Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18910 del 23/11/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 18910 Anno 2017
Presidente: AMORESANO SILVIO
Relatore: RENOLDI CARLO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Ferro Santi, nato a Avola in data 1/05/1958;
avverso la sentenza in data 12/01/2015 del Tribunale di Torino;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Carlo Renoldi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto Procuratore generale dott.
Aldo Policastro, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio perché il
reato non è punibile ex art. 131-bis cod. pen..

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 12/01/2015 del Tribunale di Torino, Santi Ferro fu
condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di 1.000,00 euro di ammenda
in quanto riconosciuto colpevole della contravvenzione di cui agli artt. 5, lett. b)
e 6, della legge 30 aprile 1962, n. 283, accertata il 19/03/2012 in Collegno, per
avere, nella qualità di legale rappresentante del ristorante pizzeria

Don

Margherita di Collegno, detenuto, in vista della successiva somministrazione,
all’interno di congelatori a pozzetto, prodotti alimentari, in origine freschi,
successivamente congelati con attrezzature inidonee a scongiurare il pericolo di
insudiciamento e alterazione dei medesimi nonché prodotti alimentari congelati
all’origine, posti in contenitori aperti ed in contenitori non idonei alla
conservazione, quali buste di plastica nera per i rifiuti, invasi di brina e con
bruciature di freddo e, quindi, in cattivo stato di conservazione; nonché,

Data Udienza: 23/11/2016

all’interno di un frigorifero a colonna, prodotti alimentari in contenitori di plastica
impilati in modo che il fondo di un contenitore venisse a contatto con l’alimento
del contenitore sottostante e, quindi, in cattivo stato di manutenzione.
2. Avverso la predetta sentenza Santi Ferro ha proposto appello, a mezzo
del proprio difensore fiduciario, deducendo due distinti motivi di censura. Tale
atto, tuttavia, deve essere convertito in ricorso per cassazione, secondo il
principio generale posto dall’art. 593, comma 3 cod. proc. pen..
2.1. Con il primo motivo, l’imputato denuncia di avere interamente delegato

sede di esame testimoniale, avrebbe confermato di avere avuto la piena
autonomia della gestione della cucina, di cui sarebbe stato responsabile,
nell’ambito delle direttive generali fornitegli dal titolare. Sarebbe erronea la
sentenza impugnata nella parte in cui avrebbe escluso la possibilità di delegare
le funzioni di gestore dell’impresa in ragione della mancanza di una situazione di
complessità organizzativa tale da rendere necessario il decentramento di compiti
e responsabilità. Tale ricostruzione, infatti, contrasterebbe con la possibilità,
contemplata dalla formulazione testuale dell’art. 5, lett. B) della legge n. 283 del
1962, che la fattispecie sia posta in essere da soggetti diversi dal titolare
dell’impresa, ove attributari dei poteri effettivi nello svolgimento di determinate
attività. Nella specie, infatti, ricorrerebbero tutte le condizioni stabilite dalla
giurisprudenza per la operatività della delega di funzioni, dal momento che
Urracci avrebbe gestito in piena autonomia le attività della cucina, organizzando
il lavoro di altri dipendenti posti sotto la sua responsabilità, occupandosi, per ciò
che viene in rilievo nel presente procedimento, della conservazione dei cibi e
considerate le non modeste dimensioni dell’azienda, quanto ad estensione degli
spazi, al numero dei dipendenti e alle caratteristiche logistiche del ristorantepizzeria, articolantesi in più piani; elementi che avrebbero reso necessario
delegare alcune funzioni. Del resto, secondo l’impugnante, la delega di funzioni
potrebbe essere efficacemente realizzata anche in relazione a organizzazioni
aziendali di piccole o medie dimensioni, allorché il titolare non sia in grado o
ritenga comunque opportuno svolgere personalmente gli adempimenti imposti
dalla legge, secondo quanto stabilito con d.lgs. 30 aprile 2008, n. 81, il quale
consentirebbe la delega delle di funzioni anche in imprese di piccole dimensioni,
quando le caratteristiche qualitative della attività aziendale lo richiedano.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso, Ferro deduce una questione di
legittimità costituzionale dell’art. 5, lett. b) della legge n. 283 del 1962. In
particolare, il requisito fattispecie costituito dal “cattivo stato di conservazione”
contrasterebbe con il principio di determinatezza della norma penale
incriminatrice posto dall’art. 25, comma 2, Cost., posto che l’evanescenza della
locuzione utilizzata dal legislatore rimetterebbe esclusivamente alla

