Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18919 del 10/01/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 18919 Anno 2017
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: DI STASI ANTONELLA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PINTUS ARCANGELO, nato a Onanì il 02/11/1987

avverso la sentenza del 12/05/2015 della Corte di appello di Cagliari, sez.
dist. di Sassari

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Antonella Di Stasi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott.
Fulvio Baldi, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del
ricorso.

Data Udienza: 10/01/2017

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 12.5.2015, la Corte di appello di Cagliari, sez. dist. di
Sassari confermava la sentenza del Tribunale di Nuoro, con la quale Pintus
Arcangelo, a seguito di giudizio abbreviato, era stato dichiarato responsabile del
reato di cui all’art. 73, comma 5, dpr n. 309/1990 per illecita detenzione di una
quantità imprecisata di cocaina, e condannato alla pena di anni uno e mesi due di

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Pintus Arcangelo,
per il tramite del difensore di fiducia, articolando un unico motivo di seguito
enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto
dall’art. 173 comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
Il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla
sussistenza del reato contestato.
Argomenta che la sentenza impugnata fondava l’affermazione di
responsabilità sull’attività di intercettazione di comunicazione omettendo di
valutare elementi oggettivi di riscontro ed incorrendo in un grave travisamento
della prova, in quanto pur affermandosi che non emergeva alcun dato oggettivo
in ordine alla quantità e qualità della sostanza stupefacente si concludeva
inopinatamente per la sussistenza del disvalore del fatto; anzi dal contenuto della
intercettazione emergeva in maniera inequivocabile che l’imputato deteneva un
quantitativo minimo di pessima qualità che non era destinato alla vendita,
elementi decisivi per ritenere che non era stata superato la soglia del quantitativo
massimo detenibile; inoltre, anche il mancato accertamento della qualità della
sostanza rendeva arbitrario l’apprezzamento in ordine alla offensività della
condotta.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.11 ricorso va dichiarato inammissibile.
2. E’ pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come
debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che
riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del
gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità
del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa
come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni
argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento

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reclusione.

dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le
esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che
conduce, a norma dell’art. 591 comma 1, lett. c) cod. proc. pen., alla
inammissibilità della impugnazione (in tal senso sez. 2, n. 29108 del 15.7.2011,
Cannavacciuolo non mass.; conf. sez. 5, n. 28011 del 15.2.2013, Sammarco, rv.
255568; sez. 4, n. 18826 del 9.2.2012, Pezzo, rv. 253849; sez. 2, n. 19951 del
15.5.2008, Lo Piccolo, rv. 240109; sez. 4, n. 34270 del 3.7.2007, Scicchitano, rv.
236945; sez. 1, n. 39598 del 30.9.2004, Burzotta, rv. 230634; sez. 4, n. 15497

ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi
motivi proposti con l’appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per
l’insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate,
sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente
denunciano un errore logico o giuridico determinato (sez. 3, n. 44882 del
18.7.2014, Cariolo e altri, rv. 260608).
Inoltre, secondo la giurisprudenza di questa Corte, nella motivazione della
sentenza il giudice del gravame di merito non è tenuto a compiere un’analisi
approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame
dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che,
anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato,
le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto
decisivo. Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente
disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano
logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. sez. 6, n. 49970 del
19.10.2012, Muià ed altri rv.254107, Sez 3, n.7406 del 15/01/2015, dep.
19/02/2015, Rv.262423).La motivazione della sentenza di appello è del tutto
congrua, in altri termini, se il giudice d’appello abbia confutato gli argomenti che
costituiscono “l’ossatura” dello schema difensivo dell’imputato, e non una per una
tutte le deduzioni difensive della parte, ben potendo, in tale opera, richiamare
alcuni passaggi dell’iter argomentativo della decisione di primo grado, quando
appaia evidente che tali motivazioni corrispondano anche alla propria soluzione
alle questioni prospettate dalla parte (sez. 6, n. 1307 del 26.9.2002, dep.
14.1.2003, Delvai, rv. 223061).
3. Nella specie, La Corte di Appello ha risposto punto per punto alle censure
mosse dal ricorrente che ripropone gli stessi motivi proposti con l’appello e
motivatamente respinti in secondo grado.
3.1. In particolare, la Corte di merito ha chiarito come fosse dato irrilevante
il mancato sequestro della sostanza stupefacente, in quanto dal contenuto delle
intercettazioni, specificamente esaminato, emergeva chiaramente che l’imputato

