Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18909 del 10/04/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 18909 Anno 2013
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: RAGO GEPPINO

SENTENZA
su ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA presso il Tribunale di Caltanissetta
avverso l’ordinanza pronunciata dal Tribunale di Caltanissetta in data
25/10/2012 nei confronti di TORREGROSSA LIRIO nato il 11/11/1967;
Visti gli atti, l’ordinanza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Geppino Rago;
udito il Procuratore Generale in persona della dott.ssa Maria Giuseppina
Fodaroni che ha concluso per l’annullamento con rinvio;
udito il difensore avv.to Daniele Tipo che ha concluso per il rigetto del
ricorso;

FATTO
L Con ordinanza del 01/10/2012, il g.i.p del tribunale di
Caltanissetta applicava a TORREGROSSA Lino la misura della custodia
cautelare in carcere in quanto indagato per il delitti di frode informatica
aggravata ex u.c. 640 ter cod. pen., di peculato ex art. 314 cod. pen. e
di illecita concorrenza con minaccia o violenza ex art. 513 bis cod. pen.,
nell’ambito di un più ampio procedimento nel quale si procedeva, nei
confronti di altri coimputati, anche per il reato di cui all’art. 416 bis cod.
pen.

Data Udienza: 10/04/2013

2. A seguito di istanza di riesame proposta dall’indagato, l’adito
tribunale di Caltanissetta, con ordinanza del 25/10/2012, annullava
l’ordinanza di custodia cautelare limitatamente al capo XIX)
restanti capi d’imputazione (artt. 640 ter e 513 bis cod. pen.), la misura
della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari.
Il Tribunale, riteneva che non fosse ammissibile il concorso
formale fra il reato di peculato e quello di frode informatica, sulla base
della seguente testuale motivazione: «il concorso fra le due fattispecie
penali, tale orientamento non appare ad oggi condivisibile. La pressoché
costante e pacifica giurisprudenza di legittimità esclude categoricamente
la possibilità del concorso tra il delitto di peculato e quello di truffa,
benché siano differenti gli interessi giuridici lesi. La distinzione tra le due
fattispecie (e, quindi, la esclusione di un concorso formale di reati) viene
ricollegata dai giudici di legittimità alle modalità del possesso del denaro
o d’altra cosa mobile altrui, ricorrendo il peculato quando il pubblico
ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio se ne appropri avendone già il
possesso o comunque la disponibilità per ragioni del suo ufficio,
incidendo la condotta fraudolenta non sul possesso del bene ma sul
tentativo di mascherare, ex post, la commissione del delitto;
ravvisandosi invece la truffa laddove il soggetto, non avendo tale
possesso, se lo procuri fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o
raggiri per appropriarsi del bene (cfr. Cass., Sez. 6, Sentenza n. 35852
del 06/05/2008, Rv, 2, Sez. 1, Sentenza n. 26705 del 13/05/2009, Rv.
244710; Sez. 6, Sentenza n. 4668 del 14/01/201 245856; Sez. 6.
Sentenza n. 5447 del 04/11/2009, Rv. 246070; da ultimo, Cass., sez.
VI penale. 15/06/2012, n.23777). Benché non vi siano pronunce
relative al rapporto tra peculato e frode informatica appare chiaro che il
principio sopra esposto è mutuabile al caso in esame, atteso che la
frode informatica a una speciale ipotesi di truffa regolamentata
autonomamente dal codice. Nel caso in oggetto, quindi, dovrà ritenersi
integrato il solo reato di frode informatica, atteso che il meccanismo di
alterazione del sistema informatica interno agli apparecchi da gioco

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dell’imputazione (art. 314 cod. pen.) e sostituiva, relativamente ai

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consente al titolare della macchina di incamerare denaro che non può oh
origine considerarsi pubblico, perché relativo ad apparecchi che,
secondo la normativa di legge, non comportano l’obbligo di versare il
PREU bensì di pagare allo Stato una quota fissa e predeterminata; è solo
quota di denaro che, in astratto, laddove gli apparecchi rispettassero
formalmente i requisiti previsti dal diverso comma 7 0 (rectius 6°)
dell’art. 110 tulps, dovrebbe essere versata all’Erario. La condotta
fraudolenta è quindi funzionale a garantirsi il possesso di denaro che
viene del tutto sottratto al controllo statale e che non può considerarsi
di natura pubblica sin dall’inizio solo perchè, nel caso in cui la macchina
avesse rispettato i requisiti di legge, avrebbe dovuto in parte essere
versato allo Stato. Del resto il danno allo Stato rileva come detto, nel
caso di specie, proprio sotto il diverso profilo dell’aggravante prevista
dall’ultimo comma dell’art. 640 ter c.p., atteso che la condotta
fraudolenta trae in inganno da un lato i giocatori, falsandosi la
percentuale di vincite che dovrebbe essere garantita su ogni ciclo di
giocate e, dall’altro, l’AAMS, facendo apparire come macchine che non
erogano vincite in denaro e che non richiedono il collegamento
telematica con la rete dei Monopoli apparecchi che, in realtà, per la
tipologia di giochi che riproducono, dovrebbero essere sottoposte a tali
tipi di controlli ed al versamento del PREU».
3. Avverso la suddetta ordinanza, il P.M. ha proposto ricorso per
cassazione limitatamente alla decisione relativa all’insussistenza del
reato di peculato adducendo i seguenti motivi:

