Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18931 del 20/01/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 18931 Anno 2017
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: CERRONI CLAUDIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Bonomi Davide, nato a Milano il 29/11/1957

avverso l’ordinanza del 05/05/2016 del Tribunale di Bergamo

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Claudio Cerroni;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Gabriele Mazzotta, che ha concluso per il rigetto del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 5 maggio 2016 il Tribunale del riesame di Bergamo ha
confermato il decreto del 1. luglio 2015 di sequestro preventivo emesso dal
Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, avente ad oggetto i
terminali adibiti alle scommesse telematiche esistenti nei locali dell’esercizio
commerciale “Bet 11 28” corrente in Pedrengo. La richiesta di riesame era stata
formulata da Davide Bonomi, gestore dell’attività in virtù di contratto di
affiliazione commerciale con la Centurion Limited Bet 1128, ed indagato per il
reato di cui all’art. 4, comma 4-bis della legge 13 dicembre 1989, n. 401.

Data Udienza: 20/01/2017

2. Avverso il predetto provvedimento è stato proposto ricorso per cassazione
articolato su unico complesso motivo di impugnazione, lamentando violazione di
legge a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione
all’art. 4, comma 4-bis della legge n. 401 del 1989, ed all’art. 88 del Tulps.
2.1. In particolare il ricorrente ha ripercorso l’evoluzione normativa e
giurisprudenziale, con riferimento al lamentato contrasto del sistema interno con

i principi comunitari volti all’eliminazione di qualsiasi restrizione alla libertà di
stabilimento ed alla libera prestazione di servizi. E’ stata altresì avanzata censura

danno, che in tesi sarebbe stato sofferto in caso di applicazione della clausola
convenzionale, contenuta nei bandi di gara per l’assegnazione delle concessioni
cui Centurion Bet non aveva voluto prendere parte, che prevedeva la cessione
gratuita dei beni all’Amministrazione dei Monopoli alla scadenza del termine di
concessione.
3. Il Procuratore generale ha invece concluso per il rigetto del ricorso,
assumendo – al di là dei lamentati profili di contrasto della disciplina interna dei
giochi e delle scommesse con la normativa comunitaria sovranazionale, – che
con motivazione non apparente il provvedimento impugnato aveva dato conto
che la previsione della cessione a titolo gratuito dei beni materiali ed immateriali,
in sé astrattamente compatibile con la fonte superiore, non presentava carattere
di inadeguatezza e sproporzione rispetto alle finalità sottese, né rappresentava
un deterrente alla partecipazione alla gara per l’assegnazione delle concessioni
relative.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è inammissibile.
4.1. Osserva preliminarmente la Corte che, in tema di ricorso per cassazione
proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l’art. 325 cod. proc. pen.
ammette il sindacato di legittimità soltanto per motivi attinenti alla violazione di
legge. Nella nozione di “violazione di legge” rientrano, in particolare, gli errores
in iudicando o in procedendo, al pari dei vizi della motivazione così radicali da
rendere l’apparato argomentativo a sostegno del provvedimento del tutto
mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza,
come tale apparente e, pertanto, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario
logico seguito dal Giudice (Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, Bosi, Rv. 245093;
v. anche Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv. 254893); per contro, non
può esser dedotta l’illogicità manifesta della motivazione, la quale può
denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo
motivo di cui alla lett. e) dell’art. 606, stesso codice (v., per tutte: Sez. U, n.

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sui giudizi formulati dal Tribunale lombardo circa le operate valutazioni sul

5876 del 28/01/2004, Bevilacqua, Rv. 226710; Sez. U, n. 25080 del
28/05/2003, Pellegrino S., Rv. 224611).
4.2. Ciò posto, la Corte osserva innanzitutto che — per propria costante
giurisprudenza — integra il reato previsto dall’art. 4 della legge n. 401 del 1989
la raccolta di scommesse su eventi sportivi da parte di un soggetto che — privo
della licenza di cui all’art. 88 r.d. 18 giugno 1931, n. 773 — compia attività di
intermediazione per conto di un allibratore straniero privo di concessione.
Tuttavia, poiché le autorizzazioni di polizia sono rilasciate unicamente ai titolari

