi non è priva di plausibilità biologica.
Si aggiunge che pure il DCCI, dopo aver fornito una completa informazione
sullo stato delle conoscenze, non si pronunzia a proposito dell’effetto acceleratore
successivo all’iniziazione, nella fase di promozione, cioè di proliferazione della cellula
bersaglio “iniziata”. Si espone diffusamente il parere del consulente tecnico di parte
civile dr. Menegozzo secondo cui vi è rilevanza delle esposizioni successive fino ad
induzione completata, sorretta da studi epidemiologici e dalla coerenza scientifica tra
modello multistadio della cancerogenesi da amianto nonché dall’insostenibilità della
tesi della trigger dose. Tuttavia nella ponderosa relazione non vi è alcuna citazione
testuale di studi o ricerche nelle quali si enunci espressamente la tesi dell’effetto
acceleratore.
I consulenti della difesa ed i periti, invece, si diffondono nel citare numerosi
studi che confermerebbero la loro tesi secondo cui deve attribuirsi rilievo
preponderante alle esposizioni del lontano passato «L’argomentazione è supportata da
diversi studi che vengono analiticamente indicati. Da essi si desume che non vi sono
evidenze in favore dell’effetto acceleratore.
All’esito di una valutazione complessiva dei contributi conoscitivi forniti dagli
esperti la forte di merito ritiene che, pur con qualche riserva, sia più convincente e
persuasiva e comunque espressione di un sapere scientifico più largamente condiviso,
la tesi dell’effetto acceleratore e della rilevanza causale delle psuccessive. La
Corte si diffonde in una analisi scientifica della materia che si muove attorno ad alcuni
passaggi. La tesi della dose killer è espressione di un vecchio e superato modello di

Il concetto di dose cumulativa è parametro affidabile nella stima del rischio da

cancerogenesi. Ed è superata alla luce della più recente acquisizioni scientifiche che
indicano un processo ben più complesso, implicante l’intervento di molte variabili oltre
alla dose innescante. Inoltre, costituisce sapere scientifico condiviso il fatto che
l’evidenza epidemiologica disponibile sia univoca nell’indicare una relazione
proporzionale tra dose cumulativa ed incidenza, nel senso che all’aumento
dell’esposizione per intensità e durata aumentano i casi di tumore all’interno della
popolazione esposta. Ancora, l’orientamento prevalente della giurisprudenza di
legittimità è indirizzato nel senso della rilevanza dell’effetto acceleratore. Infine, gli
esposizione hanno sviluppato la patologia a distanza di molti decenni non costituiscono
una prova sfavorevole alla tesi dell’effetto acceleratore. Si aggiunge che la teoria
dell’effetto acceleratore sostenuta in sede epidemiologica ha trovato convincente
conferma anche in sede di patologia sperimentale.
Fatte tali premesse in tema di causalità generale, si aggiunge che essa
presenta aspetti problematici e profili di criticità nella sua applicazione concreta. è
pacifico che allo stato attuale delle conoscenze è impossibile determinare la durata del
periodo di induzione. Non vi sono certezze sulla durata dell’induzione convenzionale e
di quella vera. Vi sono poi in questione temi afferenti alla suscettibilità genetica
individuale. Ancora, come dimostrato dal documento DCCI, non vi è prova che la
latenza vera non possa essere inferiore a 10-15 anni. La conclusione è che occorre
ritenere che l’atteso effetto acceleratore non si manifesti indistintamente in tutte le
esposizioni successive e non per tutti i lavoratori. Insomma, per una quota degli
esposti, è irrilevante che vi siano state esposizioni aggiuntive.
Nello specifico, non emerge affatto in concreto l’effetto acceleratore con
riguardo alla posizione dei lavoratori deceduti, essendosi in presenza di periodi di
latenza assai lunghi.
Alla luce di tali principi si analizza la vita lavorativa dei defunti e la durata dei
ruoli dirigenziali, riscontrando che per i tempi delle esposizioni, per la loro durata o la
loro intensità, per l’approssimatività delle conoscenze scientifiche di fondo non vi è
prova certa che l’effetto acceleratore si sia riscontrato in concreto.
Per Regis a tali incertezze si aggiungono quelle sulla diagnosi di mesotelioma.
8. Tale metodo di analisi delle problematiche causali non può essere condiviso,
mostra aspetti di illogicità e, soprattutto, non è conforme alle enunciazioni
metodologiche offerte nella materia dalla giurisprudenza di questa Suprema corte.
Il giudice di merito si è trovato davanti un tema scientifico estremamente
complesso, che presenta indubbio rilievo e, di fronte ad opinioni disparate e dubbiose
è infine pervenuto a produrre un proprio, autoreferenziale, incontrollabile discorso
scientifico.