«[…] Analizzando la

concreta fattispecie posta in essere dagli indagati, abbiamo infatti la
seguente situazione: i soggetti agenti sono in concorso tra loro sub
concessionari della Atlantis World e titolari di autonome licenze di P.S. e
AAMS quali noleggiatori di apparecchiature per il gioco lecito; essi sono
quindi, secondo le direttive direttoriali AAMS e le circolari “terzi
raccoglitori”; tale qualità attribuisce loro – secondo le SS.UU. sopra
riportate – la qualità di agenti contabili e di incaricati di pubblico servizio
proprio perché la loro attività è direttamente funzionale alla riscossione

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grazie alla modifica posta in essere che si viene sottrarre al fisco una

del P.R.E.U. sull’importo delle giocate; i soggetti agenti, tra cui il
Torregrossa, in concorso tra loro, oltre le macchine definite dal comma 6
dell’art. 110 T.U.L.P.S. regolarmente collegate alla rete AAMS, collocano
nelle loro attività commerciali (bar, sale giochi, circoli ecc..) macchine

all’Azienda dei Monopoli, ma alterate nel loro funzionamento in modo da
renderle del tutto simili nel funzionamento al comma 6, senza tuttavia le
limitazioni all’entità delle giocate previste dalla normativa vigente e
senza provvedere al collegamento alla rete telematica del
concessionario AAMS; l’intero introito delle giocate viene così suddiviso,
dedotte le vincite per i giocatori, che vengono erogate in misura
inferiore al dovuto, tra il noleggiatore della macchina e l’esercente del
locale; tutte le macchine prevedono meccanismi di attivazione e
resetting, idonei ad escludere la possibilità di controlli ordinari e/o di
analisi degli incassi; tale comportamento dei soggetti agenti viola gli
obblighi contrattualmente assunti, dal concessionario, dal noleggiatore
terzo raccoglitore e dall’esercente con la AAMS, oltre a frodare il
giocatore che viene esposto al rischio concreto di giocate per importo
illimitato su macchine che non assicurano una possibilità di vincita pari
al 75% delle giocate.
I quesiti da porsi, sono dunque i seguenti:
– nel caso un soggetto assuma contrattualmente l’obbligo di bene e
fedelmente porre in essere una attività in concessione o subconcessione dalla P.A., altrimenti vietata, che lo ponga in diretta
relazione con la possibilità di incamerare denaro pubblico, non
dall’erario, ma dal privato che volontariamente e in modo del
tutto avulso dall’attivazione di artifici e raggiri da parte del
soggetto ag,nte, inserisca delle monete o dei soldi nel sistema di
gioco – l’artifizio e raggiro posto in essere nel posizionare
macchine “irregolari” negli esercizi pubblici accanto a quelle
regolari, fa venire meno l’obbligo contrattualmente assunto, o in
virtù della posizione giuridica di garanzia complessivamente e
volontariamente assunta nei confronti del concedente tale
obbligo permane con ogni giuridica conseguenza?

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della tipologia “comma 7”, regolarmente autorizzate, quindi note

1,111,

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1

• °I

1,1

il comportamento in violazione di tali obblighi assume i caratteri
propri del peculato sulle somme riscosse dal giocatore e che,
nella misura prevista del 13,5% su ogni giocata, dovrebbero
essere versate a titolo di PREU o, come implicitamente sostiene il
profitto illecito del reato di frode informatica in danno del
giocatore e della stessa AAMS?
l’esistenza della circostanza aggravante di cui al comma tre
dell’art, 640 ter c.p., elide l’eventuale reato di peculato, come
sostenuto dal Tribunale?
Ad avviso di questo Ufficio: la risposta al l° quesito deve essere nel
senso che gli obblighi contrattualmente assunti non vengono meno e
che le conseguenze della violazione non possono andare a vantaggio
dell’autore della violazione stessa; la risposta al secondo quesito è che
l’appropriazione del denaro acquisito come P.R.E.U. su ogni singola
giocata irregolare costituisce peculato; la risposta al terzo quesito deve
essere negativa, non potendo la previsione di una circostanza
aggravante relativa alla natura pubblica della persona offesa, entrare in
relazione elidente con la qualità soggettiva dell’autore posta
nell’autonomo reato di peculato quale presupposto soggettivo per la
configurabilità stessa della fattispecie.
Il ragionamento seguito dal Tribunale del Riesame porta, infatti, a
conseguenze del tutto illogiche.
Si ricordi che la S. C. di Cassazione ha pacificamente ammesso la
configurabilità del peculato nel caso in cui i meccanismi fraudolenti posti
in essere incidano sul collegamento alla rete AAMS provocando il
cosiddetto “abbattimento” delle giocate comunicate al server della rete.
Il peculato viene quindi configurato con riferimento alle macchine