di rilascio di queste ultime vizierebbero anche quella volta al rilascio
dell’autorizzazione di polizia, la cui mancanza non potrebbe perciò essere
addebitata a soggetti che non siano riusciti ad ottenerla per il fatto che il rilascio
di tale autorizzazione presuppone l’attribuzione di una concessione, di cui i detti
soggetti non hanno potuto beneficiare in violazione del diritto dell’Unione. Ne
consegue che, in mancanza della concessione e della licenza, per escludere la
configurabilità della fattispecie incriminatrice occorre la dimostrazione che
l’operatore estero non abbia ottenuto le necessarie concessioni o autorizzazioni a
causa di illegittima esclusione dalle gare (Sez. 3, n. 40865 del 20/09/2012,
Maiorana, Rv. 253367) o per effetto di un comportamento comunque
discriminatorio tenuto dallo Stato nazionale nei confronti dell’operatore
comunitario. In siffatti casi, il Giudice nazionale, anche a seguito della vincolante
interpretazione data alle norme del trattato dalla Corte di giustizia CE, dovrà
disapplicare la normativa interna per contrasto con quella comunitaria; ed infatti,
non integra il reato di cui all’art. 4 in esame la raccolta di scommesse, in assenza
di licenza, da parte di un soggetto che operi in Italia per conto di un operatore
straniero cui la concessione sia stata negata per illegittima esclusione dai bandi
di gara e/o mancata partecipazione a causa della non conformità,
nell’interpretazione della Corte di giustizia CE, del regime concessorio interno
agli artt. 43 e 49 del Trattato CE (Sez. 3, n. 28413 del 10/07/2012, Cifone, Rv.
253241; successivamente, tra le altre, Sez. 3, n. 37851 del 04/06/2014, Parrelli,
Rv. 260944; Sez. 3, n. 12335 del 07/01/2014, Ciardo, Rv. 259293).
4.3. Fermo quanto precede, va altresì ricordato (come peraltro già rilevato
anche dal Tribunale di Bergamo) che con decisione in data 7 aprile 2016 la Corte
di Giustizia ha dichiarato che gli artt. 49 TFUE e 56 TFUE nonché i principi di
parità di trattamento e di effettività devono essere interpretati nel senso che non
ostano a una normativa nazionale in materia di giochi d’azzardo, come quella
controversa nei procedimenti principali, che preveda l’indizione di una nuova
gara per il rilascio di concessioni aventi durata inferiore rispetto a quelle
rilasciate in passato, in ragione di un riordino del sistema attraverso un
allineamento temporale delle scadenze delle concessioni e che gli artt. 49 TFUE e

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di una concessione, eventuali irregolarità commesse nell’ambito della procedura

56 TFUE devono essere interpretati nel senso che ostano a una disposizione
nazionale restrittiva, come quella controversa nei procedimenti principali, la
quale impone al concessionario di giochi d’azzardo di cedere a titolo non
oneroso, all’atto della cessazione dell’attività per scadenza del termine della
concessione, l’uso dei beni materiali e immateriali di proprietà che costituiscono
la rete di gestione e di raccolta del gioco, qualora detta restrizione ecceda
quanto è necessario al conseguimento dell’obiettivo effettivamente perseguito da
tale disposizione, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

ha richiesto la autorizzazione di polizia di cui all’art. 88 Tulps, e che detta
autorizzazione gli è stata negata.
5. Alla stregua dei rilievi che precedono, la Corte ha ripetutamente ricordato
che la giurisprudenza comunitaria ha infine affermato che gli artt. 49 TFUE e 56
TFUE devono essere interpretati nel senso che gli stessi ostano ad una
disposizione nazionale restrittiva la quale impone al concessionario di giochi
d’azzardo di cedere a titolo non oneroso, all’atto della cessazione dell’attività per
scadenza del termine della concessione, l’uso dei beni materiali e immateriali di
proprietà che costituiscono la rete dì gestione e di raccolta del gioco, qualora
detta restrizione ecceda quanto è necessario al conseguimento dell’obiettivo
effettivamente perseguito da tale disposizione, spettando al giudice del rinvio
“nazionale” la verifica in ordine alla effettiva eccedenza o meno di detta
restrizione.
5.1. E’ stato infatti chiarito che: 1) la disposizione nazionale, in quanto
suscettibile di rendere meno allettante l’esercizio dell’attività, costituisce una
restrizione delle libertà garantite dagli artt. 49 e 56 citt.; 2) la circostanza che le
autorità italiane abbiano deciso di modificare in un dato momento le condizioni di
accesso all’attività di raccolta di scommesse sul territorio, applicandosi a tutti gli
operatori partecipanti alla gara d’appalto del 2012 indipendentemente dal luogo
di stabilimento, non sembra rilevante ai fini della valutazione del carattere
discriminatorio, spettando tuttavia al giudice del rinvio una tale valutazione
all’esito di un’analisi globale delle circostanze proprie della procedura di gara; 3)
l’obiettivo della lotta alla criminalità collegata ai giochi e corrispondentemente
l’interesse a garantire la continuità dell’attività legale di raccolta delle
scommesse al fine di arginare lo sviluppo di un’attività illegale parallela, ove
questa fosse la ragione della norma (e spettando comunque al giudice del rinvio
individuare gli obiettivi effettivamente perseguiti), può costituire una ragione
imperativa d’interesse generale in grado di giustificare una restrizione delle
libertà fondamentali, tra le quali quella di stabilimento e/o di libera prestazione
di servizi; 4) spetta al giudice del rinvio valutare se la circostanza che la cessione
non sia imposta in modo sistematico ma avvenga solo dietro espressa richiesta
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E’ inoltre pacifico (cfr. pag. 1 del provvedimento impugnato) che il ricorrente