studi citati dai periti e dai i consulenti della difesa circa i soggetti che dopo una breve

Occorre rammentare che questa Corte suprema ha avuto modo di fornire
indicazioni metodologiche proprio con riguardo a situazioni del genere di quella in
esame (Cass. IV, 17 settembre 2010, Cozzini, Rv. 248944). Si è preso atto che sul
tema scientifico dell’accelerazione dei processi eziologici si registra nella
giurisprudenza una situazione che, magari giustificata all’interno di ciascun processo e
delle informazioni e valutazioni scientifiche che vi penetrano, risulta tuttavia
difficilmente accettabile nel suo complesso: come nel presente giudizio, il ridetto
effetto acceleratore viene ammesso, escluso, o magari riconosciuto solo parzialmente,
parte, è chiamata ad esprimere solo un giudizio di razionalità, di logicità
dell’argomentazione esplicativa. È dunque errato affermare che essa abbia ritenuto o
escluso l’esistenza di tale fenomeno.
La indicata situazione di incertezza chiama in causa questa Corte Suprema non
per stabilire se la legge scientifica sia affidabile o meno, questione sulla quale essa
non ha alcuna competenza o qualificazione; quanto piuttosto per definire quale debba
essere l’itinerario razionale di un’indagine che si colloca su un terreno non proprio
nuovo, ma caratterizzato da lati oscuri, da molti studi contraddittori e da vasto
dibattito internazionale. Orbene, in situazioni di tale genere il primo passo da
muovere, è quello di valutare la qualificazione e l’imparzialità dell’esperto. Però
l’esperto, per quanto autorevole e coinvolto personalmente nell’attività di studio e
ricerca, costituisce solo una voce che, sebbene qualificata, esprime un punto di vista
personale, scientificamente accreditato ma personale; ed offre, quindi, una visione
forse incompleta del tema. Non si tratta tanto di comprendere quale sia il pur
qualificato punto di vista del singolo studioso, quanto piuttosto di definire, ben più
ampiamente, quale sia lo stato complessivo delle conoscenze.
Per valutare l’attendibilità di una teoria occorre esaminare gli studi che la
sorreggono; le basi fattuali sui quali essi sono condotti; l’ampiezza, la rigorosità,
l’oggettività della ricerca; il grado di sostegno che i fatti accordano alla tesi; la
discussione critica che ha accompagnato l’elaborazione dello studio, focalizzata sia sui
fatti che mettono in discussione l’ipotesi sia sulle diverse opinioni che nel corso della
discussione si sono formate; l’attitudine esplicativa dell’elaborazione teorica. Ancora,
rileva il grado di consenso che la tesi raccoglie nella comunità scientifica. Infine, dal
punto di vista del giudice, che risolve casi ed esamina conflitti aspri, è di preminente
rilievo l’identità, l’autorità indiscussa, l’indipendenza del soggetto che gestisce la
ricerca, le finalità per le quali si muove. È ovvio che, in tema di amianto, un conto è
un’indagine condotta da un organismo pubblico, istituzionale, realmente indipendente;
ed altra cosa è un’indagine commissionata o gestita da soggetti coinvolti nelle dispute
giuridiche. D’altra parte, in questo come in tutti gli altri casi critici, si registra
comunque una varietà di teorie in opposizione. Il problema è, allora, che dopo aver

con apprezzamenti difformi dei giudici di merito. Questa Corte di legittimità, d’altra

