Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18896 del 17/10/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 18896 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: GRILLO RENATO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
D’AURIA NICOLA N. IL 17/02/1965
D’AURIA SEBASTIANO N. IL 28/09/1963
avverso la sentenza n. 583/2011 TRIB.SEZ.DIST. di ORTONA, del
17/05/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. RENATO GRILLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ,40\12A—D
che ha concluso per c.9. t ■A

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 17/10/2013

RITENUTO IN FATTO

1.1 Con sentenza del 17 maggio 2012 il Tribunale di Chieti – Sezione Distaccata di Ortona
– dichiarava D’AURIA Nicola e D’AURIA Sebastiano, imputati, in concorso tra loro, del reato di
cui all’art. 674 cod. pen., colpevoli del detto reato, condannandoli alla pena di C 200,00 di
ammenda con riferimento alla condotta di emissione di polveri e ad una uguale sanzione con

1.2 II Tribunale, muovendo dalla circostanza che l’emissione delle polveri prodotte dallo
stabilimento (una distilleria) del quale il D’AURIA Nicola era legale rappresentante, era stata
verificata nel corso di svariati sopralluoghi da parte di personale del Corpo Forestale dello Stato
cui era stata segnalata la situazione da parte di alcuni abitanti della zona e che
contestualmente era stata accertata anche la presenza di odori molesti alla base delle
lamentele degli abitanti limitrofi allo stabilimento, ha ritenuto provato il reato contestato
affermando, quanto alle polveri stagnanti sui muri delle vicine abitazioni in un raggio di circa
500 metri (ma anche sugli alberi ed altri oggetti rientranti in tale perimetro), che la condotta
andava inquadrata nella previsione di cui alla prima parte dell’art. 674 cod. pen. Quanto,
invece, agli odori molesti, riteneva configurata la condotta di cui alla seconda parte del
medesimo articolo.
In punto di diritto il Tribunale riteneva del tutto irrilevante l’esistenza di autorizzazioni alle
emissioni in atmosfera da parte dell’azienda, così come il mancato superamento dei limiti
stabiliti in tali autorizzazioni. Affermava, infine, che in ogni caso risultava superato il limite
della normale tollerabilità previsto dall’art. 844 cod. civ., la cui tutela costituisce la

ratio

incriminatrice della norma penale e accomunava nella affermazione della responsabilità anche
D’AURIA Sebastiano, quale amministratore della società.
Per l’annullamento della sentenza propongono ricorso entrambi gli imputati a mezzo del
loro difensore di fiducia. Per quanto riguarda la posizione di D’AURIA Sebastiano viene
denunciata la nullità della sentenza per violazione di legge conseguente alla erronea

riferimento ad emissione di odori molesti.

applicazione della legge penale ed omessa motivazione, nulla avendo argomentato il Tribunale
in ordine alle ragioni per le quali anche D’AURIA Sebastiano, soggetto estraneo alla gestione
della società e neanche munito di deleghe, fosse chiamato comunque a rispondere del reato.
Per quanto riguarda la posizione di D’AURIA Nicola, legale rappresentante ed
amministratore della società, sono stati articolati distinti motivi qui di seguito sintetizzati: a)
erronea applicazione ed inosservanza della legge penale (art. 674 cod. pen.); b)
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riguardo all’obbligo da parte degli
imputati di adozione di appositi ed ulteriori accorgimenti per l’abbattimento delle polveri; c)
inosservanza e omessa applicazione di legge (art. 216 R.D. 1265/34 e mancanza di
motivazione; d) ed e) erronea applicazione della legge penale (art. 674 cod. pen.) con

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riferimento alla ritenuta condotta di molestie olfattive; f) carenza di motivazione con
riferimento alla condotta di molestie olfattive; g) contraddittorietà manifesta con riferimento
alla prova circa la riconducibilità degli odori sgradevoli ai cumuli di vinaccia accatastati nel
piazzale dell’azienda.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato per le ragioni che seguono.

