Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18916 del 18/03/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 18916 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI PALERMO
nei confronti di:
DI PIETRO GIUSEPPE N. IL 13/12/1941
avverso l’ordinanza n. 155/2013 TRIB. LIBERTA’ di PALERMO, del
15/05/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO
PEZZELLA;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. Receo 5?2,ezect4;- 0 , (212,re

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Data Udienza: 18/03/2014

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RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 15.5.2013 il Tribunale di Palermo ha accolto la
richiesta di riesame promossa nell’interesse di Di Pietro Giuseppe nella qualità di
1.r.p.t. della Di Pietro Corporation srl e pertanto ha revocato il sequestro
preventivo emesso dal GIP presso il Tribunale di Termini Imerese 1’11.4.2013
limitatamente ai beni di tale società.
Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente dei beni
della società o dell’indagato, fino alla concorrenza di 288.956 euro, era stato

relazione all’omesso versamento da parte dell’indagato dell’Iva dovuta per gli
anni di imposta 2009, 2010 e 2011, con un’evasione d’imposta complessiva pari
alla somma testé indicata.
Il Di Pietro era stato in precedenza colpito da analoga misura cautelare
reale per l’evasione dell’IVA relativa all’anno di imposta 2008 pari a euro
148.682 e -ricorda il PM in ricorso- una volta raggiunto dal primo sequestro
aveva scelto di rendere interrogatorio, nel corso del quale aveva ammesso di
avere omesso il pagamento dell’IVA anche per gli anni 2010 e 2011, mentre per
quanto attiene all’anno 2009 si era accertato essere in corso un altro
procedimento penale, che veniva riunito agli altri.

2. Ricorre per Cassazione il PM presso il Tribunale di Palermo, deducendo
l’erronea applicazione della legge penale ed in particolare degli artt. 322ter cod.
pen., 1 co. 143, I. n. 244/2007 e 19 co. 2 d.lgs. 231/2001 (art. 606 lett. b) cod.
proc. pen.) nonché mancanza di motivazione ex art. 606 co. 1 lett. e) cod. proc.
Pen.
il PM ricorrente ricorda l’orientamento di questa Corte Suprema che
legittima l’estensione del sequestro preventivo per equivalente in materia di reati
fiscali anche ai beni intestati alle società in nome e per conto delle quali tali reati
vengano commessi, sull’assunto che le persone giuridiche evidentemente non

disposto ravvisandosi il fumus dei reati di cui all’articolo 10ter D.Igs 74/2000 in

possono qualificarsi come terzi estranei rispetto a tali reati, trattandosi, semmai,
delle dirette destinatarie degli illeciti profitti conseguiti mediante l’evasione
fiscale.
Viene ricordato come nel caso di specie, in sede di richiesta di sequestro
preventivo, nel giustificare l’adesione all’orientamento espresso da questa Terza
Sezione nella sentenza 28731/2011, si era segnalato come l’impresa
rappresentata dall’odierno indagato, ossia la Di Pietro corporation Sri, alla luce
delle visure camerali in atto, altro non fosse che una società di medio-piccole
dimensioni a carattere sostanzialmente familiare e senz’altro riconducibile al
dominio esclusivo dell’amministratore Di Pietro Giuseppe.

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Ciò posto, quand’anche l’illecito profitto conseguito a mezzo del reato
tributario fosse transitato direttamente nella sfera giuridica della società, ciò non
varrebbe secondo il ricorrente ad escludere una responsabilità piena e diretta del
Di Pietro, amministratore unico, nonché socio dell’impresa e, come tale
beneficiario dei profitti, leciti ed illeciti, derivanti dall’attività economica
esercitata.
Ciò varrebbe in ogni caso -secondo la tesi proposta- anche nel caso in cui
accanto al Di Pietro vi fossero soggetti terzi, come, ad esempio, gli altri soci della

