Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18918 del 18/03/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 18918 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FORMICA MARIO N. IL 25/05/1955
avverso l’ordinanza n. 50/2013 TRIB. LIBERTA’ di RIMINI, del
15/06/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO
PEZZELLA;
104e/sentite le conclusioni del PG Dott. kedo aeeccu ito

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Data Udienza: 18/03/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Con decreto del 18.5.2013 il GIP Tribunale di Rimini, nell’ambito del

procedimento penale a suo carico disponeva il sequestro per equivalente ex art.
322ter cod. pen, di un complesso di beni appartenenti a FORMICA MARIO o
comunque ritenuti nella sua disponibilità.
FORMICA MARIO è indagato per il reato di cui agli articoli 81 cpv. e 5
D.Ivo 74/2000 perché, consumando nel tempo plurime violazioni della medesima
norma di legge, quale amministratore unico dal 10 marzo 2005 al 26 marzo
Marino) in Strade degli Angariari 25 e con sede amministrativa di fatto in Rimini,
e quale amministratore di fatto dal 26 marzo 2010 a tutt’oggi, al fine di evadere
le imposte sui redditi e sul valore aggiunto pur essendovi obbligato, ometteva di
presentare per gli anni d’imposta dal 2007 al 2011, le relative dichiarazioni
annuali, evadendo le imposte per un importo superiore alle soglie di punibilità. Si
tratta di importi considerevoli con evasioni di imposta per ciascun anno di
diverse centinaia di migliaia di euro.
Con provvedimento del 15.6.2013 depositato il 20.6.2013 il Tribunale del
Riesame di Rimini rigettava la richiesta di riesame ex art. 324 cod. proc. pen. e
per l’effetto confermava il decreto impugnato.
2. Ricorre per Cassazione contro tale ordinanza a mezzo del proprio

difensore, FORMICA MARIO lamentando:
a. violazione di legge (art. 606 lett. b) e c) cod. proc. pen.) con
particolare riferimento alla violazione del combinato disposto degli artt. 321 co. 2
cod. proc. pen. e 322ter cod. proc. pen. per erronea individuazione del bene
oggetto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nonché
per violazione dell’art. 125 cod. proc. pen. per totale mancanza di motivazione in
ordine alle ragioni che hanno comportato l’apprensione di beni delle società Alfad
Spa, Treeffe srl, Allegra srl, Mario Formica System srl; nonché dei beni
sequestrati appartenenti in comproprietà a Mario Formica e alla di lui moglie
Rossi Daniela, società e persona totalmente estranee ai reati contestati
all’indagato Mario Formica.
Il principale profilo di doglianza attiene alla non appartenenza e alla
mancanza di disponibilità della maggior parte dei beni sequestrati in capo
all’indagato Mario Formica.
Il ricorrente ricorda come nell’istanza di riesame avesse evidenziato come
la maggior parte dei beni fosse intestata a terzi e come, dunque, ci si sarebbe
aspettata particolare attenzione circa le ragioni per cui beni di terzi fossero da
considerarsi, in realtà, nella sua disponibilità. Ciò in particolare, perché, oltre a

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2010 di ARTEXPO’ S.A. (ora Spa), con sede legale in Falciano (Repubblica di San

beni personali dell’indagato erano stati sequestrati: 1) beni contestati a Mario
Formica e alla di lui coniuge, Daniela Rossi; 2) beni intestati a terzi, di cui, in
ipotesi, il Formica avrebbe la disponibilità.
Quanto ai suoi beni personali il ricorrente afferma che sarebbe stato
erroneamente ricondotto a tale categoria l’unico immobile, in Urbania, indicato di
sua proprietà (perlomeno quanto a 999 millesimi) ma che -come neppure
avrebbero smentito i giudici del riesame- è un bene di proprietà di una società
terza (la Allegra srl).
di motivare circa la disponibilità in capo all’indagato dei beni contestati alla
moglie.
Viene richiamata giurisprudenza di questa Corte di legittimità (in
particolar modo sez. 1 sent. n. 24092/2009) che in materia di sequestro
conservativo ha affermato che il sequestro conservativo sulle somme depositate
sul conto corrente bancario cointestato all’imputato e a persona estranea al reato
non può riguardare l’intero ammontare del danaro depositato, dovendosi
presumere la contitolarità tra gli intestatari del conto, salva la prova positiva
dell’esclusiva titolarità delle somme all’imputato. Nel caso esaminato dalla
Cassazione era stato poi ritenuto legittimo il sequestro, esteso all’intero
ammontare dei depositi, sulla base della prova che sul conto operava
esclusivamente l’imputato. Invece -si duole il ricorrente- nel caso in esame tale
prova mancherebbe del tutto, essendosi limitati gli inquirenti a segnalare
l’esistenza del conto e la cointestazione nella tabella allegata al rapporto della
Guardia di Finanza del 13/3/2013 agli atti.
Viene citata anche altra giurisprudenza di questa Sezione (sez. 3 sent. n.
23811/2012) in materia di sequestro finalizzato alla confisca per equivalente di
un immobile in comproprietà con terzi estranei al reato.
Il ricorrente lamenta di avere sottoposto tali doglianze il tribunale del
riesame che le avrebbe, a suo dire, totalmente ignorate.
Per quanto riguarda beni intestati a terzi, per lo più beni mobili (somme
su conti, dossier titoli, depositi e in genere rapporti bancari) ma anche beni
immobili appartenenti a società (Alfad spa , per la maggior parte dei beni in
sequestro, e Mario Formica System srl per una parte minore) che appaiono
estranee alle imputazioni di FORMICA MARIO viene ribadita la tesi cui si afferma
che il Tribunale di Rimini avrebbe risposto con motivazione apparente laddove ha
affermato ovvero ha inteso che sarebbero nella disponibilità dell’indagato in virtù
del rapporto organico che lo lega alle società stesse .
Viene richiamata cospicua giurisprudenza di legittimità (ex plurimis sez. 2
n. 17287/2011 secondo la quale “in tema di sequestro preventivo di beni