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i poteri attinenti alla gestione della cucina al cuoco, Luciano Urracci, il quale, in

discrezionalità dell’interprete la configurazione del reato, postulando un
apprezzamento qualitativo caratterizzato da insuperabili margini di incertezza.
3. In data 2/11/2016 la difesa ha depositato memoria contenente motivi
nuovi.
3.1. Con il primo di essi viene dedotta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett.
b) cod. proc. pen., la mancanza o manifesta illogicità della motivazione in
relazione agli artt. 125 e 546 lett. e) cod. proc. pen..
La sentenza impugnata avrebbe ritenuto corretta la modalità di

indicazioni contenute nel “pt. 4.6 Deliberazione della Giunta Regionale 7.3.2011
n. 1664”; ed avrebbe riconosciuto che “le aragostelle, ormai tolte dal menù,
fossero poste nel sacco nero da immondizia perchè destinate al macero o al
consumo casalingo da parte dei dipendenti del ristorante”, non motivando in
alcun modo la ragione per giustificare la responsabilità del ricorrente in ordine
alla conservazione dei “prodotti alimentari in contenitori di plastica impilati in
modo che il fondo di un contenitore venisse a contatto con l’alimento del
contenitore sottostante e quindi in cattivo stato di manutenzione”. In definitiva,
quindi, il giudice avrebbe rilevato unicamente che le buste di pollo in pellicola di
cellophane non recavano la data di congelamento e descrizione del prodotto.
Tale circostanza, però, non potrebbe, da sola considerata, essere ritenuta
sufficiente a affermare il cattivo stato di conservazione del prodotto. Nella
condotta del ricorrente, infatti, verrebbe a mancare uno degli elementi costitutivi
della fattispecie di reato, vale a dire la somministrazione al pubblico degli
alimenti. Ciò si traduce in violazione di legge ex artt. 125 e 546, lett. e) cod.
proc. pen., con conseguente nullità della sentenza.
3.2. Con il secondo motivo viene formulata richiesta di applicazione della
causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen., chiesta in sede di ricorso per
cassazione per la prima volta in quanto la impugnata era stata emessa in epoca
antecedente all’entrata in vigore del decreto legislativo 16/03/2015, n. 28, che
ha introdotto la citata disposizione. Nel caso in esame, infatti, l’unica violazione
riscontrata sarebbe la mancata indicazione della data di congelamento e della
descrizione di alcuni prodotti oltre che nella conservazione non adeguata di
alimenti comunque destinati al macero o al consumo casalingo. Essa si
configurerebbe scarsamente offensiva del bene giuridico protetto dalla norma
incriminatrice, sicché il fatto potrebbe ritenersi di particolare tenuità ai sensi
del’art. 131-bis cod. pen.. Sul piano soggettivo, poi, la circostanza che l’imputato
delegasse la gestione del settore cucina al cuoco, Luciano Urracci, e che la
condotta vietata dalla norma veniva posta in essere esclusivamente dal delegato,
dovrebbe essere valutata come indice di un ridotto grado di rimproverabilità
all’imputato, tanto più che egli è incensurato, che gli sono state concesse le

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congelamento seguita dal ricorrente, in quanto operata sulla base della

attenuanti generiche e che la pena pecuniaria irrogata è soltanto quella
pecuniaria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è parzialmente fondato e, pertanto, deve essere accolto per
quanto di ragione.
2. Muovendo dal primo dei motivi nuovi giova rilevare, preliminarmente, che
l’art. 5, comma 1, lett. b) della legge 30/04/1962, n. 283 vieta di impiegare nella
preparazione di alimenti o bevande, vendere, detenere per vendere o