comunque collegate alla rete, in cui il meccanismo è proprio quello di
occultare alla “rete una parte delle giocate. Condotta certamente assai
più lieve, già in punto di fatto, dal volontario “occultamento” di una
macchina che, per le sue caratteristiche tecniche, dovrebbe essere
collegata alla rete, ma non lo è. In tal caso infatti ad essere occultato è
l’intero ammontare delle giocate e non soltanto una parte. Si può

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collegio con l’ordinanza impugnata sfuggono alla tassazione come

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dunque ipotizzare che, dopo la volontaria assunzione da parte del
titolare delle licenze c delle concessioni pubbliche degli obblighi specifici
di contabilizzare le giocate, di versare il PREU e di tenere le macchine
collegate e la rete efficiente ed in caso di manifesta violazione di tali
pacificamente prevista per il semplice abbattimento dei dati inerenti le
giocate effettuate. Ad avviso del Pubblico Ministero ovviamente no, a
pena di considerare lecita una interpretazione del tutto illogica del
sistema di repressione penale delle violazione agli obblighi contabili
contrattualmente assunti
Il ragionamento seguito dal Tribunale, quindi, con l’automatica
estensione di una giurisprudenza affermata in ordine al concorso tra la
truffa aggravata ed il peculato alla frode informatica in questione non
convince: da un lato, infatti, per la diversa natura del reato di frode
informatica che comporta, in questo caso, proprio come affermato dal
Tribunale, che l’artifizio e raggiro non incida sull’ottenimento del denaro,
che deriva al contrario dalla spontanea scelta del “giocatore” di giocare
a quella macchina, ma semmai sulla ritenzione indebita uti domini del
totale del denaro ormai nella disponibilità dell’esercente e del
noleggiatore; dall’altro per la illogica conseguenza derivante dal seguire
l’argomentazione del collegio che,

così argomentando, “sana” un

comportamento di natura ed entità sicuramente più grave,
sanzionandolo nella misura inferiore e non attribuendo alcun significato
giuridico, nella ricostruzione della fattispecie, alla veste volontariamente
assunta dal soggetto agente, di incaricato di pubblico servizio quale
terzo raccoglitore.
Del resto non può neanche affermarsi che il denaro non sia pubblico
all’origine. Ciò che si contesta infatti non è che gli autori del reato
noleggiatore ed esercente si siano appropriati di denaro pubblico, ma di
aver trattenuto la quota destinata al P.R.E.U. da essi comunque dovuta
in forza degli obblighi assunti. Va rilevato infatti che il profitto del reato
contestato non deriva, come sembra aver equivocato il collegio, da una
attività illecita in sé e per sé e pertanto non soggetta a tassazione, ma
da una attività, prevista, autorizzata, ma gestita in modo illecito. Così

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obblighi, si dia luogo ad una sanzione inferiore a quella invece

come non viene meno in caso di frode fiscale l’obbligo di versamento
dell’imposta dovuta, così non viene meno di versamento del PREU, che
sorge con l’inserimento della moneta da parte del privato giocatore, nel
sistema di gioco.

concessionario della rete, alla quale la macchina avrebbe dovuto essere
collegata, della somma incassata a titolo di P.R.E.U. sulle singole
giocate. In quel momento interviene, infatti, l’interversione del possesso
da parte del noleggiatore e delreercente che avendo occultato all’AAMS
l’intera macchina, si appropriano dell’intero ricavato. Né alla
configurazione del peculato nei confronti del Torre grossa è di ostacolo il
fatto che egli non sia un “terzo raccoglitore” applicandosi al medesimo le
normali regole in tema di concorso nel reato proprio ex art. 117 c. p.. AI
riguardo va osservato che “Per aversi concorso di persone nel reato e
necessario che i partecipi siano consapevoli della situazione di fatto in
cui operano, vogliano conseguire e contribuiscano ciascuno per la
propria parte alla realizzazione del medesimo evento antigiuridico, sia
determinando altri a commettere il reato sia cooperando materialmente
nell’esecuzione della tipica condotta criminoso, sia istigando moralmente
gli altri a specificatamente delinquere.” Nessun dubbio emerge al
riguardo dalle indagini circa la sussistenza di entrambi tali requisiti per
l’indagato Torre grossa Lino».
DIRITTO
L In via preliminare, va ritenuto l’interesse del P.M. ad
impugnare l’ordinanza sia pure limitatamente alla ritenuta insussistenza
di uno dei reati contestati.
Sul punto, occorre rammentare che, secondo la pacifica
giurisprudenza di questa Corte,

l’indagato ha interesse a ricorrere

avverso un provvedimento restrittivo della libertà personale anche nel
caso in cui il gravame sia limitato ad una sola delle imputazioni, poiché
il venir meno del titolo della custodia anche se con riferimento esclusivo
ad una delle accuse, pur senza incidere sull’assoggettamento del