quale, a giudizio del Collegio, risulta evidente il denunciato vizio di inosservanza della legge
penale e difetto di motivazione: dal testo della sentenza non risulta in alcun modo provato da
parte della Pubblica Accusa – sulla quale gravava espresso onere – il ruolo svolto in concreto
dal D’AURIA, né risulta, al di là della mera affermazione in fine alla sentenza, se effettivamente
il detto imputato ricoprisse in seno alla società un qualche ruolo tale da determinare a suo
carico una posizione di garanzia in base alla quale egli fosse chiamato a rispondere di eventuali
violazioni penalmente rilevanti causati dal sistema produttivo aziendale. Si impone, quindi, sul
punto l’annullamento con rinvio al Tribunale di Chieti perché venga chiarito il ruolo svolto in
concreto dal D’AURIA Sebastiano; l’eventuale esistenza di deleghe a suo nome e, se del caso,
anche quale fosse la sua veste giuridica in seno alla società.
3. Con riferimento alla posizione di D’AURIA Nicola vanno partitamente esaminati i motivi
addotti con il ricorso. Con il primo motivo viene denunciata la violazione ed errata applicazione
dell’art. 674 cod. pen., osservandosi, in sintesi, che la fattispecie illecita prevista dalla norma è
integrata da una condotta che si concreta nella emissione di polveri atte a recare molestie alle
persone. Secondo il ricorrente il Tribunale ha erroneamente affermato la irrilevanza delle
autorizzazioni di cui era in possesso l’azienda per le emissioni in atmosfera, così come del
mancato superamento dei valori limite da esse previsti.
3.1 Afferma, in particolare, il giudice che il problema non riguardava il superamento dei
limiti di emissione nell’atmosfera imposti nelle autorizzazioni amministrative rilasciate
all’azienda (limiti, come ricorda il giudice, non solo non superati ma addirittura inferiori a quelli
autorizzati – pag. 3 della sentenza), quanto, piuttosto, la ricaduta al suolo delle polveri.
3.2 Secondo quanto è dato leggere nella sentenza impugnata, tale effetto, oggettivamente
provato sulla base delle varie testimonianze raccolte (ma anche sulla base delle C.T.),
integrerebbe la condotta ipotizzata nella prima parte dell’art. 674 cod. pen., senza quindi
alcuna necessità di prendere in considerazione gli ulteriori requisiti previsti dalla seconda parte
dell’articolo.
3.3 Ma, sul punto, la tesi del ricorrente si contrappone decisamente alla tesi enunciata
nella sentenza sulla base, peraltro, di un orientamento giurisprudenziale superato: ed infatti,
con orientamento recente è stato precisato che la configurabilità del reato di getto pericoloso di

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2. Va, anzitutto, esaminata la posizione del ricorrente D’AURIA Sebastiano, in ordine alla

cose è esclusa in caso di emissioni (nella specie, di polveri) provenienti da attività autorizzata o
disciplinata dalla legge, e contenute nei limiti normativi o dell’autorizzazione, in quanto il
rispetto dei predetti limiti implica una presunzione di legittimità del comportamento (vds. oltre
a Sez. 3^ 21.10.2010 n. 40849, Rocchi, Rv. 248672, idem 13.7.2011 n. 37495, P.M. in proc.
Dradi e altro, Rv. 251286, secondo la quale all’espressione “nei casi non consentiti dalla legge”
contenuta nella seconda parte dell’art. 674 cod. pen. deve attribuirsi un valore rigido; ancora,
Sez. 3^ 9.1.2009 n. 15707, Abbaneo, Rv. 243433). Si tratta di un indirizzo diverso da quello

nel getto pericoloso di cose (così, tra le tante, Sez. 3^ 18.12.2008 n. 16286 Del Balzo, Rv.
243454), perviene alla conclusione che il reato viene integrato anche quando l’attività sia
autorizzata, nel caso in cui vengano superati i valori limite di emissione eventualmente stabiliti
dalla legge, poiché anche un’attività’ produttiva di carattere industriale autorizzata può
procurare molestie alle persone, per la mancata attuazione dei possibili accorgimenti tecnici
(Sez. 3^ 16286/08 cit. ) ovvero quando venga superato il limite della normale tollerabilità ex
art. 844 cod. civ., la cui tutela costituisce la “ratio” della norma incriminatrice (così Sez. 1^
27.3.2008 n. 16693, Polizzi, Rv. 240117).
4. Alla stregua di tali considerazioni ritiene il Collegio di aderire all’indirizzo espresso con la
decisione Rocchi secondo la quale la norma incriminatrice, in tema di getto pericoloso di cose
“non prevede – come invece ritenuto dal Tribunale sulla base di diverso indirizzo (sentenza
18.12.2008 n. 16286 cit.) – due distinte ipotesi di reato ma un unico reato, in quanto la
condotta consistente nel provocare emissione di gas, vapori o fumo, rappresenta una species
del più ampio genus costituito dal gettare o versare cose atte ad offendere imbrattare o
molestare le persone”.
4.1 Può quindi concordarsi con la difesa del ricorrente sulla erronea applicazione dell’art.
674 cod. pen., tenuto conto: a) che l’attività industriale era autorizzata; b) che le prescrizioni
in tema di emissione di fumi (e dunque di polveri) erano state osservate tanto più che i valori
non superavano il limite imposto ed anzi erano nettamente inferiori. Tali dati finiscono con il
dimostrare anche la manifesta illogicità della motivazione, perché l’affermazione del Tribunale
secondo la quale – sulla base degli accertamenti del C.T. – gli accorgimenti tecnici in dotazione
all’azienda non erano sufficienti, è sostanzialmente assertiva in quanto non viene indicato in
sentenza quali dovessero essere gli ulteriori e specifici accorgimenti tecnici da adottarsi per
evitare l’emissione delle polveri e il loro deposito (vds. pag. 4 della sentenza impugnata).
5. Ma la decisione del Tribunale contiene altro vizio in relazione all’erronea applicazione
della legge extrapenale (art. 216 del R.D. 1265/34): si legge nella sentenza in esame che
sarebbe stato superato – tanto con riferimento alla emissione delle polveri, quanto con
riferimento alla emissione di odori sgradevoli – il limite della normale tollerabilità così come
stabilito dall’art. 844 cod. civ.

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richiamato dal Tribunale che, pur muovendo dalla premessa che l’emissione di polveri rientra

5.1 La disposizione civilistica, come è noto, impone, nei limiti della normale tollerabilità e
dell’eventuale contemperamento delle esigenze della proprietà con quelle della produzione,
l’obbligo di sopportazione di quelle inevitabili propagazioni attuate nell’ambito delle norme
generali e speciali che ne disciplinano l’esercizio. Ma quando venga superata la soglia di
normale tollerabilità, si è in presenza di una attività illegittima fonte di risarcimento del danno
non patrimoniale ex art. 2059 cod. civ. che non consente la possibilità di applicazione del
criterio della priorità dell’uso, con la conseguenza che la fattispecie rientra nello schema

13.3.2007 n. 5844, Rv. 597527; idem 5.10.2010 n. 20668, Rv. 614767; Sez. 2^ 25.8.2005 n.
17281, Rv. 584409).
5.2 Secondo la tesi propugnata dal ricorrente, poiché la realizzazione dell’impianto
industriale risaliva agli anni ’50 – ’60 ed era munita di tutte le autorizzazioni prescritte oltre che
rispettosa dei limiti previsti dall’art. 216 del R.D. 1265/34, sarebbe del tutto inconfigurabile
una responsabilità in capo al titolare dell’azienda laddove altri soggetti non rispettino quei limiti
edificando a distanza non consentita rispetto allo stabilimento industriale con il rischio, quindi,
di essere destinatari delle emissioni prodotte dall’attività industriale.
5.3 n principio alla base di tale tesi non può, a giudizio del Collegio, assurgere a regola
assoluta in quanto, come più volte precisato dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema,
l’art. 844, secondo comma, cod. civ., nella parte in cui prevede la valutazione, da parte del
giudice, del contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà
che impone di leggere il cd. “preuso”, tenendo conto che il limite della tutela della salute, è da
ritenersi ormai intrinseco nell’attività di produzione oltre che nei rapporti di vicinato, alla luce
di una interpretazione costituzionalmente orientata, dovendo considerarsi prevalente rispetto
alle esigenze della produzione il soddisfacimento di una normale qualità della vita (Sez. 2^ Civ.
8.3.2010 n. 5564, Rv. 611786; in senso analogo Sez. 3^ 11.4.2006 n. 8420, Rv. 588889,
secondo la quale deve ritenersi illegittima una produzione industriale, ancorchè iniziata prima
della edificazione dell’immobile limitrofo, che si sia svolta e poi proseguita senza la
predisposizione di apposite misure di cautela idonee ad evitare o limitare l’inquinamento
atmosferico). Rientra, pertanto, nella facoltà del giudice disattendere la regola della priorità di
uso la quale ha carattere di sussidiarietà, a condizione che. sulla base degli accertamenti di
fatto dallo stesso compiuti venga fornita idonea motivazione in ordine al superamento della
soglia di tollerabilità (Sez. 2^ Civ. 11.5.2005 n. 9865, Rv. 582002; idem10.1.196 n. 161, Rv.
495301).
5.4 Nel caso di specie, quindi, visto che il Tribunale ha ritenuto inadeguati – per ciò che
riguarda l’emissione e deposito di polveri conseguenti all’attività industriale – gli ulteriori
accorgimenti tecnici, sarebbe stato necessario indicare quali dovessero essere tali
accorgimenti, in quanto solo nella ipotesi di una comprovata inadeguatezza sarebbe potuta
configurarsi l’illegittimità della produzione e dunque l’inapplicabilità del principio del pre-uso.
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dell’azione generale di risarcimento danni di cui all’articolo 2043 del codice civile (Sez. 3^ civ.

5.5 Dette regole avrebbero a maggior ragione essere osservate con riferimento alle
emissioni di odori sgradevoli, tanto più che sulla base dei riferimenti testimoniali vi era
contrasto tra la natura degli odori nauseabondi descritti dagli abitanti della zona (puzza di uova
marce) e quelli descritti dai verbalizzanti (che parlavano di odori derivanti dai mucchi di
vinaccia depositati nel piazzale dell’azienda).
5.6 Ed invero ai fini dell’affermazione di responsabilità in ordine al reato previsto dall’art.
674 c.p., nell’ipotesi di attività industriali che trovano la loro regolamentazione in una specifica

recare disturbo o fastidio, occorrendo invece la puntuale e specifica dimostrazione che tali
emissioni superino gli standards fissati dalla legge (in termini Sez. 3″, 3.3.2004, n. 9757; Sez.
1^, 12.3.2002, n. 15717, Pagano ed altri) sez. 3, 2005 n. 9503, Montanaro, Rv 230982; idem,
2006 n. 8299, P.M. in proc. Tortora ed altri, Rv 233562).
5.7 Si tratta di un orientamento che questo Collegio ritiene di condividere in base alla
fondamentale considerazione che il riferimento alle norme del codice civile comporta
un’evidente violazione del principio di tipicità. Quando esistono precisi limiti tabellari fissati
dalla legge, non possono ritenersi “non consentite” le emissioni che abbiano, in concreto, le
caratteristiche qualitative e quantitative già valutate ed ammesse dal legislatore. Discorso
diverso va fatto in quei casi nei quali non esiste una predeterminazione normativa, gravando
sul giudice penale l’obbligo di valutare la tollerabilità consentita, ma pur sempre con
riferimento ai principi ispiranti le specifiche normative di settore, (cfr. Sez. 3^, 27.2.2008 n.
15653, Colombo ed altri, Rv 239864).
5.8 Orbene, nel caso in esame, poiché le emissioni moleste risultano esclusivamente
riferibili ad esalazioni prodotte dall’attività dell’azienda di cui è titolare il D’AURIA che si
asserisce, nella sentenza, essere munito di autorizzazione alle emissioni in atmosfera,
l’affermazione di colpevolezza dell’imputato in tanto poteva essere ritenuta in quanto fosse
stata accertata in maniera rigorosa la mancata adozione da parte dell’azienda delle prescrizioni
contenute nella predetta autorizzazione ed al nesso consequenziale delle emissioni moleste con
detta inosservanza, ovvero la verifica che l’attività posta in essere non rientrava tra quelle
regolamentate dall’autorizzazione o, infine, che erano stati superati i valori limite previsti dalla
autorizzazione per le emissioni.
5.9 Ma, come già precisato, detto accertamento non è stato effettuato dal giudice di
merito, il quale si è limitato ad aderire acriticamente alle conclusioni del C.T., senza tuttavia
approfondire la materia e soprattutto senza indicare quale genere di adeguamenti fosse stato
necessario adottare,essendo stato applicato, ai fini dell’affermazione di colpevolezza,
seguendo, peraltro, un orientamento giurisprudenziale non più attuale.
6. Per completezza di esame va anche osservato, in punto di diritto, che il criterio della
“stretta tollerabilità” enunciato da numerose pronunce di questa Suprema Corte (cfr. sez. 3,

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normativa di settore, non è sufficiente ad integrare la fattispecie l’idoneità delle emissioni a

9.10.2007 n. 247S, Alghisi ed altro, Rv. 238447; idem 21.2.2006 n. 11556, Davito Bava, Rv
233565), deve essere inteso in termini più rigorosi rispetto al concetto civilistico di normale
tollerabilità dettato dal menzionato art. 844 cod. civ., attesa l’inidoneità del criterio della
“normale tollerabilità” ad approntare una protezione adeguata all’ambiente ed alla salute
umana, allorché non vengano rispettati, nell’esercizio di un’attività industriale o più
genericamente produttiva, i limiti e le prescrizioni previste dai provvedimenti autorizzatoli che
la disciplinano.

dovrà in quella sede procedere ad una valutazione del ruolo svolto in concreto da D’AURIA
Sebastiano nella società ed ancora, verificare in modo puntuale ed alla luce dei principi di
diritto enunciati da questa Corte, quali accorgimenti non siano stati adottati dall’azienda e quali
in concreto fossero quelli da adottare, tanto con riferimento alla emissione di poveri, quanto
con riferimento alla emissione di odori sgradevoli la cui natura dovrà essere accertata con
specifica motivazione in relazione alla totalità delle prove testimoniali raccolte.

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Chieti
Così deciso in Roma il 17 ottobre 2013
Il Coniuliere e ensore

Il Presidente

7. Si impone, pertanto l’annullamento della sentenza con rinvio al Tribunale di Chieti che

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