consumo, tra l’altro, sostanze alimentari “in cattivo stato di conservazione”.
La fattispecie incriminatrice in esame configura, attraverso la tipizzazione di
una pluralità di condotte caratterizzate dall’impiego ovvero dalla destinazione
alla somministrazione per il consumo di alimenti “in cattivo stato di
conservazione”, un reato posto a tutela del c.d. ordine alimentare, volto ad
assicurare che il prodotto giunga al consumo con le garanzie igieniche imposte
dalla sua natura, senza che rilevi a tal fine la produzione di un danno alla salute,
sicché esso è configurabile quando è accertato che le concrete modalità di
conservazione siano idonee a determinare il pericolo di un danno o
deterioramento dell’alimento (Sez. 3, n. 40772 del 5/05/2015, dep. 12/10/2015,
Torcetta, Rv. 264990; Sez. 3, n. 35828 del 7/07/2004, dep. 2/09/2004,
Cicolella, Rv. 229392).
Si è, inoltre, affermato che lo stato di cattiva conservazione, potendo
concernere sia le caratteristiche intrinseche che le modalità estrinseche di
conservazione del prodotto, riguarda quelle situazioni in cui le sostanze, pur
potendo essere ancora genuine e sane, si presentano mal conservate, e cioè
preparate, confezionate e messe in vendita senza l’osservanza delle prescrizioni
dirette a prevenire pericoli di una precoce alterazione, contaminazione o
degradazione intrinseca del prodotto (v. Sez. 3, n. 33313 del 28/11/2012, dep.
1/08/2013, Maretto, Rv. 257130; Sez. 3, n. 15094 del 11/03/2010, dep.
20/04/2010, Greco, Rv. 246970; Sez. 3, n. 35234 del 28/06/2007, dep.
21/09/2007, Lepori, Rv. 237519 che ha ritenuto la sussistenza del reato nella
detenzione, per la somministrazione ai clienti di un ristorante, di alimenti vari
all’interno di frigoriferi siti in un vetusto ambiente, totalmente privo di requisiti
igienico – sanitari; Sez. Un., n. 443/2002 del 19/12/2001, dep. 9/01/2002, Butti
e altro, Rv. 220716). Fermo restando che trattandosi di un reato di pericolo non
è necessario accertare la sussistenza di un concreto danno per la salute o un
concreto deterioramento del prodotto, essendo sufficiente che le modalità di
conservazione possano determinare il pericolo, da accertare in concreto, di un
tale danno o deterioramento (Sez. 3, n. 15049 del 9/01/2007, dep. 13/04/2007,
Bertini, Rv. 236332).
4

somministrare come mercede ai propri dipendenti, o comunque distribuire per il

Correttamente, dunque, il giudice di prime cure ha ritenuto integrato il reato
in contestazione nella condotta di detenzione, pacificamente rivolta alla
successiva e non contestata somministrazione al pubblico, di prodotti alimentari,
all’interno di congelatori a pozzetto, conservati con modalità del tutto inidonee,
sia perché, in alcuni casi, privi dei contrassegni necessari a riscontrarne il
termine per la consumazione (ovvero la indicazione della natura del prodotto e
della data di congelazione), sia perché, in altri casi, collocati in buste di plastica
trasparente aperte, tali da permettere la formazione di brina e di bruciature di