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Il peculato consegue all’omesso versamento nei termini previsti al

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7713, .'”

medesimo alla misura cautelare a causa del mantenimento del
provvedimento restrittivo in relazione ad altro reato, rende meno
gravosa la posizione difensiva e consente il riacquisto della libertà, nel
caso in cui il titolo legittimante l’applicazione della misura venga meno,
193746; Cass. 4038/1995 Rv. 202205; Cass. 1067/2000 Rv. 216083.
Ritiene questa Corte che lo stesso principio di diritto, mutatis
mutandis, possa essere applicato anche alla inversa situazione in cui sia

il P.M. ad impugnare dovendosi ravvisare l’interesse ad agire nella
circostanza che, a carico dell’indagato, ove dovesse venire riconosciuta
la fondatezza dell’ipotesi accusatoria per un ulteriore reato, vi sarebbe
un ulteriore titolo per il mantenimento della misura cautelare.
2. Passando, ora, all’esame del ricorso, il medesimo deve
ritenersi infondato per le ragioni di seguito indicate.
La questione di diritto sottoposta all’esame di questa Corte di
legittimità può essere così enunciata: «se il reato di frode informatica
commesso da un incaricato di pubblico servizio ed ulteriormente
aggravato, ex art. 640/2 n° 1 cod. pen. per essere stato il fatto
commesso a danno dello Stato o di altro ente pubblico, possa o no
concorrere con il reato di peculato».
Il suddetto problema dev’essere affrontato e risolto secondo la

seguente sequenza logico giuridica:
1) se i due reati siano o no compatibili e, quindi, se sia o no
ammissibile il concorso formale;
2) in caso di risposta negativa, quale dei due reati, nel caso di
specie, sia configurabile.

3. Il fatto è stato ricostruito dal Tribunale nei seguenti termini:
«Preliminarmente, al fine di meglio inquadrare la condotta in
contestazione, occorre osservare come il Tulps preveda, all’art. 110, due
distinte categorie di apparecchi da gioco: la prima, di cui al comma 6°,
relativa ad apparecchi da gioco che producono vincite, per i quali è
prevista l’emissione, da parte dell’Amministrazione Autonoma dei

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per un qualsiasi motivo, in ordine all’altro reato: SSUU 7/1993 Rv.

Monopoli di Stato, di nulla osta alla distribuzione e alla messa in
esercizio, nonché un collegamento telematico che consenta
all’Amministrazione di rilevare il volume di gioco e determinarne la
tassazione; la seconda, prevista dal comma 7°, riguarda invece
assoggettati ad imposte versate forfettariamente. Le macchine
sequestrate erano essenzialmente di tre tipologie:

slot machine,

distributori di chewing gum e chioschi net shop. All’interno di ognuno di
tali apparecchi sono state rinvenute schede che consentivano due
distinte tipologie di giochi: gioco di abilità, con cui la macchina si
avviava automaticamente (corrispondente ai giochi ricompresi nella
categoria di cui al comma 7° tulps per la quale gli apparecchi erano
regolarmente autorizzati) e slot machine irregolare, che si avviava solo
dopo la pressione di una combinazione di tasti che variava da
apparecchio ad apparecchio (e che rientrerebbe nella diversa categoria
di cui al comma 6° tulps). In ordine alle slot il consulente del p.m.
accertava che tutte le macchine non corrispondevano ai requisiti di cui
al comma 7°, art. 110 tulps bensì rientravano nella diversa tipologia di
cui al comma 6°. Tuttavia, pur corrispondendo alle caratteristiche di cui
al comma 60 del citato articolo, trattandosi di apparecchi manomessi
ovviamente le macchine non rispettavano neppure i criteri di regolarità
prescritti dal diverso comma 6°, mancando del tutto il collegamento ai
Monopoli di Stato (obbligatorio per tali tipi di macchine, proprio al fine di
garantire il controllo da parte dell’AAMS sul numero di giocate e sulla
percentuale di vincite destinate allo Stato) e non rispettando nella gran
parte la percentuale di vincite da erogare agli utenti, pari per legge al
75% su un ciclo di 140.000 partite. […] Da quanto analizzato è emerso
quindi che la maggior parte delle macchine, anziché riprodurre giochi di
abilità con costo per partita non superiore a 50 centesimi di euro,
raffiguravano slot machine con rulli virtuali, giochi caratterizzati da
completa aleatorietà e, quindi, non correlati all’abilità del giocatore,
nonché con erogazione delle vincite in maniera esterna alla macchina,
atteso che i punti vinti venivano convertiti in denaro ed annotati nei
quaderni pure oggetto dei sequestri o in foglietti di carta trovati