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Lamenta, altresì, come il Tribunale di Rimini avrebbe totalmente omesso

intestati al terzo estraneo al reato per il quale si procede, incombe sul pm,
l’onere di dimostrare l’esistenza di situazioni che avallino concretamente
l’esistenza di una discrasia tra intestazione formale e disponibilità effettiva del
bene, che consentano di ritenere che il terzo abbia accettato la titolarità
apparente del bene al solo fine di conservarne l’acquisizione in capo al soggetto
indagato e di neutralizzare il pericolo della confisca”.
Vengono richiamate le argomentazioni esposte nei motivi a sostegno del
riesame, posto che, secondo quanto afferma il ricorrente, le stesse non
b. violazione di legge penale processuale (art. 606 lett. c) cod. proc.
pen.), con particolare riferimento alla violazione dell’articolo 220 disp. att. cod.
proc. pen. e con riferimento all’articolo 125 cod. proc. pen. per totale mancanza
di motivazione sul punto.
Il ricorrente lamenta la violazione dell’articolo 220 disp. att. cod. proc.
pen., con conseguente richiesta di declaratoria di inutilizzabilità e/o di nullità
degli elementi probatori assunti in violazione della relativa disciplina, poiché
acquisiti senza il doveroso rispetto della necessità da parte della Guardia di
Finanza di agire in veste di polizia giudiziaria, previa la doverosa trasmissione
della notizia di reato al pubblico ministero.
Ci si duole che il tribunale del riesame sarebbe incorso in un errore
concettuale, sembrando confondere il concetto di indizio di verità con quello di
indizio di colpevolezza. Ciò nel punto in cui ha affermato che l’obbligo di seguire
la disciplina del codice di rito “non ricorre quando ancora non sono emersi indizi
di colpevolezza nei riguardi di chi è sottoposto all’atto ispettivo di vigilanza”.
Il provvedimento impugnato traviserebbe il tenore della norma citata, che
si limita a menzionare il concetto di indizi di verità e non quello di indizi di
col pevolezza.
Al di là di questo specifico aspetto, che secondo il ricorrente non sarebbe
esclusivamente lessicale, appare inconsistente la spiegazione circa il fatto che gli

sarebbero state per niente prese in esame dal Tribunale di Rimini

indizi e dunque il presupposto di applicazione dell’articolo 220 disp. att. cod.
proc. pen. sarebbero emersi soltanto in data 5 luglio 2012, quando c’è stata la
verifica sostanziale finalizzata a verificare l’assolvimento da parte di ARTEXPO’
SPA degli obblighi di imposta con la richiesta di esibizione delle scritture contabili
e della documentazione attinente all’attività di impresa della predetta società.
Ad avviso del ricorrente, invece, un quadro di possibile reità, secondo la
prospettazione accusatoria, sarebbe emerso già il 17 aprile 2012, attraverso le
acquisizioni probatorie consistiti nella apprensione delle e-mail dai computer
della società ALFAD.

4

i,

Conseguentemente delle due l’una: o la corrispondenza informatica
incriminata (come pure la documentazione già acquisita presso ALFAD ben prima
del 5 luglio 2012) deve ritenersi di per sé non iniziante oppure se la si utilizza
non potrà che derivarne la violazione dell’articolo 220 disp. att. cod. proc. pen..
c. violazione di legge penale processuale (art. 606 lett. c cod. proc. pen.)
con particolare riferimento a quanto previsto dall’articolo 405 co. 2 cod. proc.
pen. con riferimento all’art. 125 cod. proc. pen. per totale mancanza di
motivazione.
inutilizzabilità deve ritenersi l’attività investigativa posta in essere grazie al
decreto di perquisizione e sequestro probatorio emesso ed eseguito dopo la
notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari.
Questa circostanza, lungi dal dar luogo a mere irregolarità sarebbe idonea
per il ricorrente a determinare l’inutilizzabilità degli elementi acquisiti in
violazione del chiaro divieto probatorio.
In proposito, infatti, si rileva che, seppure si intendesse aderire
all’orientamento giurisprudenziale che ritiene non preclusa la possibilità di
svolgere investigazioni dopo l’avviso di cui all’articolo 415bis cod. proc. pen.,
resterebbe il fatto che il termine per lo svolgimento delle indagini doveva
comunque intendersi ampiamente spirato, con ciò determinando tutti i
presupposti per una declaratoria di inutilizzabilità ai sensi dell’articolo 407 co. 3
cod. proc. pen. L’iscrizione della notizia di reato risale infatti al 29/10/2012. Da
ciò dovrebbe desumersi l’inutilizzabilità degli elementi di prova acquisiti in
conseguenza della perquisizione disposta dal PM il 5/6/2013. Il provvedimento
impugnato non offrirebbe alcuna motivazione in ordine a tale doglianza.
d. violazione di legge (art. 606 lett. c cod. proc. pen.), con particolare
riferimento all’articolo 125 cod. proc. pen. per totale mancanza di motivazione in
ordine alle ragioni che hanno indotto il tribunale del riesame a riscontrare la
sussistenza del

