Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18925 del 12/02/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 18925 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: IASILLO ADRIANO

Data Udienza: 12/02/2014

SENTENZA

Sul ricorso proposto da Seppione Antonio (n. il 27/03/1951), avverso
l’ordinanza del Tribunale di Napoli, in data 30/09/2013.
Sentita la relazione della causa fatta dal Consigliere Adriano lasillo.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Luigi Riello, il
quale ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
Udito l’Avocato Maria Capria — difensore di ufficio di Seppione Antonio — che
ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
Osserva:

a

Con ordinanza dell’i 1/09/2013, il G.I.P. del Tribunale di Napoli dispose
la misura cautelare della custodia in carcere di Seppione Antonio, indagato
per i reati di estorsione (capo A) e tentata estorsione aggravata ex art. 7 L.
203/1951 (capo B) in concorso con altre persone.
Avverso il provvedimento di cui sopra l’indagato propose istanza di
riesame. Il Tribunale di Napoli, con ordinanza del 30/09/2013, confermò il

203/1991 (del capo B).
Ricorre per cassazione l’indagato deducendo la nullità dell’ordinanza
applicativa della misura cautelare in quanto la denuncia della P.O. messa a
disposizione del G.I.P. era incompleta (mancava di una pagina, come
certificato anche dalla segreteria del P.M.). Il ricorrente si duole, poi, della
motivazione con la quale si esclude che nel caso di specie possa ravvisarsi il
reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni: sottolinea che agli atti non vi
è alcun elemento dal quale dedurre l’illiceità del credito da lui vantato nei
confronti della Persona Offesa. Infine deduce la contraddittorietà della
motivazione con la quale il Tribunale da un lato esclude l’aggravante di cui
all’art. 7 L. 203/1991 per il solo ricorrente e dall’altra conferma il ruolo di
ideatore e istigatore dello stesso ricorrente per i reati materialmente
commessi da altri per i quali non è stata esclusa la predetta aggravante.
Il ricorrente conclude, quindi, per l’annullamento dell’impugnata
ordinanza.

motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.
Infatti per quanto riguarda la trasmissione del P.M. al G.I.P. della
denuncia della P.O. mancante di una pagina il Tribunale ha correttamente
evidenziato che la mancanza della pagina di cui sopra è stata colmata dal
fatto che la quasi intera denuncia era stata riportata nell’informativa della
P.G. presa in esame dal G.I.P.; si deve, poi, rilevare che nessuna
contestazione viene sollevata sul contenuto della denuncia (la pagina
mancante è stata successivamente acquisita dal Tribunale) su come l’ha
letta e recepita il G.I.P. e sull’incidenza avuta sulla ricostruzione del fatto

(2,

provvedimento impugnato escludendo l’aggravante di cui all’art. 7 L.

l’omessa trasmissione della pagina 3 della predetta denuncia. Fatto che, tra
l’altro, non è oggetto di contestazione. In proposito si deve sottolineare che
questa Suprema Corte ha affermato il principio — condiviso dal Collegio — che
in tema di riesame, non costituisce violazione dell’art. 309 comma quinto cod.
proc. pen. la circostanza che il PM, selezionando gli atti da produrre a
sostegno della richiesta di applicazione della misura cautelare, abbia
trasmesso, in luogo della videoregistrazione del fatto oggetto di indagine, il

verbale di arresto in cui erano riportati i dati relativi a quanto videoregistrato,
posto che all’accusa compete la direzione dell’inchiesta e la scelta degli atti
su cui basare la richiesta della misura (nella fattispecie questa Corte ha
rilevato che, peraltro in assenza di qualunque dubbio circa l’omessa
trasmissione di elementi favorevoli all’indagato, il GIP non aveva comunque
mai preso visione della videoregistrazione ed aveva considerato per
l’emissione della misura i verbali di arresto, regolarmente trasmessi al
Tribunale del riesame; Sez. 6, Sentenza n. 39923 del 12/06/2008 Cc. – dep.
24/10/2008 – Rv. 241874).
Il resto del ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 591 lettera c)
in relazione all’art. 581 lettera c) cod. proc. pen., perché le doglianze (sono le
stesse affrontate dal Tribunale) sono prive del necessario contenuto di critica
specifica al provvedimento impugnato, le cui valutazioni, ancorate a precisi
dati fattuali trascurati nell’atto di impugnazione, si palesano peraltro immuni
da vizi logici o giuridici. Infatti il Tribunale — dopo aver legittimamente
richiamato la condivisa motivazione del provvedimento genetico – ha con
esaustiva, logica e non contraddittoria motivazione, evidenziato tutte le
ragioni per le quali ritiene sussistente il reato di estorsione e non già quello di
esercizio arbitrario delle proprie ragioni e perché pur essendo il ricorrente
l’artefice e l’istigatore delle condotte estorsive non si possa sostenere che sia
stato proprio lui ad indicare agli esecutori delle predette estorsioni l’uso del
metodo mafioso poste in essere dai coindagati.
A fronte di tutto quanto sopra esposto il ricorrente contrappone, quindi,
solo generiche contestazioni in fatto. In proposito questa Corte ha più volte
affermato il principio, condiviso dal Collegio, che è inammissibile il motivo di
ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le
ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle dell’atto di

3

impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento
censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce, ex art. 591,
comma primo, lett. c), cod. proc. pen. all’inammissibilità (si veda fra le tante:
Sez. 1, sent. n. 39598 del 30.9.2004 – dep. 11.10.2004 – rv 230634).
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve

ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della
somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti. Inoltre, poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione
in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1 ter,
delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia
della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui
l’indagato trovasi ristretto perché provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis
del citato articolo 94.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di mille euro alla cassa delle ammende.
Si provveda a norma dell’articolo 94 delle disposizioni di attuazione del
codice di procedura penale.

Così deliberato in camera di consiglio, il 12/02/2014.

essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché –

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