Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18905 del 10/04/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 18905 Anno 2013
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: RAGO GEPPINO

SENTENZA
su ricorso proposto da:
NIANG SERIGNE nato il 21/01/1984, avverso l’ordinanza del
20/09/2012 del Tribunale di Cosenza;
Visti gli atti, l’ordinanza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Geppino Rago;
udito il Procuratore Generale in persona della dott.ssa Maria Giuseppina
Fodaroni che ha concluso per l’inammissibilità;
udito il difensore avv.to Giovanni Brandi Cordasco Salmena che ha
concluso per raccoglimento.
FATTO e DIRITTO
1. Con ordinanza del 20/09/2012, il Tribunale di Cosenza confermava il
decreto con il quale, in data 26/06/2012, il P.M. presso il Tribunale di Castrovillari
aveva convalidato il sequestro di capi di abbigliamento ed oggetti di pelletteria
effettuato in data 24/06/2012 dai C.C. di Montegiordano nei confronti di NIANG
Serigne.

2. Avverso la suddetta ordinanza, l’indagato, in proprio, ha proposto ricorso
per cessazione deducendo i seguenti motivi:
2.1. VIOLAZIONE DELL’ART. 354/2 COD. PROC. PEN. per essere stato il sequestro
eseguito in assenza sia del periculum in mora che del fumus delicti;

1

Data Udienza: 10/04/2013

2.2. Il ricorrente si duole, infine, di essere stato condannato al pagamento
delle spese processuali.
3. Il ricorso è manifestamente infondato.
Come risulta dalla semplice lettura del prowedimento impugnato, il
periculum in mora che del fumus delicti) riproposte ora con il presente ricorso,

censure alle quali il tribunale ha risposto in modo esauriente alla stregua di
puntuali elementi fattuali dai quali ha tratto le corrette conseguenze giuridiche.
In questa sede, il ricorrente, lungi dal dedurre censure specifiche avverso
la suddetta motivazione, si è limitato, in modo tralaticio, a reiterare le medesime
doglianze, invocando a suo favore una serie di massime di questa Corte di
legittimità ma senza spiegare il motivo per cui quei principi di diritto dovrebbero
applicarsi alla sua personale vicenda: da qui l’inammissibilità della censura.
Quanto, infine, alla condanna alle spese processuali, non è chiaro per
quali ragioni il ricorrente sostiene che il tribunale non avrebbe dovuto condannarlo.
In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a
norma dell’art. 606/3 c.p.p, per manifesta infondatezza: alla relativa
declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al
versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che,
ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina
equitativamente in C 1.000,00.
P.Q.M.
DICHIARA
Inammissibile il ricorso e
CONDANNA
Il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C
1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Roma 10/04/2013
IL PRESIDENTE
(Dott. Cir

ricorrente, avanti il tribunale, aveva dedotto le medesime censure (assenza sia del

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