Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18931 del 10/04/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 18931 Anno 2013
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: CAPRIOGLIO PIERA MARIA SEVERINA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PORCARO BENITO ENRICO N. IL 01/12/1939
avverso la sentenza n. 79/2011 TRIBUNALE di BENEVENTO, del
19/12/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PIERA MARIA SEVERINA CAPRIOGLIO
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Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

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Data Udienza: 10/04/2013

ritenuto in fatto
1. Con sentenza del giorno 19.12.2011, il Tribunale di Benevento condannava
PORCARO Benito Enrico alla pena di 800 euro di ammenda per il reato di cui all’art.
20 bis c. 1 e 2 L. 110/1975, essendo stato accertato che non custodiva le armi da
sparo e da taglio nella propria abitazione con le dovute cautele , posto che in casa
abitava un minore di diciotto anni.

del mar. Fallarino Gianluca che aveva operato la perquisizione, nelle ore pomeridiane
del 3.12.2008 e che aveva rappresentato che il prevenuto ebbe a custodire un fucile
appoggiato ad una parete ed una pistola cal. 7,65 con caricatore vuoto e nove
proiettili all’interno di cassetti della scrivania, aperti e privi di chiave; che inoltre ben
due spade in ferro di origine romane, ed una terza dell’esercito, erano state lasciate
appoggiate a terra, all’interno della camera occupata dalla moglie e dalla figlia di
undici anni. Veniva ritenuto che la custodia delle armi era del tutto inidonea,
poiché le cautele adottate non erano tali da impedire il facile impossessamento
dell’arma e delle cartucce cosicchè venivano ritenuti integrati gli estremi della
previsione normativa in contestazione.

2. Avverso tale pronuncia, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato
personalmente, per dedurre:
2.1 Inosservanza ed erronea applicazione di norme di legge: era stata eccepita
la nullità del decreto penale di condanna per violazione art. 460 cod.proc.pen.
perché privo della motivazione razionale degli elementi di prova e delle questioni
giuridiche e perché privo di un’autonoma formulazione di accusa che rappresenti il
vaglio dell’opinio delicti.
2.2 inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e delle norme
processuali ed in particolare degli artt. 234 e 243 cod.proc.pen.: le armi in questione
erano state regolarmente denunciate dal dante causa Porcaro Antonio, fu Beniamino,
avendosi riguardo ad armi di provenienza familiare. Il fucile era un pezzo di
antiquariato ed era privo di otturatore, mentre la sciabola da ufficiale e le due spade
romane erano tenute in una stanza sempre chiusa a chiave e con serramenti a
chiusura ermetica; la pistola era detenuta in un cassetto, separato dal caricatore
vuoto in uno studio, sempre e solo frequentato dall’imputato. La casa dell’imputato
era una villetta , ben protetta, con recinzione in ferro da tre lati, assicurata da due
porte di sicurezza con inferriate al piano terra. Mancherebbe la prova che quando
l’imputato si allontanava dall’abitazione non portasse con sé le chiavi dei locali ove
erano detenute le armi .

Il Tribunale affermava la colpevolezza dell’imputato, alla luce delle indicazioni

Secondo il ricorrente non sussisterebbe il reato, poiché le armi cui fa
riferimento l’art. 20 bis L. 110/75 sono solo quelle da sparo, con il che né i proiettili,
né le spade soggiacciono a tale normativa. Il Porcaro, essendo pensionato trascorre

l’intera giornata presso l’abitazione. La cautela adottata nel custodire le armi ( pistola
e sciabola) nel proprio studio, andava ritenuta più che adeguata, considerato che lo
studio era frequentato solo da lui.
2.3 inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e processuale ,

natura delle armi era tale da non indurre a preoccupazione , poiché il fucile era un
reperto storico, la pistola era priva di caricatore, che era custodito in altro cassetto,
laddove i proiettili erano custoditi in un terzo cassetto. Viene poi lamentata la
sottovalutazione della testimonianza De Pierro, che ebbe ad effettuare una perizia,
secondo cui tutte le volte che fu a casa del ,l’imputato ebbe a notare che la porta dello

studio

era chiusa, circostanza confermata anche dalla sorella dell’imputato.

Quest’ultima poi ebbe a riferire che la sciabola non era affatto affilata, ma era da
esposizione. Pertanto a detta dell’imputato il compendio indiziario

era

inequivocabilmente deponente per l’innocenza ed estraneità ai fatti e sarebbe stata
omessa la valutazione di importanti elementi in tale senso. La testimonianza del
Faltarino non sarebbe conforme a verità, non avendo mai parlato dello studio
dell’imputato, avendo negato l’esistenza delle chiavi dei cassetti della scrivania ed
avendo omesso di riferire su dati emergenti dal verbale di sequestro.
2.4 inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ed in particolare
violazione artt. 192 e 234 cod.proc.pen., manifesta illogicità della motivazione: il
processo decisionale , a seguito di dette omissioni sarebbe inficiato , al punto che
sarebbero state incluse anche le armi bianche che sono estranee alla previsione
normativa in questione.
2.5. Omessa concessione dei benefici di legge per non aver concesso le
circostanze attenuanti generiche e per non aver disposto la sospensione condizionale
della pena.

Considerato in diritto.
Il ricorso è fondato limitatamente alla doglianza afferente alla inclusione delle
armi da taglio nella previsione dell’art. 20 bis L. 110/75 , mentre è infondato nel

resto.
Il primo motivo è manifestamente infondato, considerato che a seguito
dell’intervenuta opposizione, il decreto penale di condanna inizialmente emesso perde
la sua efficacia, venendo revocato
“inaudita altera parte”

contestualmente alla chiusura della procedura

e l’apertura della strada del contraddittorio, correttamente

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travisamento del fatto , violazione artt. 192 cod.proc.pen. e 234 cod.proc.pen.:la

seguita nel caso di specie ed in cui entrambe le parti, in sede di giudizio
dibattimentale, chiesero l’ammissione delle prove a sostegno del proprio
argomentare, in relazione all’ipotesi di reato in contestazione, adeguatamente
enucleata.