fumus commissi delicti

del reato cui fa riferimento la

Viene riproposta la doglianza secondo cui parimenti foriera di

contestazione cautelare.
In particolar modo ci si duole che il Tribunale del riesame non riesca ad
argomentare realmente da quali elementi concreti venga effettivamente desunta
la presunta esterovestizione della società ARTEXPO’. Tanto più che è lo stesso
Tribunale del riesame ad ammettere l’inutilizzabilità del verbale di contestazione
predisposto dalla Guardia di Finanza sul quale sostanzialmente si fonda tutto il
compendio accusatorie.
La totale carenza della motivazione sarebbe dimostrata dall’apoditticità
della stessa che determinerebbe gli estremi della motivazione apparente.

5

4

Il tribunale del riesame, in tal senso, si sarebbe sostanzialmente limitato
– ad avviso del ricorrente- a richiamare il tenore del provvedimento gravato,
esplicitamente evocando la tesi della motivazione integratrice, senza realmente
rispondere ai motivi d’impugnazione proposti nell’interesse di Mario formica.
e. violazione di legge (art. 606 lett. c cod. proc. pen. con particolare
riferimento all’art. 5 D.Ivo 74/2000 e all’articolo 322ter cod. pen. per errata
quantificazione dell’imposta asseritamente evasa e con riferimento all’articolo
125 cod. proc. pen. per totale mancanza di motivazione sul punto.
seguito la ricostruzione del Gip sostanzialmente addossando all’odierno
ricorrente l’onere di provare l’entità dei costi deducibili dal totale del presunto
profitto sottratto al fisco.
In sostanza, come già la polizia tributaria, anche il giudice cautelare e il
Tribunale del riesame avrebbe sostanzialmente identificato il reddito di ARTEXPO’
nei ricavi della società per gli anni di imposta contestati. Ricavi, a loro volta,
desunti dai bilanci societari che Mario Formica, in quanto sollecitato, ha messo a
disposizione della Guardia di Finanza e dai quali sarebbero stati detratti
unicamente i costi la cui documentazione è stata reperita direttamente durante i
sopralluoghi svolti nella sede della società ALFAD.
Si denuncia, perciò, una contraddittorietà intrinseca dell’operazione logica
seguita da entrambi i giudici del merito cautelare, posto che i documenti di
bilancio o dovrebbero essere ritenuti probanti nella loro interezza oppure non lo
sono in nessuna parte.
Viene richiamata sul punto la giurisprudenza di questa Corte Suprema
secondo cui spetta al giudice penale la determinazione dell’ammontare di
imposta evasa, procedendo d’ufficio ai necessari accertamenti, eventualmente
mediante il ricorso a presunzione di fatto. Ma si ricorda che in sede penale il
giudice non può applicare le presunzioni legali o i criteri di valutazione validi in
sede tributaria, limitandosi a porre l’onere probatorio in ordine all’esistenza di

Il Tribunale del riesame -secondo la tesi proposta- avrebbe in proposito

costi deducibili a carico dell’imputato (così questa sez. 3 26.11.2008, Crupano,
rv. 243089 e anche 24277/2013 che afferma essere compito del tribunale del
riesame verificare la corretta determinazione del profitto a fronte di una
contestazione sul punto.
Chiede quindi, in relazione a tale punto, di rideterminare anche il
quantum del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente
riducendolo a € 114.192 oppure annullare il provvedimento impugnato con rinvio
al giudice del riesame per una nuova valutazione

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4

In data 29.11.2013 veniva presentato un motivo nuovo ex art. 585 co. 4
cod. proc. pen. con il quale si illustravano, con argomentazioni tecniche di
carattere tributario fiscale, le ragioni già poste a fondamento dei motivi sopra
indicati sub d) e sub e).
Si chiede pertanto che questa Corte voglia annullare e/o revocare
l’impugnato decreto di sequestro per equivalente emesso dal GIP di Rimini in
data 18-21.5.2013, e conseguentemente voglia disporre la cessazione della
quanto in sequestro agli aventi diritto; in via subordinata che, rideterminato il
profitto, voglia conseguentemente rideterminare anche il quantum del sequestro
preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, o comunque annullare il
provvedimento impugnato con rinvio al Giudice del Riesame per una nuova
valutazione sul punto .
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il motivo in premessa indicato sub a) è parzialmente fondato e,

pertanto, il ricorso merita di trovare accoglimento per le ragioni e nei limiti che si
andranno ad illustrare.
2. Va subito evidenziato che, al contrario, non sono fondati tutti gli altri

motivi di ricorso.
Ed invero, con gli stessi si sono proposte in questa sede nuovamente le
questioni già devolute al giudizio del tribunale del riesame e su cui quest’ultimo
aveva risposto con motivazione logica e coerente.
Quanto all’eccezione di inutilizzabilità degli atti acquisiti nel corso
dell’attività ispettiva della Guardia di Finanza, il tribunale del riesame premette
che è indubitabile che ai sensi dell’articolo 220 disp. att. cod. proc. pen. quando
nel corso di attività ispettive di vigilanza previste da leggi o decreti emergano
indizi di reato gli atti necessari per assicurare le fonti di prova o raccogliere
quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale vanno compiuti
con l’osservanza delle norme del codice di rito. Coerentemente, però, viene
rilevato che dalla disposizione stessa si evince per, converso, che tale obbligo
non ricorre quando ancora non siano emersi elementi di colpevolezza nei riguardi
di chi è sottoposto all’atto ispettivo o di vigilanza.
Il tribunale riminese motiva in fatto -con una motivazione non censurabile
in questa sede dove in materia di misure cautelari reali possono essere fatte
valere esclusivamente le violazioni di legge- chiarendo che al momento della
verifica ispettiva del 17 aprile 2012, in occasione della quale veniva acquisita la