tramite l’evasione fiscale per cui si procede (si cita in proposito il dictum di sez. 2
n. 9786/2007.
Alla luce di tali considerazioni la Di Pietro Corporation srl non potrebbe
che qualificarsi come un vero e proprio “schermo” di carattere fittizio, di fatto
impiegato dall’indagato per esercitare l’attività di impresa secondo modalità
illecite in quanto ripetutamente elusive degli obblighi di natura fiscale in materia
di imposta sul valore aggiunto, non essendo evidentemente un caso che
l’evasione si sia annualmente reiterata a partire dall’anno 2008 sino al 2011.
Il PM ricorrente si duole che a fronte di tale quadro indiziario il tribunale
del riesame, con l’ordinanza impugnata, si sia semplicemente limitato ad aderire
in modo sostanzialmente apodittico a quell’orientamento della Suprema Corte
affermato nelle sentenze 25774/2012 e 1256/2013 secondo cui, in revisione del
precedente indirizzo ermeneutico, il sequestro preventivo per equivalente in
materia di reati fiscali non potrebbe estendersi ai beni intestati alle società in
nome per conto delle quali tali reati siano stati commessi.
Viene, tuttavia, evidenziato come, pure nell’ottica di tale orientamento
maggiormente restrittivo, rimanesse in piedi il principio per cui, laddove la
società costituisca un mero schermo fittizio utilizzato dal reo per commettere
delitti, allora sarà del tutto legittimo presumere che beni formalmente intestati
alla persona giuridica siano in realtà della piena disponibilità del suo
rappresentante fisico e, come tali, comunque assoggettabili a vincolo reale.
Sul punto viene ricordato in ricorso come fosse inequivoca la posizione
espressa da questa terza sezione nella sentenza numero 1256/2013, pure citata
nell’ordinanza impugnata, laddove, preso atto dell’orientamento restrittivo
emerso, era stata fatta “salva sempre l’ipotesi in cui la struttura aziendale
costituisca un apparato fittizio, utilizzato dal reo per commettere gli illeciti: in tal
caso infatti il reato non risulta commesso nell’interesse o a vantaggio di una
persona giuridica, ma a diretto vantaggio del reo attraverso lo schermo dell’ente
(sez. 3 n. 25774 del 14/6/2012, rv. 253062, sez. 3 n. 33371 del 4/7/2012, Falli,
che ha precisato l’irrilevanza del rapporto organico tra persona fisica ed ente ed

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Di Pietro Corporation Sri, ad aver beneficiato del profitto illecitamente conseguito

ha confermato la possibilità di operare il sequestro per equivalente quando la
persona giuridica rappresenti un apparato fittizio utilizzato dal reo proprio per
porre in essere i reati di frode fiscale o altri illeciti, sicché ogni cosa fittiziamente
intestata alla società sia immediatamente riconducibile alla disponibilità
dell’autore del reato”; conforme anche sez. 6 n. 42703 del 12/10/2010, Giani).
Nella citata giurisprudenza di legittimità si ricorda come più facilmente ci
si trovi di fronte a delle imprese beneficiarie degli illeciti profitti derivanti dai
reati di evasione fiscale, da qualificarsi come meri schermi utilizzati dalle persone

tratti di imprese di ridotte dimensioni.
Ciò si evidenzia essere pacificamente avvenuto, nel caso che ci occupa,
concernenti delitti di cui all’articolo lOter D.Ivo 74/2000, reiteratamente
commessi da Di Pietro Giuseppe in qualità di legale rappresentante della Di
Pietro Corporation srl tra gli anni 2008 e 2011.
Apparirebbe chiaro in tal senso come l’evasione fiscale, rileva il PM
ricorrente, fosse diventata una comoda abitudine imprenditoriale funzionale
all’incameramento di illeciti profitti.
Ebbene, malgrado il chiarissimo dictum che può evincersi dalle due
sentenze di legittimità su cui il tribunale del riesame ha fondato il proprio
convincimento, il PM ricorrente si duole che nell’ordinanza impugnata non ci sia
alcuna specifica considerazione in ordine all’effettiva natura della

Di Pietro

Corporation Sri, sebbene tale tema fosse stato affrontato nella richiesta di
sequestro preventivo inoltrata dal PM e sebbene proprio l’orientamento
giurisprudenziale citato nell’ordinanza, come detto, delinei un chiarissimo
discrimine tra le società di maggiori dimensioni, che sfuggirebbero al vincolo
reale per equivalente in materia di reati fiscali, e quelle di dimensioni più ridotte,
che, in quanto schermo fittiziamente usato per la commissione di illeciti, ben
possono essere colpite dal provvedimento di cui all’articolo 322ter cod. pen.
In tal senso non sarebbe un caso che la vicenda definita da questa
Suprema Corte con la più volte citata sentenza numero 1256/2013 riguardasse
in concreto la società

Unicredit, di dimensioni palesemente più importanti

rispetto alla Di Pietro Corporation Sri, circostanza che avrebbe senz’altro imposto
maggior approfondimento di analisi in sede di riesame, in modo da fare una
corretta applicazione dei principi enunciati dalla corte di cassazione nella
sentenza citata.

Viene dunque denunciata l’erronea applicazione della legge penale e si
chiede l’annullamento dell’ordinanza del Tribunale per il riesame di Palermo
numero 155/2013 con l’adozione dei provvedimenti consequenziali.

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fisiche per porre in essere attività delittuosa di carattere finanziario, quando si

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi illustrati in premessa non sono fondati e, pertanto, il ricorso
del PM non può trovare accoglimento.
2.

L’art. 325 cod. proc. pen. prevede, com’è noto, che contro le

ordinanza in materia di riesame di misure cautelari reali il ricorso per cassazione
La giurisprudenza di questa Suprema Corte, anche a Sezioni Unite, ha,
tuttavia, più volte ribadito come in tale nozione debbano ricomprendersi sia gli
“errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così
radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento
o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e
ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico
seguito dal giudice (vedasi Sez. U, n. 25932 del 29.5.2008, Ivanov, rv. 239692;
conf. sez. 5, n. 43068 del 13.10.2009, Bosi, rv. 245093).
Ancora più di recente è stato precisato che è ammissibile il ricorso per
cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur
consentito solo per violazione di legge, quando la motivazione del provvedimento
impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei
requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l'”iter” logico
seguito dal giudice nel provvedimento impugnato. (così sez. 6, n. 6589 del
10.1.2013, Gabriele, rv. 254893 nel giudicare una fattispecie in cui la Corte ha
annullato il provvedimento impugnato che, in ordine a contestazioni per i reati
previsti dagli artt. 416, 323, 476, 483 e 353 cod. pen. con riguardo
all’affidamento di incarichi di progettazione e direzione di lavori pubblici, non
aveva specificato le violazioni riscontrate, ma aveva fatto ricorso ad espressioni
ambigue, le quali, anche alla luce di quanto prospettato dalla difesa in sede di

possa essere proposto solo per violazione di legge.

riesame, non erano idonee ad escludere che si fosse trattato di mere irregolarità
amministrative,).
Di fronte all’assenza, formale o sostanziale, di una motivazione, atteso
l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene dunque a
mancare un elemento essenziale dell’atto.
3. Ciò premesso, ritiene il Collegio che nel caso all’odierno esame non si
sia in presenza di un

deficit motivazionale tale da configurare l’errata

applicazione di norme di diritto.

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Il riesame, infatti, appare essere stato accolto sul presupposto che non
risultasse provata la natura di “schermo fittizio” della Di Pietro Corporation srl
rispetto ai reati posti in essere dalla persona fisica del suo legale rappresentante,
odierno ricorrente.
Si deve, peraltro, tener conto che nelle more del proposto ricorso, le
Sezioni Unite di questa Suprema Corte hanno affrontato il contrasto
giurisprudenziale determinatosi, per lo più in seno a questa sezione, dando una

finalizzato alla confisca diretta o per equivalente, nei confronti di beni di una
persona giuridica per le violazioni tributarie commesse dal legale rappresentante
della stessa (Sez. Unite n. 10561 del 30.1.2014 dep. il 5.3.2014, Gubert).
Secondo alcune pronunce degli ultimi anni, infatti, con riferimento ai reati
tributari, sarebbe possibile applicare il sequestro preventivo funzionale alla
confisca per equivalente sui beni della persona giuridica, anche al di fuori dei casi
in cui la sua creazione era finalizzata a farvi confluire i profitti degli illeciti fiscali
quale “società schermo”. Ciò in ragione dell’affermazione che, sebbene il reato
tributario fosse addebitabile all’indagato, le conseguenze patrimoniali ricadevano
in ogni caso sulla società a favore della quale egli aveva agito, salvo che si fosse
dimostrata una rottura del rapporto organico. Secondo i fautori di tale tesi,
dunque, non era richiesto che l’ente fosse responsabile, ai sensi del D.Lgs. n.
231/2001, e lo stesso non poteva considerarsi terzo estraneo al reato perché
fruiva degli incrementi economici che erano derivati dallo stesso (così ex plurimis
sez. 3 n. 28731 del 19.7.2011, Soc. Coop. R. L. PR Burlando, non mass.; sez. 3
n. 26389 del 9.6.2011, Occhipinti, rv. 250679).
Di segno contrario erano state, invece, altre pronunce con le quali si era
affermata l’impossibilità di applicare l’istituto del sequestro preventivo funzionale
alla confisca per equivalente sui beni appartenenti alla persona giuridica, nei casi
in cui si procedeva per violazioni finanziarie commesse dal legale rappresentante

risposta al quesito sul se sia possibile o meno disporre il sequestro preventivo,

della stessa, in quanto gli articoli 24 e seguenti del D.Lgs. n. 231/2001 non
prevedono i reati fiscali tra le fattispecie in grado di giustificare l’adozione di un
provvedimento siffatto, tranne che nel caso in cui la struttura aziendale
costituisca un apparato fittizio utilizzato dal reo per commettere gli illeciti, tanto
che ogni cosa fittiziamente intestata alla società sia immediatamente
riconducibile alla disponibilità dell’autore del reato (sez. 3, n. 25774 del
14.6.2012, PM in Proc. Amoddio e altro, rv 253062; sez. 3 n. 15349 del
23.10.2012 dep. il 3.4.2013, Gimeli, rv. 254739; sez. 3 n. 42350 del 10.7.2013,
PM in proc. Stigelbauer, rv. 257129; sez. 3 n. 42476 del 20.9.2013, Salvatori,
rv. 257353).

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Le Sezioni Unite hanno optato per tale seconda opzione, affermando i
principi di diritto secondo cui:
L E’ consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro
preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni
direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi
della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o beni direttamente
riconducibili al profitto) sia nella disponibilità di tale persona giuridica.
//. Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per

profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa,
salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio.
IIL Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per
equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da
costoro commessi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di
denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di
reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a
costoro o a persona (compresa quella giuridica) non estranea al reato.
/V. La impossibilità del sequestro del profitto del reato può essere anche

solo transitoria, senza che sia necessaria la preventiva ricerca generalizzata dei
beni costituenti il profitto di reato.

4.

La prima e più importante verifica, che deve trovare riscontro in

motivazione, e quella che attiene alla possibilità che la persona giuridica stessa
sia in concreto priva di autonomia e rappresenti solo uno “schermo” attraverso
cui l’amministratore agisca come effettivo titolare.
Numerose sono le pronunce di questa Suprema Corte, richiamate dalle
stesse Sezioni Unite, che affermano tale principio (vedasi tra le tante sez. 3, n.
42476 del 20.9.2013, Salvatori, rv. 257353; sez. 3. n. 42638 del 26.9.2013,
Preziosi; sez. 3. n. 42350 del 10.7.2013, PM in proc. Stigelbauer, rv. 257129;

equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il

sez. 3 3182 del 14.5.2013, De Salvia, rv. 255871; sez. 3, n. 15349 del
23.10.2012, dep. il 3.4.2013, Gimeli, rv. 254739; sez. 3, n. 1256 del 19.9.2012
dep. il 10.1.2013, UniCredit spa, rv. 254796; sez. 3 , n. 33371 del 4.7.2012,
Failli; sez. 3, n. 25774 del 14.6.2012, Amoddio, rv. 253062; sez. 6, n. 42703 del
12.10.2010, Giani, non mass.).
In tal caso infatti – come rilevano condivisibilmente le SS.UU.- la
trasmigrazione del profitto del reato in capo all’ente non si atteggia alla stregua
di trasferimento effettivo di valori, ma si configura come un espediente
fraudolento, non dissimile dalla figura dell’interposizione fittizia; con la
conseguenza che il denaro o il valore trasferito devono ritenersi ancora

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pertinenti, sul piano sostanziale, alla disponibilità del soggetto che ha commesso
il reato, in apparente vantaggio dell’ente, ma nella sostanza a favore proprio.
Se ciò è provato -ma non risulta essere avvenuto nel caso che ci occupail sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente è, dunque,
consentito.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso del P.M..

Il onsigliere estensore

Il Presidente

Così deciso in Roma il 18 marzo 2014

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