che il fondo di un contenitore venisse a contatto con l’alimento del contenitore
sottostante”. A quest’ultimo riguardo è appena il caso di rilevare come,
diversamente da quanto opinato dal ricorrente, il primo giudice abbia accertato
anche tale cattiva modalità di conservazione e l’abbia ricondotta all’ambito delle
condotte penalmente rilevanti senza ulteriori argomentazioni, anche considerato
che, sul punto, Ferro non aveva dedotto alcuna specifica censura.
Pertanto, e conclusivamente, il motivo di censura in esame deve essere
rigettato.
3. Venendo, quindi, al primo motivo di doglianza contenuto nel ricorso
introduttivo, deve rilevarsi che secondo l’orientamento accolto dalla prevalente
giurisprudenza di legittimità, condiviso da questo Collegio, in tema di disciplina
penale dei prodotti alimentari, la delega di funzioni può operare quale limite della
responsabilità penale del legale rappresentante della impresa solo laddove le
dimensioni aziendali siano tali da giustificare la necessità di decentrare compiti e
responsabilità, ma non anche in caso di organizzazione a struttura semplice (così
Sez. 3, n. 46710 del 17/10/2013, dep. 22/11/2013, Antista, Rv. 257860, che ha
ritenuto corretta la decisione del giudice di merito che aveva escluso la rilevanza
esimente di una delega di funzioni, conferita dal legale rappresentante di società
che gestiva unicamente tre supermercati dislocati in un medesimo e ristretto
ambito territoriale, con riguardo al reato di detenzione per la vendita di alimenti
in cattivo stato di conservazione; in termini v. anche Sez. 3, n. 11909 del
22/02/2006, Mastromartino, Rv. 233566). Viceversa, laddove, come nel caso di
specie, sussista una struttura aziendale semplice, non ricorre la necessità di
decentrare, in funzione partecipativa di professionalità ed esperienze
differenziate, l’esercizio dei poteri di direzione e controllo dell’attività produttiva
rientrando in tal caso tra i compiti dell’amministratore della società
l’organizzazione dell’impresa e la vigilanza sull’intero andamento aziendale (cfr.,
con riguardo al settore “alimentare”, Sez. 3 n. 11909 del 22/02/2006, Rv.
233566). Diversamente opinando, infatti, si consentirebbe al legale
rappresentante dell’azienda di sottrarsi alle responsabilità previste dalla legge
pur in assenza delle condizioni che impongono, per l’impossibilità di esercitare un

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freddo, sia, infine, perché, “collocati in contenitori di plastica impilati in modo

effettivo controllo, che i meccanismi della responsabilità finiscano per assumere
carattere “oggettivo”, come tale incompatibile con il principio dell’art. 27, comma
1, Cost..
Nella specie, facendo corretta applicazione dei principi sin qui ricordati, il
Tribunale ha escluso, con argomentazione motivata e logica, che si sottrae,
dunque, al sindacato di questa Corte, che il ristorante gestito da Santi Ferro
presentasse una struttura organizzativa complessa, sicché, per quanto detto
sopra, la delega non poteva ritenersi idonea ad escludere la responsabilità

4. Quanto al secondo motivo del ricorso introduttivo, con il quale si ipotizza
che la nozione di “cattivo stato di conservazione” contrasti con il principio di
determinatezza della norma incriminatrice di cui all’art. 25, comma 2, Cost.,
giova preliminarmente osservare che la giurisprudenza costituzionale ha da
tempo chiarito che l’uso di espressioni sommarie, di vocaboli polisensi, ovvero di
clausole generali o concetti “elastici” non viola il parametro costituzione di
determinatezza quando al giudice sia comunque consentito, attraverso la
complessiva descrizione del fatto e avuto riguardo alle finalità dell’incriminazione
e al più ampio contesto ordinamentale in cui essa si colloca, di stabilire il
significato dell’elemento che isolatamente considerato non sia specifico, e al
destinatario della norma di avere una percezione sufficientemente chiara ed
immediata del valore precettivo (v., ex plurimis, Corte cost., sent. n. 327 del
2008; sent. n. 5 del 2004; sent. n. 34 del 1995).
Nel caso di specie, invero, a parere del Collegio l’enunciazione della condotta
del reato, descritta in termini di “cattivo stato di conservazione”, consente al
giudice, avuto riguardo anche alla finalità di incriminazione ed al contesto
ordinamentale in cui si colloca, di stabilire con precisione il significato delle
parole, le quali come detto rimandano ai casi in cui le sostanze alimentari siano
state preparate, confezionate e messe in vendita senza l’osservanza delle
prescrizioni dirette a prevenire pericoli di una precoce alterazione,
contaminazione o degradazione intrinseca del prodotto; consentendo, altresì, al
destinatario della norma di avere una percezione sufficientemente chiara ed
immediata del valore precettivo di essa.
Ne consegue, pertanto, la manifesta infondatezza della questione dedotta.
5. Fondato è, invece, il secondo dei motivi nuovi.
Sul punto occorre premettere che l’art. 131-bis cod. pen., introdotto con
l’art. 1, comma 2, d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28, prevede l’esclusione della
punibilità quando, in presenza di reati per i quali è prevista una pena detentiva
non superiore nel massimo a 5 anni (ovvero una pena pecuniaria, sola o
congiunta alla suddetta pena detentiva), l’offesa, per le modalità della condotta,
per l’esiguità del danno o del pericolo ed il grado della colpevolezza, valutati ai