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misura cautelare con riferimento a tale bene, e la conseguente restituzione di

documentazione in contestazione, non risultavano ancora essere emersi a carico
di Formica Mario quegli indizi di reato che si sarebbero delineati solo in occasione
degli accertamenti compiuti il 5 luglio 2012. Fu in tale ultima occasione, infatti,
che la Guardia di Finanza procedette ad un controllo sostanziale finalizzato a
verificare l’assolvimento da parte della Artexpò spa degli obblighi di imposta, con
la richiesta di esibizione delle scritture contabili e della documentazione attinente
l’attività di impresa della predetta società.
Pertanto, come rileva il Tribunale di Rimini nel provvedimento impugnato,

affetta da alcuna nullità o inutilizzabilità in quanto verificatasi prima
dell’emersione di indizi di reità a carico dell’indagato.
Quanto all’attività posta in essere successivamente alla verifica del 5
luglio 2012, viene evidenziato come la questione verrebbe a porsi
esclusivamente con riferimento al processo verbale di constatazione redatto dalla
Guardia di Finanza, atto che compendia i risultati dell’accertamento successivo
all’emergere degli indizi di reità.
Al riguardo può, tuttavia, condividersi l’interpretazione del giudice della
cautela secondo cui la questione del rispetto delle garanzie di cui all’articolo 220
disp. att. cod. proc. pen. involve esclusivamente la possibilità di acquisizione e di
utilizzazione di tale atto in sede dibattimentale, apparendo al contrario pacifico il
suo possibile inserimento all’interno del fascicolo del pubblico ministero e la sua
utilizzabilità nella fase delle indagini preliminari (ed eventualmente, in sede di
contestazioni, in dibattimento).
Quanto all’eccezione di inutilizzabilità degli atti di perquisizione e
sequestro compiuti il 5 giugno 2013, successivamente alla notifica dell’avviso ex
art. 415bis cod. proc. pen. e prima della presentazione della richiesta di rinvio a
giudizio, non appare integrata alcuna ipotesi di inutilizzabilità, laddove, come nel
caso che ci occupa, la relativa documentazione sia stata depositata e posta
immediatamente a disposizione degli indagati, non essendo ravvisabile alcuna
violazione dei diritti di difesa (cfr. sul punto questa sez. 3, n. 8049
dell’11.1.2007, Santagata e altro, rv. 236102 e sez. 1 n. 13349 del 17.5.2012,
D. , rv. 255050 richiamate nel provvedimento impugnato e anche sez. 5, n.
15042 del 18.1.2011, Mulè e altri, rv. 250165).
In ogni caso il giudice della cautela ha escluso che gli esiti di tale attività
integrativa di indagine possano essere determinanti ai fini del giudizio in ordine
alla sussistenza del fumus commissi delicti, già ampiamente desumibile dagli
altri elementi probatori indicati nel provvedimento.
Parimenti infondati risultano poi i motivi sopra indicati sub d) ed e).

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l’attività di acquisizione documentale poste in essere il 17 aprile 2012 non è

Con essi si lamentano violazioni di legge, ma, al di là di quanto indicato in
rubrica, in realtà con gli stessi si ripropongono argomentazioni di merito tese ad
offrire una lettura alternativa di quelli che sono i risultati delle indagini
preliminari, attività che non è consentita a questa Corte di legittimità.
3. Va ricordato che l’art. 325 cod. proc. pen. prevede, com’è noto, che
contro le ordinanza in materia di riesame di misure cautelari reali il ricorso per
cassazione possa essere proposto solo per violazione di legge.
tuttavia, più volte ribadito come in tale nozione debbano ricomprendersi sia gli
“errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così
radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del
provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza,
completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile
l’itinerario logico seguito dal giudice (vedasi Sez. U, n. 25932 del 29.5.2008,
Ivanov, rv. 239692; conf. sez. 5, n. 43068 del 13.10.2009, Bosi, rv. 245093).
Ancora più di recente è stato precisato che è ammissibile il ricorso per
cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur
consentito solo per violazione di legge, quando la motivazione del provvedimento
impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei
requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l'”iter” logico
seguito dal giudice nel provvedimento impugnato. (così sez. 6, n. 6589 del
10.1.2013, Gabriele, rv. 254893 nel giudicare una fattispecie in cui la Corte ha
annullato il provvedimento impugnato che, in ordine a contestazioni per i reati
previsti dagli artt. 416, 323, 476, 483 e 353 cod. pen. con riguardo
all’affidamento di incarichi di progettazione e direzione di lavori pubblici, non
aveva specificato le violazioni riscontrate, ma aveva fatto ricorso ad espressioni
ambigue, le quali, anche alla luce di quanto prospettato dalla difesa in sede di
riesame, non erano idonee ad escludere che si fosse trattato di mere irregolarità