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apparecchi senza premi, incentrati sull’abilità del giocatore e

all’interno degli apparecchi. Inoltre, il numero di partite per ciascun
giocatore risultava illimitato con possibilità di vincite di molto superiori a
quelle consentite per legge. Pertanto, è indubbio che gli apparecchi di
esercizi nisseni fossero stati modificati così da non rispettare i requisiti
di cui all’art. 110, comma 7 0 del tulps, bensì riproducendo una categoria
di giochi che rientrerebbero nella categoria di cui al comma 6° del
medesimo articolo, in questo caso, però, venendo meno il necessario
collegamento delle macchine con la rete dell’AAMS, funzionale a
garantire il controllo da parte dello Stato del flusso e del numero
effettivo di giocate e di vincite totalizzate, al fine di verificare che il
titolare della concessione versi allo Stato la percentuale dovuta a titolo
di imposta (PREU), pari al 13,5 % delle somma giocate. Tale
collegamento in rete consente, pertanto, di monitorare l’attività di gioco
che lo Stato affida a terzi in concessione, e di riscontrare le tasse
effettivamente versate all’Erario».
Il capo d’incolpazione che è stato elevato dal P.M. a carico del
Torregrossa e che il Tribunale ha ritenuto insussistente giuridicamente è
il seguente: «XIX) del delitto di cui agli artt. 81 co. 1 e cpv. 110, 117,

314 c.p., per essersi appropriato in concorso con Allegro Matteo, Allegro
Salvatore, Allegro Luigi e con Angotti Marco, i quali agivano nella loro
attività come agenti contabili di fatto e quindi come incaricati di pubblico
servizio, in quanto sub-concessionari della Atlantis World e titolari di
concessioni in proprio dell’A.A.M.S., quale gestore della sala giochi All In
Games sita in via Babbaurra 137/139 a San Cataldo dove era installata
la slot- machine avente identificativo F00607188XY, slot con rulli virtuali
dal nome Crazy Circus (apparecchio non contemplato tra quelli di cui
all’art. 110 comma 7 lettera C) T.U.L.P.S., bensì tra quelli previsti dal
comma 6 del medesimo articolo, che pertanto avrebbe dovuto essere
collegato, telematicamente all’AAMS), della quota pari al 13,5 % del
costo di ciascuna partita dovuta all’Erario a titolo di prelievo erariale. In
Caltanissetta fino al 15.3.2011».
Nel caso di specie, quindi, il Torregrossa – sebbene semplice
gestore della sala da giochi dove erano state collocate le macchine da

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proprietà dell’Allegro Matteo e dallo stesso affidati in gestione ai diversi

.„

gioco – è stato incolpato, oltre che dell’art. 513 bis cod. pen., dei
seguenti delitti:
a) frode informatica;
b) del delitto di peculato per avere concorso, ex artt. 110, 117

quota pari al 13,5% del costo di ciascuna partita dovuta all’Erario a
titolo di prelievo erariale.
Il problema che pone, quindi, il presente procedimento, consiste,
come si è già anticipato, nel verificare se i due suddetti reati possano o
no concorrere.

4. La soluzione della questione in esame, consiglia, in via
preliminare, la focalizzazione litol alcuni notori principi di diritto già
richiamati dal tribunale nell’ordinanza impugnata e che vanno ribaditi.
4.1. La fattispecie in esame, integra, sicuramente gli estremi
della frode informatica come, peraltro, ha già ritenuto il tribunale.
Sul punto, è sufficiente il rinvio alla motivazione della sentenza di
questa Corte di legittimità n° 27135/2010 Rv. 248306 che ha enunciato
il seguente principio di diritto che, qui, va ribadito: «Integra il reato di

frode informatica, previsto dall’alt 640-ter cod. peri., l’introduzione, in
apparecchi elettronici per il gioco di intrattenimento senza vincite, di
una seconda scheda, attivabile a distanza, che li abilita all’esercizio del
gioco d’azzardo (cosiddette “slot machine”), trattandosi della attivazione
di un diverso programma con alterazione del funzionamento di un
sistema informatica».
Il reato di frode informatica (art. 640 ter cod. pen.) si differenzia
dal reato di truffa perché l’attività fraudolenta dell’agente investe non la
persona (soggetto passivo), di cui difetta l’induzione in errore, bensì il
sistema informatico di pertinenza della medesima, attraverso la
manipolazione di detto sistema:

ex plurimis Cass. 44720/2009 Rv.