dell’Amministrazione dei Monopoli incida o meno sulla idoneità della disposizione
a raggiungere l’obiettivo perseguito; 5) il carattere non oneroso della cessione
forzata pare contrastare con il requisito di proporzionalità in particolare quando
l’obiettivo di continuità dell’attività autorizzata di raccolta di scommesse
potrebbe essere conseguito con misure meno vincolanti, quali la cessione forzata
ma a titolo oneroso a prezzi di mercato; 6) spetta infine al giudice del rinvio, nel
quadro dell’esame della proporzionalità della disposizione, tenere anche conto
del valore venale dei beni oggetto della cessione forzata.

dall’odierno ricorrente) che la circostanza che l’art. 1, comma 78, lett. b) n. 26,
della legge di stabilità 2011 (ove era appunto testualmente contemplata la
“cessione non onerosa ovvero la devoluzione della rete infrastrutturale di
gestione e raccolta del gioco all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato
all’atto della scadenza del termine di durata della concessione, esclusivamente
previa sua richiesta in tal senso, comunicata almeno sei mesi prima di tale
scadenza ovvero comunicata in occasione del provvedimento di revoca o di
decadenza della concessione”) sia stato successivamente abrogato dall’art. 1,
comma 948, della legge n. 208 del 2015, oggi non essendo dunque più vigente,
non incide sulla fattispecie all’esame della Corte; pretendendosi infatti dal
ricorrente la disapplicazione dell’art. 4 della legge n. 401 del 1989 in quanto
fondata sul trattamento discriminatorio provocato dalla previsione in oggetto, la
valutazione relativa deve essere formulata al momento in cui, non partecipando
la Centurion Bet al bando del 2012, e non essendo dunque stata rilasciata la
relativa concessione, l’esercizio dell’attività venne svolto in carenza di
autorizzazione; né la intervenuta abrogazione, che non ha avuto ad oggetto né
una norma di carattere penale né una norma extra-penale integratrice del
precetto penale del reato di cui all’art. 4 cit., ma, più semplicemente, una
disposizione, di carattere amministrativo, che rappresenterebbe, semmai, il
motivo della mancata partecipazione di Centurion Bet alle gare, può avere effetto
retroattivo nel senso della insussistenza del fatto-reato in tesi accusatoria
addebitato al ricorrente.
5.3. Del pari è stato ripetutamente chiarito che la valutazione demandata al
giudice nazionale in ordine alla eccedenza o meno di una disposizione, cui la
Corte stessa ha annesso comunque, in premessa, natura di restrizione dei diritti
di stabilimento e/o di libera prestazione dei servizi, non può che essere
effettuata globalmente sulla base dei parametri indicati nella sentenza stessa e
solo riassuntivamente appena sopra indicati.
6. Atteso ciò, non rilevano, per quanto detto, gli ulteriori profili legati alle
novelle introdotte con la legge di stabilità 2015, proprio in relazione al contenuto
delle censure dell’odierno ricorrente ed al fatto che in ogni caso, quanto alla
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5.2. In proposito, è stato già osservato (il rilievo è stato formulato anche

norma di cui all’art. 1, comma 644, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, erano
comunque esplicitamente tenute ferme le previsioni di natura penale.
Nel merito, correttamente il Procuratore generale ha dato conto che il
Tribunale del riesame ha già provveduto, con motivazione comunque non
apparente e non illogica che sfugge pertanto alla censura di violazione di legge
alla stregua dei principi che precedono, a concludere nel senso che la prevista
cessione dei beni (ed al riguardo il Tribunale ha inteso richiamare tanto i beni
materiali quanto quelli immateriali, come espressamente affermato nel primo

sacrificio inadeguato e sproporzionato, non rappresentando tale danno potenziale
un deterrente alla partecipazione alla gara ovvero uno svantaggio
economicamente apprezzabile.
Né, in ogni caso, le puntuali osservazioni contenute nel provvedimento
impugnato, quanto in particolare al valore dei beni colà presi in considerazione
anche avuto riguardo ai rilievi sul limite e sul criterio di valutazione della
proporzionalità, nonché al soggetto che avrebbe in tesi sopportato il pregiudizio,
appaiono sufficientemente contrastate, peraltro rappresentando questioni di fatto
estranee alla valutazione della Corte.
7. Va pertanto dichiarata l’inammissibilità del ricorso.
Tenuto infine conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte
costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per
ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria
dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen.,
l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma,
in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma il 20/01/2017

capoverso di pag. 4 del provvedimento impugnato) non si sarebbe risolta in un

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