La giurisprudenza di questa Suprema Corte, anche a Sezioni Unite, ha,

amministrative,).
Di fronte all’assenza, formale o sostanziale, di una motivazione, atteso
l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene dunque a
mancare un elemento essenziale dell’atto.
4. Ciò premesso, ritiene il Collegio che nel caso all’odierno esame, mentre
per i motivi di ricorso sopra indicati da sub b) a sub e) non si sia in presenza di
un deficit motivazionale tale da configurare l’errata applicazione di norme di
diritto, tale deficit sussista per quanto riguarda il motivo indicato sub a),

9

i

limitatamente ai beni sequestrati intestati alle società ALFAD s.p.a. , Mario
Formica System srl e al 50% dei beni cointestati tra l’indagato e la moglie.
Ciò in quanto si deve tener conto che nelle more del proposto ricorso, le
Sezioni Unite di questa Suprema Corte hanno affrontato il contrasto
giurisprudenziale determinatosi, per lo più in seno a questa sezione, dando una
risposta al quesito, con motivazione depositata il giorno precedente la presente
pronuncia, sul se sia possibile o meno disporre il sequestro preventivo,
finalizzato alla confisca diretta o per equivalente, nei confronti di beni di una
della stessa (Sez. Unite n. 10561 del 30.1.2014 dep. il 5.3.2014, Gubert).
Secondo alcune pronunce degli ultimi anni, infatti, con riferimento ai reati
tributari, sarebbe possibile applicare il sequestro preventivo funzionale alla
confisca per equivalente sui beni della persona giuridica, anche al di fuori dei casi
in cui la sua creazione era finalizzata a farvi confluire i profitti degli illeciti fiscali
quale “società schermo”. Ciò in ragione dell’affermazione che, sebbene il reato
tributario fosse addebitabile all’indagato, le conseguenze patrimoniali ricadevano
in ogni caso sulla società a favore della quale egli aveva agito, salvo che si fosse
dimostrata una rottura del rapporto organico. Secondo i fautori di tale tesi,
dunque, non era richiesto che l’ente fosse responsabile, ai sensi del D.Lgs. n.
231/2001, e lo stesso non poteva considerarsi terzo estraneo al reato perché
fruiva degli incrementi economici che erano derivati dallo stesso (così ex plurimis
sez. 3 n. 28731 del 19.7.2011, Soc. Coop. R. L. PR Burlando, non mass.; sez. 3
n. 26389 del 9.6.2011, Occhipinti, rv. 250679).
Di segno contrario erano state, invece, altre pronunce con le quali si era
affermata l’impossibilità di applicare l’istituto del sequestro preventivo funzionale
alla confisca per equivalente sui beni appartenenti alla persona giuridica, nei casi
in cui si procedeva per violazioni finanziarie commesse dal legale rappresentante
della stessa, in quanto gli articoli 24 e seguenti del D.Lgs. n. 231/2001 non
prevedono i reati fiscali tra le fattispecie in grado di giustificare l’adozione di un

persona giuridica per le violazioni tributarie commesse dal legale rappresentante

provvedimento siffatto, tranne che nel caso in cui la struttura aziendale
costituisca un apparato fittizio utilizzato dal reo per commettere gli illeciti, tanto
che ogni cosa fittiziamente intestata alla società sia immediatamente
riconducibile alla disponibilità dell’autore del reato (sez. 3, n. 25774 del
14.6.2012, PM in Proc. Amoddio e altro, rv 253062; sez. 3 n. 15349 del
23.10.2012 dep. il 3.4.2013, Gimeli, rv. 254739; sez. 3 n. 42350 del 10.7.2013,
PM in proc. Stigelbauer, rv. 257129; sez. 3 n. 42476 del 20.9.2013, Salvatori,
rv. 257353).
Le Sezioni Unite hanno optato, con le precisazioni che si illustreranno, per
tale seconda opzione, affermando i principi di diritto secondo cui:

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i

I. E’ consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro
preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni
direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi
della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o beni direttamente
riconducibili al profitto) sia nella disponibilità di tale persona giuridica.
/L Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per

equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il
profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa,
/1/. Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per

equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da
costoro commessi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di
denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di
reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a
costoro o a persona (compresa quella giuridica) non estranea al reato.
/V. La impossibilità del sequestro del profitto del reato può essere anche

solo transitoria, senza che sia necessaria la preventiva ricerca generalizzata dei
beni costituenti il profitto di reato.
5. Orbene, va ricordato che il procedimento odierno trae origine da un
accertamento fiscale eseguito dalla Guardia di Finanza di Rimini a carico della
società ALFAD s.p.a., amministrata da Formica Mario, con sede in Rimini, alla Via
San Martino in Riparotta 15.
Nell’occasione veniva acquisita la documentazione contabile ed
amministrativa della società, nonché una serie di e-mail inviate sulla casella di
posta elettronica aziendale in uso a Formica Mario, in qualità di amministratore
unico della società.
Va rilevato che non viene mai messo in discussione che la società ALFAD
s.p.a. operi effettivamente. Il che, come si vedrà in seguito, ha una rilevanza
circa la necessità di motivazione qualora si proceda, come nel caso che ci
occupa, per ipotesi di reato che riguardino altra società e se ne vadano ad
apprendere beni.
L’esame della documentazione della Alfad s.p.a. rivelava una fitta
corrispondenza tra Formica Mario e la società ARTEXPO’ S.A. (che poi diverrà
S.p.a.) società con apparente sede legale in San Marino, amministrata dal figlio
Formica Alessandro e della quale fino al 26 marzo 2010 era stato amministratore
lo stesso Formica Mario.
L’analisi dei documenti sequestrati consentiva di verificare che, in realtà,
il Formica Mario compiva le principali scelte aziendali e gestionali della società

