Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18912 del 25/02/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 18912 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ACETO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
1) Pepe Orfea, nata a Rocca Santo Stefano il 12/05/1953;
2) Varamo Midia Jor, nata a Roma il 17/12/1972;

avverso l’ordinanza del 14/10/2013 del Tribunale di Roma;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Giuseppe Volpe, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per le imputate l’avv. Cristiano Fuduli, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 14/10/2013 il Tribunale di Roma ha respinto l’istanza di
riesame proposta, nell’interesse di Orfea Pepe e Midia Jor Varamo, avverso il
decreto del 5/09/2013 con il quale il Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Roma, ritenuta la sussistenza indiziaria del reato di cui all’art. 44,

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Data Udienza: 25/02/2014

d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (T.U. ed.), aveva convalidato il sequestro
probatorio, operato d’iniziativa dalla polizia giudiziaria, di opere murarie
realizzate abusivamente previa demolizione parziale di un precedente manufatto
destinato ad uso commerciale.
A fondamento della contestata decisione il Tribunale di Roma ha evidenziato
che le considerazioni difensive, circa la preesistenza del manufatto e la
presentazione di domanda di condono, non tenevano conto che, secondo quanto
affermato dai verbalizzanti, le opere sarebbero state realizzate previa «parziale
demolizione di un preesistente manufatto ad uso commerciale» che non

Inoltre, ha aggiunto il Tribunale, trattandosi di sequestro avente ad oggetto
il corpo di reato, o comunque il prodotto della condotta illecita, non sussiste
l’obbligo di motivare, dovendo tale necessità esser considerata «in re ipsa»;
in ogni caso, a prescindere da questa considerazione, il sequestro era stato
motivato sul rilievo che dovesse essere preservato l’accertamento dei fatti
evitando la rimozione, la modifica e/o l’eliminazione delle parti abusive.

2. Ricorre per Cassazione, nell’interesse della Pepe e della Varamo, l’Avv.
Cristiano Fusuli, articolando due motivi di doglianza.
2.1. Con il primo lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod.
proc. pen., la violazione dell’art. 125 cod. proc. pen., per omessa motivazione in
ordine alla censura difensiva avente ad oggetto la motivazione della convalida
del pubblico ministero, nonché, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett.

b, cod.

proc. pen., violazione degli artt. 3 e 10 T.U. Ed..
Sul rilievo della sicura preesistenza del manufatto (deduzione sulla cui
validità il tribunale non si era affatto attardato), doveva ritenersi che l’intervento
edilizio in questione dovesse qualificarsi come di manutenzione straordinaria o,
al più, di ristrutturazione edilizia di tipo minore senza aumento di volumetria,
come tale non soggetto a permesso di costruire. Non ogni demolizione di un
manufatto preesistente, ancorché parziale, necessita di permesso di costruire,
tanto più alla luce delle modifiche introdotte con d.l. 21 giugno 2913, n. 69,
convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, per effetto delle
quali gli interventi di manutenzione straordinaria possono oggi contemplare
anche modifiche della sagoma.
Orbene, affermano i ricorrenti, sulla scorta della documentazione in atti, si .
poteva evincere che il manufatto sequestrato era preesistente, era destinato ad
uso commerciale ed era stato oggetto di domanda di condono edilizio presentata
il 4/10/1986 per la realizzazione di un ampliamento pari a mq. 566.
A fronte di queste deduzioni e senza fornire alcuna specifica risposta ad
esse, quantomeno sotto il profilo della preesistenza del manufatto, il Tribunale ha

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risultava in alcun modo autorizzata.

perentoriamente affermato che le opere realizzate necessitavano di permesso di
costruire.
2.2. Con il secondo motivo denunziano, in relazione all’art. 606, comma 1,
lett. c), cod. proc. pen., violazione dell’art. 125 cod. proc. pen. per motivazione
apparente circa le finalità probatorie del provvedimento impugnato.
Sostengono le ricorrenti che, in contrasto con l’insegnamento di Sez. U
5876/2004, il tribunale ha ritenuto «in re ipsa>> la necessità del sequestro del
corpo del reato che, dunque, non dovrebbe motivare sulle ragioni del vincolo.
Peraltro, anche la motivazione del decreto di convalida è apodittica e tautologica;