245696; Cass. 3065/1999 riv 214942; Cass. 9891/2011 Rv. 249675.
Il reato di frode informatica, quindi, ha la medesima struttura e
ed i medesimi elementi costitutivi della truffa (fra cui l’ingiusto profitto)

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cod. pen., con gli incaricati di pubblico servizio, ad appropriarsi della

della quale, pertanto, si può ben dire, costituisce un’ipotesi speciale
derivante dalla peculiarità di cui si è detto (soggetto passivo).
4.2. In giurisprudenza, poi, si è posto il problema degli elementi
differenziatori fra l’ipotesi di truffa commessa da un pubblico ufficiale o
peculato.
Anche a tale proposito, la giurisprudenza di questa Corte di
legittimità è ferma nel ritenere che i criteri da utilizzare per differenziare
i suddetti reati sono due:
1. le modalità con le quali l’agente si è impossessato del bene;
2. la preesistenza o meno del possesso della res in capo al soggetto
attivo.
Si è, infatti, costantemente affermato che sussiste peculato
quando l’agente fa proprio il danaro della pubblica amministrazione, del
quale abbia il possesso per ragione del suo ufficio o servizio, mentre vi è
truffa qualora il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, non
avendo tale possesso, si sia procurato fraudolentemente, con artifici e
raggiri, la disponibilità del bene oggetto della sua illecita condotta. Più in
particolare, ricorre il peculato e non la truffa quando l’artificio od il
raggiro o la falsa documentazione siano stati posti in essere non per
entrare in possesso del pubblico danaro, ma per occultare la
commissione dell’illecito: ex plurimis Cass. 35852/2008 Rv. 241186;
Cass. 32863/2011 Rv. 250901.
In altri termini, nel peculato il possesso è un antecedente della
condotta e gli artifici, i raggiri o la falsa documentazione non incidono
sulla struttura del reato, ma servono per occultarlo. Viceversa, nella
truffa, la condotta fraudolenta è predisposta al fine di consentire al
soggetto agente di entrare in possesso della provvista, in vista della
successiva condotta appropriativa.
Conclusivamente, si può, quindi, affermare che:
1. nella truffa: a) gli artifici ed i raggiri costituiscono uno degli
elementi costituitivi del reato e, quindi, sono

antecedenti

all’appropriazione fraudolenta del bene altrui; b) l’appropriazione – che

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un incaricato di un pubblico servizio (art. 61 n° 9 cod. pen.) e l’ipotesi di

determina il momento consumativo del reato – costituisce un posterius
ossia l’effetto dell’attività fraudolenta.
2. nel peculato, invece, i termini sono invertiti perché: a) il
soggetto agente (pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio)
appropria e che segna il momento consumativo del reato; b) l’eventuale
condotta fraudolenta costituisce un

posterius,

privo di rilevanza

giuridica, che serve per occultare il reato già consumato.
4.3. I criteri differenziali fra truffa aggravata e peculato, mutatis
mutandis, possono sicuramente essere applicati anche per distinguere la
frode informatica ed il peculato sia perché la frode informatica, per
quanto si è detto (§ 4.1.), è un’ipotesi speciale di truffa della quale
conserva tutti gli elementi costitutivi fra cui proprio la condotta
fraudolenta (artifizi e raggiri) finalizzata ad ottenere un ingiusto profitto
con altrui danno, sia perché, l’unica differenza (soggetto passivo) fra le
ipotesi di reato di cui agli artt. 640 e 640 ter cod. pen. non influisce sui
criteri che servono a distinguere il peculato dalla truffa aggravata.
Non vi è, quindi, alcuna ragione logico giuridica per la quale i
consolidati principi di diritto enucleati da questa Corte di legittimità per
differenziare la truffa aggravata dal peculato, non si debbano applicare
anche per distinguere la frode informatica dal peculato.
Alla stregua di quanto appena detto, si può, pertanto, affermare
il seguente principio di diritto: «L’elemento distintivo tra il delitto di
peculato e quello di frode informatica, aggravata ai danni dello Stato ex
art. 649 ter/2 cod. pen. nonchè ai sensi dell’art. 61 n. 9, cod. pen., è
simile a quello fra il delitto di peculato ed il delitto di truffa aggravata ex
art. 61 n° 9 cod. pen.
Conseguentemente, l’elemento distintivo va individuato con
riferimento alle modalità del possesso del denaro o d’altra cosa mobile
altrui oggetto di appropriazione, ricorrendo il reato di peculato quando il
pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio se ne appropri
avendone già il possesso o comunque la disponibilità per ragione del suo
ufficio o servizio, e ravvisandosi invece il reato di frode informatica
quando il soggetto attivo, non avendo tale possesso, se lo procuri

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ha già, per effetto della sua funzione, il possesso del bene del quale si

fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri per procurarsi un
ingiusto profitto con altrui danno».