6

JkJ

dell’imputato. Ne consegue il rigetto del motivo in questione.

sensi dell’art. 133, comma 1, cod. pen., sia di particolare tenuità; e sempre che
il comportamento risulti non abituale.
5.1. Secondo la giurisprudenza di legittimità si è in presenza di un istituto di
diritto penale sostanziale che configura una causa di esclusione della punibilità,
giustificata alla stregua dei principi di proporzione e di extrema ratio del ricorso
alla sanzione penale, finalizzata a escludere dal circuito penale fatti che, proprio
in quanto bagatellari, si palesano, in concreto, non meritevoli del ricorso alla
pena. E dalla natura di istituto di diritto penale sostanziale deriva pacificamente

ai fatti che, come nel caso di quello per cui è processo, siano stati commessi
anteriormente all’entrata in vigore della nuova disciplina di favore (Sez. U, n.
13681 del 25/02/2016, dep. 6/04/2016, Tushaj, Rv. 266593).
5.2. Si è già osservato che il legislatore individua, al fine di determinare la
particolare tenuità del fatto, tre categorie di indicatori: le modalità della
condotta, l’esiguità del danno o del pericolo, il grado della colpevolezza, da
apprezzare alla stregua di una valutazione complessiva ai sensi dell’art. 133,
primo comma, cod. pen., che considerando tutte le peculiarità della vicenda
concreta consenta di misurarne, nella sua dimensione storico-fattuale ed al di là
della tipizzazione compiuta dal legislatore, l’effettivo (e complessivo) disvalore.
Ne consegue che l’applicazione del nuovo istituto non può dirsi inibita ad
alcuna tipologia di reato, anche nel caso dei reati senza offesa e di quelli di mera
disobbedienza ovvero dei reati in cui il legislatore ha individuato soglie, fasce di
rilevanza penale o di graduazione dell’entità dell’illecito, nonché nel caso dei reati
di pericolo presunto, in cui il legislatore ha ritenuto, alla stregua di una massima
di comune esperienza o di regole tecniche o di leggi scientifiche, l’inidoneità della
condotta a recare pregiudizio al bene giuridico oggetto di tutela. Ciò che le
Sezioni Unite hanno inteso affermare con il principio di diritto secondo cui “l’art.
131-bis cod. pen. si applica ad ogni fattispecie criminosa, in presenza dei
presupposti e nel rispetto dei limiti fissati dalla medesima norma” (Sez. U, n.
13681 del 25/02/2016, dep. 6/04/2016, Tushaj, Rv. 266589), sul presupposto
che la previsione di un valore-soglia per la configurazione del reato ovvero la
tipizzazione di condotte di pericolo presunto svolgano la loro funzione “sul piano
della selezione categoriale”, laddove la particolare tenuità del fatto richiede,
invece, un “vaglio tra le epifanie nella dimensione effettuale” (Sez. U, n. 13681
del 25/02/2016, dep. 6/04/2016, Tushaj, in motivazione).
5.3. Quanto, poi, al dato relativo alla necessità che il comportamento non
sia abituale, l’opinione giurisprudenziale ormai consolidata, confortata nel chiaro
tenore della norma, è nel senso che la norma intenda escludere la particolare
tenuità del fatto in caso di comportamenti “seriali”, concretizzatisi in «più reati
della stessa indole», eventualmente commessi anche successivamente a quello
7

che esso è applicabile retroattivamente, ai sensi dell’art. 2, comma 4, cod. pen.,

per cui si proceda ed in ipotesi ancora sub iudice (Sez.

5, n.

26813 del

10/02/2016, dep.

2,

23020 del

28/06/2016,

Grosoli,

Rv.

267262;

Sez.

n.

