Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18897 del 17/10/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 18897 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: GRILLO RENATO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TARAMELLI MAURIZIO N. IL 29/11/1964
avverso la sentenza n. 64/2012 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
17/09/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. RENATO GRILLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ACC-x-cA-s ,
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che ha concluso per P (

Udito, per la parte civile, l’Avv

Uditi difensor Avv. “r(-5-c-S`- .°N…)..x.,
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.

Data Udienza: 17/10/2013

RITENUTO IN FATTO

1.1 Con sentenza del 17 settembre 2012 la Corte di Appello di Brescia, in parziale riforma
della sentenza emessa il 29 settembre 2011 dal Tribunale di Bergamo nei confronti di
TARAMELLI Alessandro, imputato dei reati di cui agli artt. 256 n. 1 lett. b) e 258 in rel. all’art.
483 cod. pen., assolveva il detto imputato da quest’ultima perché il fatto non è previsto dalla
legge come reato e rideterminava la pena per la residua imputazione in mesi quattro di arresto

1.2 Per l’annullamento della detta sentenza propone ricorso l’imputato a mezzo del proprio
difensore fiduciario, deducendo con unico motivo, violazione di legge per inosservanza ed
erronea applicazione della legge penale, per avere la Corte escluso che nella specie ricorresse
lo stato di necessità di cui all’art. 51 cod. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
2. In punto di fatto, come ricordato dalla Corte territoriale, era emerso che in occasione di
un sopralluogo condotto da personale della Polizia Provinciale di Bergamo nel cantiere edile
della ditta “Coperture Taramelli s.r.l.” della quale l’odierno ricorrente era (ed è) legale
rappresentante, era stato riferito alla P.G. che le pesanti lastre di eternit-amianto che
coprivano il tetto dell’abitazione oggetto di ristrutturazione erano state, in un primo tempo,
depositate nel cantiere di lavoro e successivamente trasportate in altro sito coperto sempre di
pertinenza dell’imputato senza tuttavia alcuna autorizzazione, in attesa di essere
successivamente trasferite presso il demolitore: da qui la contestazione del reato di trasporto e
realizzazione di un deposito preliminare (alias “stoccaggio”) di rifiuti pericolosi integrante la
fattispecie contravvenzionale contestata e per la quale è intervenuta la condanna poi
confermata dalla Corte di Appello.
3. Ciò precisato, con il ricorso la difesa non contesta la fattispecie di reato come ritenuta
dalla Corte di Appello, ma contesta l’errata applicazione da parte di detto giudice della norma
penale codicistica delineata dall’art. 51 cod. pen. Sul punto si osserva che già la Corte
distrettuale aveva compiutamente affrontato tale questione, peraltro già prospettata, ma senza
successo, nel corso del giudizio di primo grado e riproposta con il gravame. La risposta offerta
dalla Corte, assolutamente convincente sul piano logico ed esaustiva anche in rapporto al
materia probatorio disponibile, toglie qualsiasi valenza alla censura difensiva, avendo la Corte
territoriale ribadito che non era stata fornita alcuna prova dell’asserito stato di necessità (ed
anzi che vi era prova del contrario in ordine alle riferite contingenti esigenze di rimuovere il
materiale dal luogo di produzione del rifiuto – vds. pag. 6 della sentenza) e che l’autorizzazione

1

ed € 2.000,00 di ammenda, confermando nel resto.

concessa dall’A.S.L. riguardava soltanto il deposito temporaneo e non quello preliminare
successivo effettuato in altro sito.
Ne consegue che il rilievo difensivo enunciato a pag. 7 del ricorso là dove viene richiamato
il provvedimento autorizzatorio dell’A.S.L. e le ulteriori ragioni (ristrettezza del cantiere;
precarie condizioni; sicurezza del luogo in cui il materiale era stato trasferito) che avrebbero
imposto lo spostamento dei rifiuti dal luogo di produzione ad un luogo di deposito preliminare
sono del tutto inconducenti ed irrilevanti come già dichiarato dalla Corte di Appello, con

8. Segue alla inammissibilità del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali ed al versamento della somma, che si ritiene congrua nella misura di C
1.000,00, in favore della Cassa delle Ammende, trovandosi il ricorrente in colpa nell’avere dato
causa all’inammissibilità.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 17 ottobre 2013
Il Presidente

motivazione, ripetesi, del tutto esente da censure di sorta.

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