5. Premessi i suddetti principi di diritto, non resta ora che
tribunale, se, nel caso di specie, sia configurabile il delitto di frode
informatica, quello di peculato ovvero entrambi come sostiene il
ricorrente P.M.
Come risulta dalla ricostruzione in fatto

(supra §

3), il

Torregrossa – semplice gestore del locale dove erano stati collocati gli
apparecchi da gioco in questione – in concorso, ex art. 110-117 cod.
pen., con coloro che agivano come incaricati di un pubblico servizio,
aveva alterato il sistema informatico dei suddetti apparecchi.
A seguito della suddetta alterazione, quelli che apparivano essere
apparecchi per giochi di abilità (assoggettati ad imposte versate
forfettariamente), in realtà, erano delle vere e proprie slot machine,
ossia apparecchi che, in quanto caratterizzati da completa aleatorietà,
sarebbero stati soggetti ad un’imposta pari al 13,5% delle somme
giocate: successe, quindi, che, come effetto dell’alterazione, coloro che
agivano come incaricati di pubblico servizio, in quanto sub-concessionari
della Atlantis World e titolari di concessioni in proprio dell’A.A.M.S.
(ossia i coindagati Allegro Matteo, Allegro Salvatore, Allegro Luigi e con
Angotti Marco: cfr capo d’incolpazione), si appropriarono delle somme
dovute allo Stato (AAMS).
Di conseguenza:
a) il Torregrossa, in concorso con coloro che agivano come
incaricati di pubblico servizio, prima che gli apparecchi fossero collocati
nella sala giochi da lui gestita, ne alterò il sistema informatico;
b) a seguito della suddetta condotta fraudolenta, il Monopolio di
Stato, al quale avrebbe dovuto essere versata la percentuale del 13,5%
delle somme giocate, fu tratto in inganno sicché non fu messo nelle
condizioni di riscuotere il tributo dovuto;
c)

la percentuale del 13,5% fu incassata e trattenuta

illecitamente da coloro che avevano alterato il sistema informatico.

14

verificare, alla stregua della pacifica ricostruzione in fatto effettuata dal

mgrinTtmr,7, 11 ‘m

Questa essendo la sequenza cronologica dei fatti e la modalità
con la quale gli indagati si appropriarono delle somme dovute allo Stato,
è del tutto evidente che l’unico reato ipotizzabile è quello della frode
informatica aggravata ex art. 61 n° 9 cod pen. posto che:

(ossia dagli incaricati del pubblico servizio e, quindi, anche dal
Torregrossa ex art. 117 cod. pen.) antecedentemente all’appropriazione
fraudolenta del denaro spettante allo Stato (percentuale del 13,5%) e lo
furono proprio al fine di realizzare la suddetta appropriazione;
b) l’appropriazione – che determinò il momento consumativo del
reato – costituì un posterius ossia l’effetto dell’attività fraudolenta.
Sarebbe stato, invece, configurabile il delitto di peculato, ove lo
Stato fosse stato messo in grado di controllare le giocate, di quantificare
il tributo dovuto sulla base della percentuale del 13,5%, ma della
suddetta somma si fosse appropriato l’indagato il quale, per occultare
l’appropriazione, avesse posto in essere artifizi o raggiri: ma così,
fattualmente, non è stato, sicchè, correttamente il tribunale ha ritenuto
la configurabilità del solo reato di frode informatica aggravata per
essere stata commessa ai danni dello Stato.

6. Gli argomenti che il P.M. ricorrente ha dedotto a sostegno del
proprio ricorso, possono essere così riassunti:
6.1. il Tribunale non avrebbe considerato che il reato oggetto di
incolpazione «non può in concreto essere commesso da chiunque, ma
soltanto da coloro che, in quanto dotati di apposite licenze di P.S. e
dell’A.A.M.S. siano autorizzati a posizionare in esercizi pubblici macchine
elettroniche per il gioco, ciascuna delle quali, indipendentemente dal
gioco esercitabile sulla stessa, dev’essere conosciuta dall’Azienda dei
Monopoli di Stato, ha un numero identificativo, ed è soggetta in misura
diversa al pagamento del tributo»: pag. 3 ricorso;
6.2. la tesi del ricorrente troverebbe un riscontro nella sentenza
n° 35373/2008 di questa Corte di legittimità;
6.3. il tribunale non avrebbe risposto ai quesiti che pone la
fattispecie in esame («nel caso un soggetto assuma contrattualmente

15

a) gli artifici ed i raggiri furono posti in essere dai concessionari

+11

l’obbligo di bene e fedelmente porre in essere una attività in
concessione o sub-concessione dalla P.A., altrimenti vietata, che lo
ponga in diretta relazione con la possibilità di incamerare denaro
pubblico, non dall’erario, ma dal privato che volontariamente e in modo
agente, inserisca delle monete o dei soldi nel sistema di gioco – l’artifizio
e raggiro posto in essere nel posizionare macchine “irregolari” negli