Quanto al secondo motivo, deve essere ricordato che la sentenza impugnata,
sullo specifico addebito di omessa custodia, ha fatto riferimento alla realtà

scorgere il fucile (ancorchè antico e privo di otturatore) appoggiato ad una parete ,
ma soprattutto ebbe a riscontrare la presenza di pistola all’interno di cassetto della
scrivania, non assicurato con chiave e quindi di facile accesso, in una stanza adibita a
studio, all’interno della casa monofamiliare dell’imputato. Tale realtà percepita
direttamente dal militare non poteva che prevalere sui contributi offerti da altri
testimoni, quanto alle abitudini del Porcaro a chiudere a chiave i cassetti della
scrivania ovvero il locale studio, risultati clamorosamente smentiti dalla evidenza
apparsa direttamente in sede di perquisizione, operata in ore pomeridiane e
rappresentata in dibattimento. Tale deposizione, nulla induceva a ritenerla forzata,
non aderente al dato percepito, ovvero volutamente stornante dalla verità, ragion per
cui si imponeva di ritenere -come del resto ha opinato il giudice di merito- non
rispondenti alle abitudini dell’imputato le accortezze indicate dal testimoniale a cui
ha fatto riferimento la difesa nell’atto di appello, che non possono fungere da
indicatori significativi , una volta appurata una diversa realtà.
Non sono in contestazione nè la provenienza delle armi, sicuramente lecita, né
la legittimità della detenzione, quanto il fatto che dette armi non vennero custodite
con la dovuta cautela, in ragione non tanto di un pericolo esterno (atteso che la casa
dell’imputato era adeguatamente assicurata), ma di un pericolo interno, vivendo in
detta abitazione un minore degli anni diciotto (la figlia dell’imputato, all’epoca di
undici anni). Sul punto la sentenza impugnata ha correttamente recepito
l’insegnamento di questa Corte, secondo cui il reato di omessa custodia di armi è un
reato di mera condotta e di pericolo, che si perfeziona per il solo fatto che l’agente
non abbia adottato le cautele necessarie, sulla base di circostanze da lui conosciute o
conoscibili con l’ordinaria diligenza, indipendentemente dal fatto che una delle
persone indicate dalla norma incriminatrice -minori, soggetti incapaci, inesperti o
tossicodipendenti – sia giunta a impossessarsi dell’arma o delle munizioni, in quanto è
necessario che, sulla base di circostanze specifiche, l’agente possa e debba
rappresentarsi l’esistenza di una situazione tale da richiedere l’adozione di cautele
specifiche e necessarie per impedire l’impossessamento delle armi da parte di uno dei
soggetti indicati (Sez. V 30.10.2007, n. 45964). La conservazione delle armi
all’interno di un mobile o scrittoio, chiuso anche a chiave, ma con chiave
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direttamente percepita dal maresciallo dei Carabinieri Fallarino, che non solo ebbe a

immediatamente reperibile, non integra una cautela sufficiente ad impedire l’accesso
all’arma medesima da parte di soggetti, quali i minori, non adeguatamente preparati
a conoscere gli effetti micidiali dell’uso dell’arma stessa ( Sez. I, 25.1.2005, n.
5435). Di qui la ritenuta fondatezza dell’addebito di mancanza di cautela per le armi
da fuoco e relative munizioni e la non apprezzabilità anche del terzo motivo di ricorso.
Quanto al quarto motivo, deve essere premesso che la previsione dell’art. 20
bis L. 110/75 va effettivamente limitata alle sole armi da sparo, con esclusione delle

norma citata, che al c. 2 fa riferimento alla omessa custodia di armi, munizioni ed
esplosivi di cui al c. 1 , laddove in detto comma vengono richiamate le armi indicate
nel primo e secondo comma dell’art. 2 L. 110/75, norma che ha riguardo
esclusivamente alle armi e munizioni comuni da sparo. Dunque la contestazione che

ha richiamato l’omessa custodia anche delle armi da taglio non è corretta, in quanto
divergente dal dettato normativo.
La sanzione inflitta è stata determinata peraltro solo in riferimento alle armi da
sparo, in relazione alle quali, soltanto, la motivazione della sentenza si è dilungata.
Pertanto non si fa luogo alla riduzione della pena che non ha avuto riguardo
alle armi da taglio, ancorchè si debba ritenere di non addebitare le spese del
processo al ricorrente , alla luce di una fondata ragione di ricorso.
Quanto alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale
della pena, deve essere sottolineato che la stessa ha trovato la sua ragione nel fatto
che il beneficio non fu richiesto in primo grado: è principio affermato da questa Corte
quello secondo cui non può essere attribuito al decidente il mancato esame della
richiesta di applicazione del beneficio, laddove emerga che fu richiesta solo
l’assoluzione ex art. 530 cod.proc.pen. ( Sez. III, 12.4.2012, n. 23228). La mancata
richiesta ha indotto il primo giudice a correttamente ritenere che non fosse
conveniente per l’imputato usufruire del beneficio, a fronte di pena solo pecuniaria.

p.q.m.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla omessa custodia
delle armi da taglio perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, addì 10 Aprile 2013.

armi da taglio. Ad opinare in tale senso conduce inequivocabilmente la lettera della

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