Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18923 del 12/02/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 18923 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da Pappalardo Rosario (n. il 26/07/1977), avverso
l’ordinanza del Tribunale di Genova, in data 08/10/2013.
Sentita la relazione della causa fatta dal Consigliere Adriano lasillo.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Luigi Riello, il
quale ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
Udito l’Avvocato Maria Caprio — difensore di ufficio di Pappalardo Rosario —
che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
Osserva:

Data Udienza: 12/02/2014

Con ordinanza del 29.08.2013, il G.I.P. del Tribunale di Genova
rigettava l’istanza del Pappalardo (indagato per il reato di rapina) di revoca o
sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli
arresti domiciliari.
Avverso il provvedimento di cui sopra l’imputato propose appello, ma il
Tribunale di Genova, con ordinanza dell’08/10/2013, la respinse

nuovo che consentisse una rivalutazione del quadro indiziario e cautelare
così come era stato già valutato dal Tribunale. In particolare il Tribunale
sottolineava che le dichiarazioni del teste Mohammed – raccolte dalla difesa
— che segnalavano dissapori tra l’indagato e la teste Conti erano: generiche;
de relato e la fonte non era stata neppure indicata; e comunque non
inficiavano il quadro indiziario.
Ricorre per cassazione Pappalardo Rosario deducendo la
contraddittorietà della motivazione sotto il profilo della sussistenza dei gravi
indizi di reato; indizi che vengono singolarmente sottoposti a critica.
Il ricorrente conclude, quindi, per l’annullamento dell’impugnata
ordinanza.

motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 591 lettera c) in
relazione all’art. 581 lettera c) cod. proc. pen., perché le doglianze sono prive
del necessario contenuto di critica specifica al provvedimento impugnato, le
cui valutazioni, ancorate a precisi dati fattuali trascurati nell’atto di
impugnazione, si palesano peraltro immuni da vizi logici o giuridici. Infatti, il
Giudice di merito espone, in modo chiaro ed esaustivo, che: si è formato il
giudicato cautelare sia sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza sia
sulle esigenze cautelari che si è ritenuto salvaguardate solo dalla misura
della custodia in carcere; che le dichiarazioni del teste Mohammed – raccolte
dalla difesa — che segnalavano dissapori tra l’indagato e la teste Conti erano:
generiche; de relato e la fonte non era stata neppure indicata; e comunque
non inficiavano il quadro indiziario. Orbene, il ricorrente nel ricorso nulla dice
sulla deposizione del teste della difesa Mohammed (che era l’unico elemento

sottolineando che nell’appello non era stato evidenziato alcun elemento

nuovo che sarebbe potuto servire per superare il giudicato cautelare) e si
limita ad una generica contestazione dei singoli indizi, “dimenticando” l’esito
delle intercettazioni dove il Pappalardo si riferisce alle modalità di spartizione
del danaro provento della rapina.
Si deve, in proposito, ricordare che questa Suprema Corte ha più volte
affermato il principio — condiviso dal Collegio – che in tema di misure cautelari

cautelare viene meno soltanto in presenza di un successivo, apprezzabile,
mutamento del fatto; ne consegue che, in difetto di nuove acquisizioni
probatorie che implichino un mutamento della situazione di fatto sulla quale
la decisione era fondata, le questioni dedotte a sostegno di una richiesta di
revoca presentata dall’interessato restano precluse (Sez. 5, Sentenza n.
17986 del 09/01/2009 Cc. – dep. 30/04/2009 – Rv. 243974; si veda anche
Sez. U, Sentenza n. 18339 del 31/03/2004 Cc. – dep. 20/04/2004 – Rv.
227359). Inoltre, una volta formatosi il giudicato cautelare, solo la
sopravvenienza di fatti nuovi può giustificare la rivalutazione di quelli già
apprezzati e rendere possibile la revoca o la modifica della misura applicata
(fattispecie in tema di revoca della custodia cautelare in carcere; Sez. 1,
Sentenza n. 19521 del 15/04/2010 Cc. – dep. 24/05/2010 – Rv. 247208).
A fronte di ciò, come si è già detto, il ricorrente contrappone solo
generiche contestazioni in fatto. Appare opportuno ricordare, in proposito,
che questa Corte ha più volte affermato il principio, condiviso dal Collegio,
che è inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione
della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e
quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le
affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di
aspecificità, che conduce, ex art. 591, comma primo, lett. c), cod. proc. pen.
all’inammissibilità del ricorso (Si veda fra le tante: Sez. 1, sent. n. 39598 del
30.9.2004 – dep. 11.10.2004 – rv 230634).
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve
essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché —
ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della

(nella specie: personali) l’effetto preclusivo di un precedente giudizio

somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti. Inoltre, poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione
in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1 ter,
delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia
della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui
l’indagato trovasi ristretto perché provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di mille euro alla cassa delle ammende.
Si provveda a norma dell’articolo 94 delle disposizioni di attuazione del
codice di procedura penale.

Così deliberato in camera di consiglio, il 12/02/2014.

del citato articolo 94.

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