esercizi pubblici accanto a quelle regolari, fa venire meno l’obbligo
contrattualmente assunto, o in virtù della posizione giuridica di garanzia
complessivamente e volontariamente assunta nei confronti del
concedente tale obbligo permane con ogni giuridica conseguenza? il
comportamento in violazione di tali obblighi assume i caratteri propri del
peculato sulle somme riscosse dal giocatore e che, nella misura prevista
del 13,5% su ogni giocata, dovrebbero essere versate a titolo di PREU o,
come implicitamente sostiene il collegio con l’ordinanza impugnata
sfuggono alla tassazione come profitto illecito del reato di frode
informatica in danno del giocatore e della stessa AAMS? l’esistenza della
circostanza aggravante di cui al comma tre dell’ad, 640 ter c.p., elide
l’eventuale reato di peculato, come sostenuto dal Tribunale?»). In
particolare non avrebbe considerato che gli autori del reato avevano
trattenuto la quota destinata al pagamento del tributo (PREU)
comunque dovuto in forza degli obblighi assunti.
6.4. Il ragionamento seguito dal tribunale porterebbe a
conseguenze illogiche perché, mentre sarebbe punito con il peculato
l’attività diretta ad occultare alla rete una parte delle giocate con il
meccanismo del cd. abbattimento delle giocate comunicate al server di
rete, al contrario sarebbe punito con il più lieve reato di truffa la
condotta con la quale si occulta allo Stato una macchina che dovrebbe
essere collegata alla rete ma non lo è.
7. Tutti i suddetti argomenti vanno disattesi per le ragioni di
seguito indicate.
Ad 6.1: nessuno contesta che il reato in questione «non può in

concreto essere commesso da chiunque, ma soltanto da coloro che, in
quanto dotati di apposite licenze di P.S. e dell’A.A.M.S. siano autorizzati

16

del tutto avulso dall’attivazione di artifici e raggiri da parte del soggetto

a posizionare in esercizi pubblici macchine elettroniche per il gioco», né
che non ne possa rispondere il Torregrossa, sebbene semplice gestore
della sala giochi, ex art. 117 cod. pen.
Tuttavia, il ricorrente trascura di considerare che anche il reato di
pubblico servizio come si desume testualmente dall’art. 61 n° 9 cod.
pen. Con il che si torna al problema iniziale e cioè quello di stabilire
quali siano le modalità di differenziazione della truffa aggravata ex art.
61 n° 9 cod. pen. dal peculato.
Ad 6.2: la sentenza di questa Corte invocata dal ricorrente a
sostegno del proprio ricorso, non solo non è in termini, ma afferma,
esattamente il contrario.
In quella fattispecie, infatti, si discuteva di un

«sistema

fraudolento posto in essere dal/indagato e dai suoi complici (mancata
contabilizzazione delle giocate) finalizzato a mascherare l’appropriazione
del denaro che doveva, invece, essere versato all’Amministrazione dei
Monopoli, sicché correttamente si sono ravvisati gli estremi del
peculato».
In altri termini, era successo che l’indagato, in possesso delle
somme ricavate dalle slot machine si era appropriato dell’importo del
tributo che avrebbe dovuto versare all’Erario, attuando,

dopo

l’appropriazione, un meccanismo fraudolento (mancata contabilizzazione
delle giocate) finalizzato ad occultare l’avvenuta appropriazione.
Nella suddetta fattispecie, quindi, la Corte ha ritenuto la
configurabilità del peculato e non della truffa proprio sulla base di quella
pacifica giurisprudenza di cui si è detto in quanto l’artificio era stato
posto in essere non prima ma dopo l’appropriazione.
Pertanto, il ricorrente, quando, insistendo nella propria tesi,
imputa alla decisione del tribunale una pretesa illogicità (argomento sub
4), erra perché non si avvede che la fattispecie invocata a proprio
favore, in realtà, finisce per deporre a favore della tesi opposta, proprio
perché si tratta di un’ipotesi in cui l’agente, occultando una parte delle
giocate con il meccanismo del cd. abbattimento, pone in essere un
comportamento fraudolento

ex post

17

ossia diretto ad occultare

truffa può essere commesso da un pubblico ufficiale o incaricato di un

l’appropriazione del denaro di cui aveva già la disponibilità in ragione
della funzione svolta. Nel che consiste, per quanto ampiamente
illustrato, proprio la differenza fra la truffa aggravata ed il peculato.
Ad 6.3.: tutti gli interrogativi che il ricorrente ha posto e che, a

semplice ragione che sono irrilevanti per risolvere la questione
penalistica (e cioè se, nel comportamento tenuto dall’indagato, sia
ravvisabile il delitto di truffa aggravata o quello di peculato), attenendo
al diverso profilo civilistico e cioè se l’indagato debba o no, in
adempimento degli obblighi assunti, corrispondere ugualmente il tributo
dovuto ed evaso.

7. In conclusione, la decisione impugnata, avendo tratto dal fatto
le corrette conclusioni giuridiche, non si presta alle doglianze dedotte
dal ricorrente il cui ricorso, pertanto, va rigettato

PQM
RIGETTA
Il ricorso del P.M.
Roma 10/04/2013
IL PRESIDENTE
Dott. aro Pe ‘
IL CONSIGLIE
(Dott. G. R

9

e1

(j1

,

suo dire, il tribunale avrebbe trascurato di porsi, sono fuorvianti per la

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