Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18929 del 09/04/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 18929 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: PRESTIPINO ANTONIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
RAFFAELLI JURGEN n. il 9.6.1975
avverso l’ORDINANZA del TRIBUNALE DELLA LIBERTA’ di TRENTO
del 28.8.2103
Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal consigliere
PRESTIPINO ANTONIO
Sentito il Procuratore Generale, in persona del dr. SANTE SPINACI, che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 09/04/2014

Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 27.8.2013, il Tribunale della Libertà di Trento rigettava la richiesta di
riesame proposta da Raffaelli Jurgen avverso l’ordinanza di custodia cautelare in
carcere emessa nei suoi confronti dal gip dello stesso tribunale in relazione
all’alternativa contestazione dei reati di cui agli artt. 643 e 640 c.p. Secondo l’accusa,
l’indagato aveva approfittato dello stato di confusione mentale della persona offesa per
indurla a consegnargli consistenti somme di denaro.
Ha proposto ricorso per cassazione il Raffaelli per mezzo del proprio difensore,
deducendo con i primi due motivi il vizio di violazione di legge e il difetto di motivazione
dell’ordinanza impugnata in ordine alla valutazione della gravità indiziaria per entrambe
le ipotesi di reato in contestazione. In particolare, in ordine al reato di cui all’art. 643
c.p. il tribunale non avrebbe considerato che mancherebbe in atti l’accertamento della
situazione di incapacità della vittima; in ordine al reato di truffa, i giudici territoriali non
avrebbero individuato gli artifici presuntivamente posti in essere dall’indagato.
Con l’ultimo motivo, la difesa eccepisce il vizio di violazione di legge e la
contraddittorietà della motivazione sulla questione di competenza territoriale sollevata
nel corso del procedimento di riesame.
Con motivi aggiunti, la difesa ha ulteriormente approfondito la questione di competenza
territoriale.
Considerato in diritto
Il ricorso è manifestamente infondato.
La gravità indiziaria è stata correttamente ritenuta dal Tribunale già in relazione al reato
di cui all’art. 643 c.p. che non presuppone, come sembra ritenere la difesa, una vera e
propria condizione di incapacità di intendere e di volere del soggetto passivo, essendo
sufficiente anche una situazione di relativa deficienza psichica o anche di
suggestionabilità della vittima, che la renda particolarmente vulnerabile alle insidie
altrui (giurisprudenza pacifica).
Nella specie, il Tribunale rileva efficacemente che la persona offesa consegnò al
ricorrente le somme occorrenti per le spese di un funerale in misura esorbitante rispetto
al normale impegno economico richiesto per l’occorrenza e senza tener conto degli
espliciti avvertimenti della direttrice dell’istituto bancario dove fu effettuata la consegna
di denaro sull’esosità dell’importo sborsato, e sull’opportunità che la vittima si
rivolgesse direttamente all’agenzia di pompe funebri coinvolta.
Peraltro, anche in ordine all’alternativa contestazione della truffa le deduzioni difensive
appaiono quanto meno insufficienti, limitate come sono alla considerazione che l’accusa
avrebbe soltanto presunto il comportamento decettivo del ricorrente, consistito nella
falsa rappresentazione delle precarie condizioni di salute della propria madre,
circostanza sulla veridicità della quale la difesa non interloquisce in alcun modo.
Quanto alla questione di competenza territoriale, il Tribunale ha sostanzialmente
escluso, con logico argomentare, gli estremi oggettivi e soggettivi dei reati in
contestazione con riferimento alla prima dazione di denaro effettuata dalla persona
offesa in favore del ricorrente in luogo compreso nella circoscrizione del tribunale di
Rovereto. Nel provvedimento si legge infatti che si trattò di somme di modesto importo
subito restituite alla persona offesa, e d’altra parte l’imputazione cautelare fa chiaro
riferimento a somme definitivamente trattenute dal ricorrente e corrispondenti ad uno
speculare danno effettivo della vittima.
Alla stregua delle precedenti considerazioni, il ricorso va pertanto dichiarato
inammissibile, con la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000 alla cassa delle
ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella
determinazione della causa di inammissibilità. La cancelleria dovrà provvedere agli
adempimenti di cui all’art. 94 comma 1 ter disp. Att. cod. proc. pen.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1000 alla cassa delle ammende. Si prov eda a norma
dell’art. 94 comma 1 ter disp. Att cod. proc. pen.
Così decis in qma, nella camera di consiglio, il 9.4. .2014
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