valutato l’affidabilità metodologica e l’integrità delle intenzioni, occorre infine tirare le
fila e valutare se esista una teoria sufficientemente affidabile ed in grado di fornire
concrete, significative ed attendibili informazioni idonee a sorreggere l’argomentazione
probatoria inerente allo specifico caso esaminato. In breve, una teoria sulla quale si
registra un preponderante, condiviso consenso. Naturalmente, il giudice di merito non
dispone delle conoscenze e delle competenze per esperire un’indagine siffatta: le
informazioni di cui si parla relative alle differenti teorie, alle diverse scuole di pensiero,
dovranno essere veicolate nel processo dagli esperti. Costoro, come si è accennato,
giudizio, quanto piuttosto a delineare lo scenario degli studi ed a fornire gli elementi di
giudizio che consentano al giudice di comprendere se, ponderate le diverse
rappresentazioni scientifiche del problema, possa pervenirsi ad una “metateoria” in
grado di guidare affidabilmente l’indagine. Di tale complessa indagine il giudice è
infine chiamato a dar conto in motivazione, esplicitando le informazioni scientifiche
disponibili e fornendo razionale spiegazione, in modo completo e comprensibile a tutti,
dell’apprezzamento compiuto.
9.Alla luce di tali principi si mostrano i cennati, cruciali vizi motivazionali.
I periti d’ufficio hanno esposto una tesi che è apparsa vulnerabile agli occhi
della stessa Corte di merito, per un duplice ordine di ragioni. Da un lato gli esperti,
sebbene indipendenti e qualificati, hanno mostrato una conoscenza non
sufficientemente approfondita e completa dello specifico tema nel suo complesso,
soprattutto con riguardo agli sviluppi della letteratura scientifica universale. Essi,
inoltre, non hanno documentato l’esistenza di una accrediti prevalente, affidabile
ricerca scientifica a sostegno del loro assunto ed hanno anzi dato conto delle
contrastanti opinioni espresse da esperti indipendenti.
Pure le tesi favorevoli all’esistenza dell’effetto acceleratore esposte dall’accusa
pubblica e privata, per la Corte di merito, non sono sorrette da basi sufficientemente
chiare e ponderose. Il parere dell’esperto Menegozzo non è accompagnato da alcuna
citazione testuale o dall’evocazione di ricerche pertinenti ed affidabili.
La pronunzia aggiunge che le tesi dei consulenti della difesa, che attribuiscono
rilevanza eziologica preponderante all’esposizione iniziale, sono sostenute da diversi
autorevoli studiosi.
A fronte di una situazione tanto articolata e divaricata, il giudice di merito si è
generosamente ma erroneamente assunto un ruolo non proprio, tentando di elaborare
un originale, eclettico punto di vista scientifico. Si è ritenuto di attribuire speciale
rilievo ad un unico documento già ripetutamente citato (la Consensus conference) che,
tuttavia, nulla ha detto sullo specifico tema dell’effetto acceleratore. E si è in
conclusione affermato che la tesi dell’esistenza di tale effetto sia più convincente e più

– L2-

non dovranno essere chiamati ad esprimere (solo) il loro personale seppur qualificato

condivisa. Non si spiega alla luce di quale autorità scientifica sia espresso il giudizio di
prevalenza di tale tesi; ma soprattutto tale enunciazione è in contrasto con quanto in
precedenza esposto a proposito delle malferme opinioni dei periti e dei consulenti
dell’accusa. L’enunciazione, in breve, è non motivata ed incoerente rispetto alla
precedente esposizione della carenza di supporto scientifico accreditato che
condiziona la tesi accusatoria.
La medesima censura metodologica coglie l’ulteriore passaggio argomentativo
con il quale si enuncia il carattere probabilistico della legge scientifica inerente
In tale situazione, la pronunzia deve essere annullata con rinvio. La questione
dovrà essere esaminata nuovamente a fondo. I dubbi, le incertezze, le contraddizioni
dovranno essere se possibile risoltk,in modo convincente. Come già enunciato si dovrà
compiere, con l’ausilio di esperti qualificati ed indipendenti, una documentata
metanalisi della letteratura scientifica universale. Le opinioni e le enunciazioni degli
esperti di parte dovranno essere vagliate, se necessario, con l’aiuto di periti. Ma ci si
dovrà astenere da valutazioni ed enunciazioni scientifiche proprie. Infatti, né il giudice
di merito né quello di legittimità possono ritenersi ad alcun titolo detentori di sapere
scientifico, che deve essere invece veicolato nel processo dagli esperti. Alla luce di tali
principi sarà pure vagliata la questione inerente alla dipendenza da mesotelioma della
morte del lavoratore Regis.
All’esito, la Corte d’appello vorrà pure provvedere al regolamento delle se tra
le parti del presente giudizio.
Pqm
Annulla la sentenza impugnata con rinvio, per nuovo esame, alla Corte
d’appello di Torino cui rimette anche il regolamento delle spese tra le parti del
presente giudizio.
Roma 27 febbraio 2014

k.u.,

IL CONSIGLIERE ESTENSORE
(Rocco Ma co BLAIOTTA)
(

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
IV Sezione Penale

IL PRESIDENTE

all’effetto acceleratore. L’enunciato non è dimostrato in alcun modo.

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