11

salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio.

sanmarinese (in particolare, rapporti contrattuali, riepilogo delle posizioni
creditorie debitori, valutazione di preventivi di spesa) e che le stesse erano
accompagnate dalla puntuale trasmissione della relativa documentazione
(missive relative a richieste di preventivo, ordinativi e solleciti di pagamento,
estratti conto, prospetti di pagamento nei confronti dei fornitori, fatture, etc.).
Ciò consentiva di poter formulare l’ipotesi accusatoria della fittizia
esterovestizione della ARTEXPO’, che sarebbe stata amministrata da Formica
Mario parallelamente alla Alfad, operando di fatto in Italia e sottraendosi

Ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 73 co. 3 T.U.I.R. n. 917/87 ci si
troverebbe, dunque, di fronte ad una società che per la maggior parte del
periodo d’imposta che è stato contestato ha avuto la sede legale (coincidente
con quella dell’Alfad) o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel
territorio nazionale.
Nel provvedimento impugnato si dà conto in maniera analitica del fumus
del reato.
Parimenti si motiva in maniera logica e coerente e puntuale in ordine alla
fittizietà delle società Treeffe srl ed Allegra srl, società evidentemente che hanno
costituito un mero schermo attraverso il quale Formica Mario è riuscito a
sottrarre, di fatto, alle procedure esecutive a suo carico gli immobili di via
Vespucci 39 è quello di Urbania in via Monte Berticchio 22.
Vanno disattesi pertanto i profili di doglianza riproposti in questa sede che
attengono all’intervenuto sequestro di tali beni, in quanto il Tribunale di Rimini
ha puntualmente ha motivato circa l’effettiva disponibilità degli stessi in capo al
Formica Mario.
Va accolto parzialmente, invece, il motivo di ricorso che riguarda gli
ulteriori beni posti sotto sequestro che risultano nella contitolarità tra Formica
Mario e la moglie Rossi Daniela.
Quanto a tali beni il Collegio ritiene di condividere l’orientamento costante
di questa Corte secondo cui è possibile che le somme di denaro, depositate su
conto corrente bancario cointestato con un soggetto estraneo al reato, siano
soggette a sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, in
quanto quest’ultimo si estende ai beni comunque nella disponibilità dell’indagato,
non ostandovi le limitazioni provenienti da vincoli o presunzioni operanti, in forza
della normativa civilistica, nel rapporto di solidarietà tra creditori e debitori (art.
1289 cod. civ.) o nel rapporto tra istituto bancario e soggetto depositante (art.
1834 cod. civ.)…. (sez. 3, n. 45353 del 19.10.2011, dep. 6.1.2012, Calgaro, rv.
251317). Si ritiene, però, che, soprattutto per le somme di danaro e i beni
divisibili il sequestro non possa immotivatamente riguardare l’intero, dovendosi

12

all’imposizione fiscale nel nostro Paese.

presumere la contitolarità dei beni in questione, salva la prova positiva
dell’esclusiva titolarità in capo all’indagato (cfr. la richiamata sez. 1, n. 24092 del
26.5.2009, Palumbo, rv. 243935 che, però, riguarda il diverso caso del sequestro
conservativo).
Nel caso che ci occupa il Tribunale di Rimini non fornisce una motivazione
circa il perché abbia ritenuto che i beni in contitolarità tra Formica Mario e la
moglie, e nello specifico soprattutto il danaro sul conto corrente, fossero per
intero nella disponibilità dell’indagato.
limitatamente al 50% degli stessi, con rinvio al tribunale di Rimini per un nuovo
esame sul punto.
Analogamente andrà annullato con rinvio il provvedimento impugnato per
quanto riguarda i beni intestati alle società Alfad srl e Mario Formica System Srl,
entrambe società amministrate da Formica Mario e nella titolarità dei figli.
Come si evince da pag. 8 otto del provvedimento impugnato, infatti, il
sequestro finalizzato la confisca per equivalente viene motivato, in relazione a
tali beni, in ragione del rapporto organico esistente tra l’indagato e la persona
giuridica, a fronte di un’intestazione formale delle quote sociali a soggetti a lui
legati da uno stretto rapporto non solo parentale, ma anche di cointeressenza
economica.
Ciò, alla luce della già citata giurisprudenza affermatasi con la sentenza
delle Sezioni Unite Gubert, non è sufficiente, dovendosi, al contrario, verificare
se la società cui si vanno a sequestrare beni possano costituire un mero schermo
fittiziamente creato dall’indagato per sottrarre capitali all’imposizione tributaria.