10/05/2016, dep. 31/05/2016, P., Rv. 267040).
Per

quanto

riguarda

i

reati

permanenti,

categoria

cui

appartiene

la

fattispecie in contestazione, va ribadito che tali tipologie di illeciti, in quanto
caratterizzati dalla persistenza, ma non dalla reiterazione, della condotta, non
sono riconducibili nell’alveo del comportamento abituale che preclude
l’applicazione di cui all’art. 131-bis cod. pen., anche se importano una attenta

(Sez. 3, n. 47039 del 8/10/2015, dep. 27/11/2015, P.M. in proc. Derossi, Rv.
265448).
Nel caso di specie, ritiene il Collegio che possano in astratto ricorrere le
condizioni per l’eventuale applicazione dell’istituto, avuto riguardo al regime
sanzionatorio proprio della fattispecie contestata, alle modalità di realizzazione
della condotta, alla condizione soggettiva dell’imputato. Tale valutazione,
nondimeno, implicando un vaglio di una serie di concreti elementi di fatto, in
specie sul versante della esiguità del danno o del pericolo, deve essere
necessariamente rimessa all’apprezzamento del giudice di merito.
6. Sulla base delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere
accolto limitatamente all’applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen.. Deve, pertanto,
disporsi l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio al Tribunale di
Torino in diversa composizione per le pertinenti valutazioni e statuizioni (cfr.
Sez. 3, n. 21474 del 22/04/2015, Fantoni, Rv. 263693; Sez. 4, n. 33821 del
1/07/2015, Pasolini, Rv. 264357). Nel resto il ricorso deve essere rigettato. ,
7. Va, da ultimo, precisato che l’annullamento con rinvio della sentenza di
condanna per la verifica della sussistenza dell’art. 131-bis cod. pen., impedisce
l’applicabilità nel giudizio di rinvio della causa di estinzione del reato per
prescrizione e, fermo restando l’accertamento della responsabilità penale, la
statuizione di condanna rimane sospesa al verificarsi di una condizione costituita
dall’applicabilità o meno della causa di non punibilità per la particolare tenuità
del fatto (Sez. 3, n. 50215 in data 8/10/2015, 22/12/2015, Sani, Rv. 265434).
Sul punto, va ricordato che questa Corte ha stabilito che, da un lato, non si
può ritenere la punibilità elemento costitutivo del reato, come tale in grado di
condizionarne il perfezionamento; e che, dall’altro lato, vige il principio della
formazione progressiva del giudicato, il quale si forma, in conseguenza del
giudizio della Corte di cassazione di parziale annullamento dei capi della
sentenza e dei punti della decisione impugnati, su quelle statuizioni suscettibili di
autonoma considerazione, quale quella relativa all’accertamento della
responsabilità in merito al reato ascritto, che diventano non più suscettibili di
ulteriore riesame (Sez. 3, n. 15472 del 20/02/2004, dep. 1/04/2004, Ragusa,
8

valutazione con riferimento alla configurabilità della particolare tenuità dell’offesa

Rv. 228499; Sez. 2, n. 44949 del 17/10/2013, dep. 7/11/2013, Abenavoli, Rv.
257314). La configurabilità del giudicato progressivo comporta che
l’accertamento della responsabilità e l’irrogazione della pena possono intervenire
in momenti distinti posto che la punibilità non è elemento costitutivo del reato e
dunque non è extra ordinem la concezione di una definitività decisoria che,
attenendo all’accertamento della responsabilità dell’autore del fatto criminoso e
ponendo fine all’iter processuale su tale parte, crei una barriera invalicabile
all’applicazione di cause estintive del reato, sopravvenute alla sentenza di

Ne consegue che, se l’annullamento è parziale e non intacca le disposizioni
della sentenza che attengono all’affermazione di responsabilità, la sentenza
acquista “autorità di cosa giudicata nelle parti che non hanno connessione
essenziale con la parte annullata” (art. 624 cod. proc. pen.) e tale connessione
non sussiste quando venga rimessa dalla Corte di cassazione al giudice di rinvio
esclusivamente la questione relativa alla punibilità, sul rilievo che il giudicato
(progressivo) formatosi sull’accertamento del reato e della responsabilità
dell’imputato, con la definitività della decisione su tali parti, impedisce
l’applicazione di cause estintive sopravvenute all’annullamento parziale (Sez.
Un., n. 4904 del 26/03/1997, Attinà, Rv. 207640).

PER QUESTI MOTIVI
Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’applicabilità dell’art. 131-bis
cod. pen. e rinvia al Tribunale di Torino. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 23/11/2016

Il Consig ere estensore

Il Presi

annullamento ad opera della Cassazione.

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