natura preventiva e non probatoria. Le esigenze probatorie dovevano ritenersi
soddisfatte dai rilievi fotografici e planimetrici operati dalla PG.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è fondato.
3.1.E’ infondata la censura relativa alla mancanza di motivazione del
provvedimento di convalida del sequestro probatorio. Il provvedimento adottato
dal pubblico ministero, infatti, giustifica il vincolo con la necessità di impedire
che il manufatto ritenuto abusivo venga «disperso per rimozione o modificato
con l’eliminazione delle parti abusive», così ostacolando o impedendo
l’accertamento dei fatti. Si tratta di motivazione del tutto plausibile e coerente
con le finalità probatorie del decreto (è infondata la deduzione secondo la quale
si tratterebbe di motivazione che ne dissimulerebbe la reale finalità preventiva).
Nulla esclude, del resto, che il pubblico ministero, in questo, come in qualunque
altro caso, possa disporre il sequestro probatorio di manufatti ritenuti abusivi,
quando ciò sia (davvero) necessario «per l’accertamento dei fatti». Si tratta
di apprezzamento che, ancorché non insindacabile e ferma restando la
necessaria sussistenza indiziaria del reato, compete, in questa fase, solo al
pubblico ministero, alla cui valutazione è rimessa ogni determinazione circa le
modalità con le quali confezionare il compendio probatorio in vista dell’esercizio
dell’azione penale; non senza dimenticare che le esigenze probatorie (e del
vincolo reale finalizzato a soddisfarle) potrebbero perdurare anche fino alla
sentenza (art. 262, comma 1, cod. proc. pen.) e la loro persistenza essere
ulteriormente valorizzata, proprio in sede processuale, dal contatto delle prove
offerte dall’accusa con il «reagente» del contraddittorio, contatto dal quale
potrebbe sorgere la necessità, non così infrequente, sopratutto in una materia
decisamente complessa e tecnica come quella urbanistica, di ulteriori
accertamenti ed approfondimenti che il giudice dovesse ritenere di effettuare
sull’immobile. La necessità di accertare il reato edilizio e di preservarne la prova

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quella indicata dal Tribunale è a sua volta ambigua, essendo la finalità indicata di

può essere soddisfatta nei vari modi che il codice di rito prevede e, in particolare,
per esempio: mediante gli accertamenti e i rilievi sullo stato delle cose effettuati
dalla polizia giudiziaria ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 354, cod. proc. pen.,
mediante gli accertamenti tecnici che il pubblico ministero può sempre disporre
ai sensi degli artt. 359 e 360 cod. proc. pen., mediante l’ispezione di luoghi e
cose di cui all’art. 246 cod. proc. pen. (associata o no all’accertamento tecnico di
cui agli artt. 359 e 360 cod. proc. pen.), o, ancora, mediante perizia in sede di
incidente probatorio. A fronte di tale varietà di strumenti di indagine e di

– secondo la quale la finalità probatoria del caso concreto sarebbe esaurita dai
rilievi fotografici e descrittivi operati dalla PG operante.
Sotto altro profilo, l’espressa indicazione delle finalità probatorie del vincolo
reale esime questa Corte dal dover affrontare la questione, nuovamente
riproposta da alcuni recenti arresti giurisprudenziali (Sez. 2, n. 31950 del
3/07/2013, Fazzari; Sez. 2, n. 43444 del 2/07/2013, Di Nino) e sottoposta dalle
ricorrenti all’attenzione del collegio, se la motivazione del sequestro probatorio
delle cose che costituiscono corpo di reato debba spiegare anche quali siano le
esigenze probatorie da soddisfare (opzione interpretativa che questo Collegio
ritiene comunque di condividere e privilegiare) o se, piuttosto, possa limitarsi
alla indicazione della sussistenza della relazione di immediatezza tra la “res”
sequestrata ed il reato oggetto di indagine.
3.2.La questione è piuttosto altra ed investe in pieno l’eccezione relativa alla
mancanza di motivazione in ordine alla astratta sussumibilità del fatto nell’ipotesi
di reato contestata; eccezione che questa Corte ritiene fondata.
Richiamando quanto testé affermato circa la reale e non simulata finalità
probatoria del decreto di sequestro e ricollegando il discorso alla affermata
necessità della sussistenza indiziaria di un reato edilizio da provare, deve
evidenziarsi che il contenuto dell’ordinanza impugnata impedisce anche al
Collegio di comprendere quale sia, sul piano fattuale, la condotta contestata alle
ricorrenti e di inquadrare l’intervento in una delle categorie indicate dall’art. 3
T.U. ed.; non è dato comprendere, di conseguenza, in cosa sia consistito
l’ipotizzato abuso (e dunque se sussista astrattamente il reato che giustifica
l’adozione del provvedimento di sequestro). Nell’ordinanza impugnata, infatti, si
parla solo ed esclusivamente di «opere realizzate abusivamente previa
demolizione di un precedente manufatto ad uso commerciale>>; nulla di più è
detto. Tanto più ciò era necessario alla luce sia delle modifiche introdotte al testo
dell’art. 3 T.U. ed., dal d.l. 21 giugno 2913, n. 69, convertito, con modificazioni,
nella legge 9 agosto 2013, n. 98, che delle eccezioni difensive (circa la
preesistenza del manufatto) che comportavano la necessità di una puntuale
qualificazione dell’intervento in questione (e dunque del suo regime edilizio).
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accertamento del fatto, non ha pregio la deduzione difensiva – del tutto generica

Senza dunque affrontare gli specifici rilievi difensivi, il Tribunale di Roma ha
perentoriamente affermato, con motivazione del tutto apparente, che «non
può essere messo in dubbio che sussista il fumus dell’illecito ipotizzato alla luce
degli accertamenti di p.g.», ma non ha descritto compiutamente in cosa
consista l’intervento e non lo ha qualificato nemmeno alla luce delle definizioni di
cui all’art. 3 T.U. ed..

4.L’ordinanza impugnata deve così essere annullata con rinvio al Tribunale di

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Roma.
Così deciso il 25/02/2014

Roma per nuovo esame.

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