6. Occorrerà ripercorrere alcuni punti della decisione del Supremo
Collegio al fine di verificare ed indicare al giudice di rinvio quali sono gli snodi
motivazionali attraverso i quali si può pervenire, eventualmente, alla confisca per
equivalente di beni (e quindi anche al sequestro finalizzato alla stessa) che siano

Su tale punto il provvedimento impugnato va pertanto annullato,

formalmente intestati ad una persona giuridica, a fronte di reati tributari
commessi dai suoi amministratori.
La prima e più importante verifica, che deve trovare riscontro in
motivazione, e quella che attiene alla possibilità che la persona giuridica stessa
sia in concreto priva di autonomia e rappresenti solo uno “schermo” attraverso
cui l’amministratore agisca come effettivo titolare.
Numerose sono le pronunce di questa Suprema Corte, richiamate dalle
stesse Sezioni Unite, che affermano tale principio (vedasi tra le tante sez. 3, n.
42476 del 20.9.2013, Salvatori, rv. 257353; sez. 3. n. 42638 del 26.9.2013,
Preziosi; sez. 3. n. 42350 del 10.7.2013, PM in proc. Stigelbauer, rv. 257129;

13

f

sez. 3 3182 del 14.5.2013, De Salvia, rv. 255871; sez. 3, n. 15349 del
23.10.2012, dep. il 3.4.2013, Gimeli, rv. 254739; sez. 3, n. 1256 del 19.9.2012
dep. il 10.1.2013, UniCredit spa, rv. 254796; sez. 3 , n. 33371 del 4.7.2012,
Failli; sez. 3, n. 25774 del 14.6.2012, Amoddio, rv. 253062; sez. 6, n. 42703 del
12.10.2010, Giani, non mass.).
In tal caso infatti – come rilevano condivisibilmente le SS.UU.- la
trasmigrazione del profitto del reato in capo all’ente non si atteggia alla stregua
di trasferimento effettivo di valori, ma si configura come un espediente
conseguenza che il denaro o il valore trasferito devono ritenersi ancora
pertinenti, sul piano sostanziale, alla disponibilità del soggetto che ha commesso
il reato, in apparente vantaggio dell’ente, ma nella sostanza a favore proprio.
Se ciò è provato, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per
equivalente è, dunque, consentito.
Allo stesso modo il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente sarà
possibile anche nei confronti di beni societari per i reati transnazionali,
consentendolo l’articolo 11 della legge 16.3.2006 n. 146 recante “Ratifica ed
esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine
organizzato transnazionale, adottati dall’Assemblea generale il 15 novembre
2000 ed il 31 maggio 2001”, che prevede la confisca obbligatoria, anche per
equivalente, per i reati di cui all’articolo 3 della stessa legge.
Nel caso che ci occupa, tuttavia, come detto, la motivazione della
sentenza impugnata non consente di comprendere se versiamo in una ipotesi di
società schermo. E la motivazione non pare far riferimento a reati transnazionali.
Come si diceva in precedenza, da quanto è dato di comprendere dal
provvedimento impugnato, la ALFAD s.p.a è una società che ha una sua vita ed
una sua operatività. E all’ombra di questa, in parallelo, il Formica Mario
gestirebbe, secondo la prospettazione accusatoria, la fittiziamente sammarinese
ARTEXPO’ s.p.a

fraudolento, non dissimile dalla figura dell’interposizione fittizia; con la

I beni sequestrati ad ALFAD s.p.a e alla Mario Formica system srl,
pertanto, non possono essere sequestrati soltanto perché nella disponibilità di
FORMICA MARIO in ragione del solo rapporto organico esistente tra l’indagato e
la società oggetto di indagini.
Le Sezioni Unite, infatti, hanno confutato una per una, nella sentenza
10561/2014, le argomentazioni di chi aveva affermato la possibilità di procedere
alla confisca per equivalente in capo alla persona giuridica sull’assunto tout court
della provata esistenza del rapporto organico esistente tra il soggetto indagato
della società, facendo discendere dalla mera disponibilità dei beni societari da
parte dell’indagato la possibilità di sequestrarli prima e di confiscarli poi.

14

4

Il Supremo Collegio evidenzia come simili conclusioni non tengano conto
che la confisca per equivalente debba basarsi su specifiche disposizioni di legge e
di come, non di rado, la persona giuridica sia il soggetto danneggiato dal reato,
tanto che promuove poi azioni di responsabilità verso l’amministratore che l’ha
esposta alle conseguenze civili del reato
Viene poi fatto notare come alla determinazione di procedere al sequestro
finalizzato alla confisca per equivalente si potrebbe pervenire solo dopo aver
affermato -e dimostrato- che la persona giuridica sia stata concorrente nel reato.
amministrativa e non una responsabilità penale degli enti (ai sensi del decreto
legislativo n. 231 dell’8.6.2001), derivandone che la società non può mai essere
autore o concorrente nel reato. Ma, soprattutto, le Sezioni Unite evidenziano
come il D.Igs 231/2001, che ha introdotto la responsabilità amministrativa degli
enti conseguente al reato, non contempla i reati tributari fra quelli per cui è
prevista tale responsabilità. E come gli articoli 19 e, soprattutto, 24 e seguenti
del Dlgs 231/2001 non prevedono i reati fiscali tra quelli idonei a giustificare la
confisca (ed il sequestro alla stessa finalizzato) per equivalente.
Viene anche ribadito, che, al di fuori dei casi in cui sia stato possibile
dimostrare che la società non sia che uno schermo fittizio, è assolutamente
normale -come nel caso che ci occupa – la disponibilità dei beni societari da
parte del suo amministratore, ma tale disponibilità deve ritenersi, fino a prova
contraria, nell’interesse dell’ente e in ragione della funzione che lo stesso ricopre.
Ciò in ragione della fondamentale distinzione tra il patrimonio della persona
giuridica e quello dei suoi amministratori, potendo l’appropriazione indebita in
tutto o in parte del primo da parte dei secondi integrare il reato di cui all’articolo
646 cod. pen. aggravato ai sensi dell’articolo 61 n. 11 cod. pen.
L’art. 1, comma 143, della legge 24.12.2007 n. 244, che ha previsto che
nei casi di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 8, 10bis, 10ter, 10quater e 11 del decreto
legislativo 10.3.2000, n. 74, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni

Nel nostro ordinamento, tuttavia, è prevista solo una responsabilità

di cui all’articolo 322ter del codice penale – rilevano ancora le Sezioni
Unite- non ha introdotto una previsione autonoma di confisca per equivalente,
ma si è limitato a richiamare l’articolo 322ter del codice penale. Tale ultima
norma si applica all’autore del reato, e, come si è detto, la persona giuridica non
può essere considerata tale.
7. Rimane sempre possibile, tuttavia, anche dopo la pronuncia delle
Sezioni Unite, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta di beni
direttamente riconducibili al profitto di reato tributario, compiuto dagli organi

15

4

della persona giuridica stessa, nella loro disponibilità personale o in quella della
persona giuridica.
Già in passato le stesse Sezioni Unite avevano rilevato, in proposito, che
non è rinvenibile in alcuna disposizione legislativa una definizione della nozione
di “profitto del reato” e che tale locuzione viene utilizzata in maniera meramente
enunciativa nelle varie fattispecie in cui è inserita, assumendo quindi un’ampia
“latitudine semantica” da colmare in via interpretativa (Sez. Unite, n. 26654 del
2.7.2008, Fisia Italimpianti S.p.A. ed altri). In detta pronuncia (con riferimento

state richiamate le consolidate affermazioni giurisprudenziali sulla nozione di
“profitto dei reato” contenuta nell’art. 240 cod. pen., secondo le quali:

“il profitto

a cui fa riferimento l’art. 240, comma 1, cod. pen., deve essere identificato col
vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato” (vedi Sez.
Unite 24.2.1993, n. 1811, Bissoli; 17.10.1996, n. 9149, Chabni Samir).
Consolidato è anche il principio che il profitto del reato, nel reato di
omesso versamento di ritenute certificate, coincide con l’importo delle ritenute
non versate (sez. 3, n. 45735 dell’8.11.2012, Bastianelli, rv. 253999).
Tuttavia le Sezioni Unite, con la sentenza 10561/2014, hanno affermato il
principio, come visto, che in ogni caso non è consentito il sequestro preventivo
finalizzato alla confisca per equivalente quando sia possibile il sequestro diretto
finalizzato alla confisca di danaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente
riconducibili al profitto di reato tributario.
Il giudice che disporrà il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per
equivalente dovrà, dunque, sempre motivare in ordine all’impossibilità del
sequestro diretto del profitto di reato.
Occorrerà prima verificare la percorribilità di tale strada per poi, con i
limiti che hanno individuato le Sezioni Unite per quanto concerne l’aggressione
dei beni societari, poter eventualmente percorrere, in via residuale, quella di cui
all’articolo 322ter cod. pen.
L’impossibilità della confisca diretta, tuttavia, sempre secondo il dictum di
Sezioni Unite 10561/2014 potrà essere tale anche solo in via transitoria, senza
che sia necessaria la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il
profitto del reato.

8. Per addivenire a questo, tuttavia, occorrerà provare che ci si trovi di
fronte al profitto del reato, con le difficoltà che ciò comporta, laddove questo, in
materia di reati tributari, è costituito, generalmente, da un risparmio di spesa.
Le stesse Sezioni Unite, nella loro recente pronuncia, non si sono
nascoste tali difficoltà, se sono arrivate a segnalare un’irrazionalità del sistema e

16

alla confisca di valore prevista dall’art. 19 del D.Lgs. 8.6.2001, n. 231) sono

ad auspicare un intervento del legislatore volto ad inserire i reati tributari tra
quelli per i quali sia configurabile una responsabilità amministrativa dell’ente ai
sensi del D.Igs 231/2001.
Al contempo, tuttavia, è stato evidenziato come la prova che ci si trovi di
fronte al profitto del reato possa dirsi raggiunta quando emerga dagli atti, o sia
comunque altrimenti provato, che somme equivalenti a quelle sottratte al
pagamento all’erario, siano state utilizzate dalla società, nello stesso contesto
temporale o, evidentemente, in quello immediatamente successivo, ad esempio,

9. Per i motivi sin qui delineati s’impone, pertanto, l’annullamento

dell’ordinanza impugnata, nei limiti di cui si è detto, con rinvio al Tribunale di
Rimini per nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla c.r. al Tribunale di Rimini limitatamente ai beni della società Alfad
s.p.a. , Mario Formica System srl e al 50% del valore dei beni cointestati tra
Formica Mario e la moglie. Rigetta, nel resto, il ricorso.
Così deciso in Roma il 18 marzo 2014
Il C

‘gliere es ensore

Il Presidente

per saldare debiti verso i fornitori, pagare gli stipendi, etc.

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