Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18932 del 20/01/2017


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 3 Num. 18932 Anno 2017
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: CERRONI CLAUDIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Cilli Mariangela, nata a Pescara il 20/01/1974

avverso l’ordinanza del 12/09/2016 del Tribunale di Pescara

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Claudio Cerroni;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Pasquale Fimiani, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 12 settembre 2016 il Tribunale del riesame di Pescara
ha rigettato la richiesta di riesame del decreto di sequestro preventivo del 22
giugno 2016, disposto dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale
nell’ambito delle indagini a carico di Mariangela Cilli per i reati di cui all’art. 11
d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, nonché all’art. 5 del medesimo decreto legislativo
quale amministratore di fatto della s.r.l. Angolana Carni.
2.

Avverso il predetto provvedimento la Cilli ha proposto ricorso per

cassazione, formulando due motivi di impugnazione.

Data Udienza: 20/01/2017

411.

2.1. La ricorrente ha in primo luogo contestato la propria responsabilità nei
reati contestati, assumendo l’errore del Tribunale nella qualificazione della
ricorrente stessa quale amministratore di fatto della società, ovvero allegandone
l’inadeguata motivazione, atteso che il presupposto della ricorrenza della
qualifica è dato dall’esercizio in via continuativa dell’attività gestionale, e
l’accertamento avrebbe dovuto quindi avere ad oggetto lo svolgimento di
apprezzabile attività di gestione in termini non occasionali od episodici.
In particolare, non potevano ritenersi all’uopo idonei gli elementi sintomatici

conoscenza delle vicende societarie (la ricorrente era socia e dipendente della
s.r.l. Angolana Carni), nonché l’importanza della documentazione rinvenuta nei
locali della società Montesole, di cui la Cilli era amministratrice.
3. Il Procuratore generale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è inammissibile.
4.1. Osserva preliminarmente la Corte che, in tema di ricorso per cassazione
proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l’art. 325 cod. proc. pen.
ammette il sindacato di legittimità soltanto per motivi attinenti alla violazione di
legge. Nella nozione di “violazione di legge” rientrano, in particolare, gli errores
in iudicando o in procedendo, al pari dei vizi della motivazione così radicali da
rendere l’apparato argomentativo a sostegno del provvedimento del tutto
mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza,
come tale apparente e, pertanto, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario
logico seguito dal Giudice (Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, Bosi, Rv. 245093;
v. anche Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv. 254893); per contro, non
può esser dedotta l’illogicità manifesta della motivazione, la quale può
denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo
motivo di cui alla lett. e) dell’art. 606, stesso codice (v., per tutte: Sez. U, n.
5876 del 28/01/2004, Bevilacqua, Rv. 226710; Sez. U, n. 25080 del
28/05/2003, Pellegrino S., Rv. 224611).
4.2. Ciò posto, il provvedimento impugnato, quanto alle lamentele della
ricorrente in ordine alla pretesa insussistenza della qualità di amministratore di
fatto in capo all’odierna ricorrente, ha dato conto del ruolo della Cilli nella società
Agricola Montesole, di cui era legale rappresentante, e nella Angolana Carni, di
cui era socia, nell’ambito peraltro di due società dall’identica base personale. A
questo proposito il Tribunale del riesame ha evidenziato la piena consapevolezza,
nella ricorrente, della dispersione del patrimonio sociale in ragione della datio in
solutum, in proprio favore, di beni della società.

2

evidenziati dal Tribunale, ossia l’acquisto di parte del patrimonio della società, la

Al riguardo, proprio la ristretta base personale delle società, peraltro
neppure revocata in dubbio, si pone come elemento del tutto rilevante quanto
all’indagine sul fumus.
Nella sede della Montesole è stata infatti trovata documentazione relativa
alla Angolana Carni, tra l’altro con richieste di giroconto del saldo attivo del conto
sociale – a firma della Cilli – in favore personale della medesima ricorrente e
dell’altro socio e/o legale rappresentante (elemento questo che conferma che la
ricorrente poteva operare sul conto della Angolana). D’altro canto non è stata

richiamato il ruolo della ricorrente, di soggetto incaricato dal legale
rappresentante e di persona di fiducia, siccome emerso agli esordi della verifica
fiscale. Né va sottaciuto che siffatto ruolo, non contestato, si pone in intima
coerenza con l’operatività della ricorrente sul conto della società.
In definitiva, la decisione di svuotare il conto sociale appare ascrivibile alla
ricorrente (non sono stati arrecati elementi di segno contrario), la quale aveva
all’evidenza il potere di gestire la provvista finanziaria e quindi di determinare le
scelte della società. Non appare quindi trattarsi di un’operazione isolata
(quantunque oggettivamente esiziale per la vita della società, privata dei fondi
istituzionalmente destinati all’operatività), ma della significativa emersione di un
ruolo gestorio che non ha trovato significativa smentita, e che appare anche del
tutto ragionevole presumere stante la particolare composizione personale delle
società facenti capo alla ricorrente e al Lepri (ed anche tale rilievo non ha trovato
significativa censura), nonché della pienamente plausibile confusione tra i ruoli, e
dei ruoli, di tali soggetti in relazione alle società a costoro riferibili.
In conclusione, fatte salve le eventuali successive verifiche, non si ravvisa
violazione di legge – nei termini richiamati – nel provvedimento impugnato.
5. Alla stregua delle osservazioni che precedono, quindi, le censure della
ricorrente appaiono manifestamente infondate, e pertanto inammissibili.
Tenuto infine conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte
costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per
ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria
dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen.,
l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma,
in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 2.000,00.

P.Q.M.

3

contestata la conclusiva osservazione del Giudice abruzzese del riesame, che ha

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma il 20/01/2017

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Claudio Cerroni

Aldo Cavallo

C0

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA