Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18915 del 10/04/2013
Penale Sent. Sez. 2 Num. 18915 Anno 2013
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: RAGO GEPPINO
SENTENZA
su ricorso proposto da:
ALLEGRO MATTEO nato il 21/01/1980, avverso l’ordinanza del
30/10/2012 del Tribunale di Caltanissetta;
Visti gli atti, l’ordinanza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Geppino Rago;
udito il Procuratore Generale in persona della dott.ssa Maria Giuseppina
Fodaroni che ha concluso per l’inammissibilità;
uditi i difensori avv.ti Antonino Caleca e Danilo Tipo che hanno concluso
per l’accoglimento del ricorso
FATTO
1. Con ordinanza del 30/10/2012, il Tribunale di Caltanissetta
confermava l’ordinanza con la quale, in data 01/10/2012, il giudice per
le indagini preliminari del tribunale della medesima città aveva applicato
ad ALLEGRO Matteo la misura della custodia cautelare in carcere per i
reati di cui agli artt. 416 bis
–
513 bis aggravato dall’art. 7 L. 203/1991
– art. 423/424 – 319/321 cod. pen.
Data Udienza: 10/04/2013
2. Avverso la suddetta ordinanza, l’indagato, a mezzo del proprio
difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti
motivi:
2.1.
VIOLAZIONE DELL’ART.
416
BIS COD. PEN.:
sostiene il ricorrente che
priva di gravi indizi di colpevolezza. Il ricorrente, sul punto, ha rilevato
che gli elementi probatori a suo carico erano costituiti dalle dichiarazioni
dei collaboratori di giustizia Mirisola e Ferrauto i quali, però, avevano
riferito entrambi fatti de relato. Il ricorrente, quindi, censura la decisione
del tribunale «secondo cui le due dichiarazioni de relato, interagirebbero
tra di loro quale reciproco riscontro individualizzante, pur essendo del
tutto generiche in relazione ai punti cardine del costrutto accusatorio, e,
quindi, giocoforza inidonee a dimostrare il fatto reato e la sua stessa
riferibilità all’imputato».
2.2. vicn.Azione
DELL’ART.
7 L. 203/1991: sostiene il ricorrente che la
motivazione sulla sussistenza della suddetta aggravante sarebbe illogica
ed apodittica in quanto «la condotta autonoma dell’indagato, in assenza
del supporto intimidatorio di soggetti appartenenti al sodalizio mafioso,
esclude giocoforza, l’operatività della circostanza speciale in oggetto,
sotto il profilo oggettivo». Il ricorrente, a sostegno della suddetta
affermazione, contesta le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia.
2.3.
VIOLAZIONE DELL’ART.
274
COD. PROC. PEN.
in quanto non
sussisterebbe alcuna esigenza cautelare atteso che l’attività di esso
ricorrente «è attualmente sottoposta a sequestro dal tribunale di
Prevenzione, sicchè viene meno, in concreto, qualsiasi pericolo
ricollegabile alla reiterazione dei reati di corruzione, peraltro
ampiamente confessati 1″….1»
DIRITTO
1. VIOLAZIONE DELL’ART.
416
BIS COD. PEN.:
la censura è infondata.
Il tribunale ha trattato degli indizi relativi al reato associativo da
pag. 2 a pag. 11 dell’ordinanza dove, con dovizia di argomenti, ha
analizzato le dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia che, sebbene
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l’incolpazione di concorso esterno nell’associazione mafiosa, sarebbe
fossero de relato, ha ritenute attendibili sia perché entrambe erano
convergenti e riscontrantesi reciprocamente (pag. 6) sia perché
«corroborate da elementi esterni […] forniti da Salvatore Di Gati in
merito sia a Giuseppe Dell’Asta che al duo Angotti/Allegro […]»: pag. 9.
adeguata rispetto agli evidenziati elementi fattuali e, quindi, del tutto
conforme ai principi di diritti enunciati da questa Corte di legittimità.
La censura del ricorrente, pertanto, va ritenuta, da una parte,
generica ed aspecifica, e, dall’altra, meramente reiterativa perché, in
modo surrettizio, tenta di ottenere una nuova rivalutazione di quegli
stessi elementi fattuali già presi in esame dal Tribunale con motivazione
logica ed adeguata.
Di conseguenza, non essendo ravvisabile nella suddetta
motivazione né violazioni di legge né manifeste illogicità o
contraddittorietà, la censura, va ritenuta manifestamente infondata.
2. vioLAzione
DELL’ART.
7 L. 203/1991: il tribunale ha trattato della
configurabilità della suddetta aggravante a pag. 20-21 dell’ordinanza.
In relazione alla suddetta censura, deve ripetersi,
mutatis
mutandis, quanto appena detto in ordine alla precedente censura:
l’ordinanza motiva ampiamente sia in ordine all’elemento psicologico che
in ordine all’elemento materiale e cioè sul fatto che il ricorrente, per
imporre agli esercenti le proprie macchine da gioco, spendeva il nome di
esponenti di spicco della famiglia mafiosa nissena ote
comunque
dell’intervento di alcuni di essi».
Pertanto, la conclusione giuridica alla quale il tribunale è
pervenuto in ordine alla configurabilità, allo stato degli atti, della
suddetta aggravante, deve ritenersi del tutto corretta alla stregua della
consolidata giurisprudenza che questa Corte di legittimità ha elaborato
in ordine agli elementi costituitivi dell’aggravante.
3.
VIOLAZIONE DELL’ART.
274
COD. PROC. PEN.:
infine, assolutamente
generica ed aspecifica deve ritenersi l’ultima doglianza in ordine alla
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La suddetta motivazione deve ritenersi congrua, logica ed
sussistenza delle esigenze cautelari, atteso che, sul punto, l’ordinanza
risulta motivata in modo amplissimo e circostanziato (cfr pag. 27 ss).
4. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a
declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al
versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che,
ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina
equitativamente in € 1.000,00.
P.Q.M.
DICHIARA
Inammissibile il ricorso e
CONDANNA
Il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di €
1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen.
Roma 10/04/2013
IL PRESIDENTE
g
Dott. Ciro
IL CONSIGLI RE ST.
(Dott. G.
“—(
O
norma dell’art. 606/3 c.p.p, per manifesta infondatezza: alla relativa