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del 22.2.2002, Palma, rv. 221693). Ancora di recente, questa Corte di legittimità

ed il suo interlocutore parlassero di cocaina e che gli intercettati avessero la
volontà di rivendere a terzi la sostanza stupefacente (pag 4 e 5 della sentenza
impugnata); ha, poi, rimarcato che, come evincibile dalle dichiarazioni
intercettate, la sostanza stupefacente detenuta dal Pintus fosse offensiva in
concreto in quanto dotata di efficacia drogante (pag 5 della sentenza impugnata).
Va ricordato che secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte, che
va ribadita, in tema di stupefacenti, il reato di detenzione a fini di spaccio o quello
di spaccio non sono condizionati, sotto il profilo probatorio, al sequestro o al

essere dimostrata attraverso le risultanze di altre fonti probatorie quali, come nella
specie, il contenuto delle intercettazioni (Sez.4, n.46299 del 28/10/2005,
Rv.232826; Sez.4, n.48008 del 18/11/2009, Rv.245738; Sez.2, n.19712 del
06/02/2015, Rv.263544). Inoltre, in tema di stupefacenti, ai fini della
configurabilità del reato di cui all’art. 73, d.P.R. n. 309 del 1990, pur potendosi
prescindere dall’accertamento dell’entità del principio attivo presente nella
sostanza oggetto di contestazione, è necessario dimostrare che questa abbia in
concreto effetto drogante ovvero sia in grado di produrre alterazioni psico-fisiche
(Sez.4, n.4324 del 27/10/2015, dep.02/02/2016, Rv.265976).
3.2. La Corte di merito ha anche chiarito come fosse irrilevante e, quindi, non
decisiva, la prova del quantitativo di sostanza stupefacente detenuto in quanto la
finalità di spaccio emergeva chiaramente dal contenuto della comunicazione
intercettata.
Va evidenziato, a tal proposito, che, in tema di reati concernenti le sostanze
stupefacenti, la detenzione di un quantitativo inferiore al limite stabilito con D.M.,
in attuazione della nuova normativa introdotta con L. n. 49 del 2006, non esclude
la destinazione illecita, qualora la detenzione sia qualificata da elementi di fatto
che inducano a ravvisare quel finalismo che è tuttora elemento costitutivo del
delitto di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990; parallelamente, il mero
superamento del predetto limite può assumere valenza meramente indiziaria della
destinazione della sostanza all’uso non esclusivamente personale, e non è
sufficiente ad integrare il reato, in presenza di elementi di segno opposto,
prospettati dall’imputato o comunque emergenti “ex actis” (Sez.4, n.31103 del
16/04/2008,Rv.242110; Sez.6,n.48434 de /20/11/2008,Rv.242139).
3.3. Pertanto, la motivazione espressa è congrua e priva di vizi di logici ed in
linea con i principi di diritto suesposti; essa si sottrae, quindi, al sindacato di
legittimità.
Il ricorrente, peraltro, attraverso una formale denuncia di vizio di motivazione,
richiede sostanzialmente una rivisitazione, non consentita in questa sede, delle
risultanze processuali.
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rinvenimento di sostanze stupefacenti, poiché la consumazione di tali reati può

4. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen,
non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al
pagamento della sanzione pecuniaria nella misura ritenuta equa indicata in
dispositivo.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 2.000,00 in favore della
Cassa delle Ammende.
Così deciso il 10/01/2017

Il Consigliere estensore
Anton

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Il Presidente
Aldo Cavallo

((Qi

CAS2&A3*,..,

P.Q.M.

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