Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18888 del 24/10/2017


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 3 Num. 18888 Anno 2018
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Luisi Claudio, nato a Forte dei Marmi il 24 ottobre 1961
avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze del 9 febbraio 2017,
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Paolo
Canevelli, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito, per la parte civile, l’avv. Gian Paolo Carabelli, che ha depositato conclusioni
scritte e nota spese;
udito, per l’imputato, l’avv. Cristian Baroni, anche in sostituzione dell’avv. Giuliano
Dinelli.
RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 9 febbraio 2017, la Corte d’appello di Firenze ha confermato la
sentenza del 26 maggio 2015 del Tribunale di Lucca, che – per quanto qui rileva – aveva
condannato l’imputato alla pena di tre mesi di arresto ed C 32.000,00 di ammenda, oltre al
risarcimento del danno in favore della parte civile, per il reato di cui all’art. 181, comma 1,
del d.lgs. n. 42 del 2004, perché, in qualità di amministratore unico della società Tre Elle
S.r.l., titolare della concessione per lo sfruttamento della cava Faniello-Rondonaio, senza
autorizzazione e in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, effettuava attività estrattiva di
marmo, tra cui uno scavo di circa 210 metri quadri e profondità media di circa 2,8 metri e
alcuni tagli al monte, non quantificabili, in un piazzale superiore della cava.

Data Udienza: 24/10/2017

2. – Avverso la sentenza l’imputato ha presentato, tramite il difensore, ricorso per
cassazione.
Con un unico e articolato motivo di doglianza, si lamentano vizi della motivazione e
la violazione dell’art. 111 Cost., e degli artt. 192, comma 1, 546, comma 1, lettera e), cod.
proc. pen. In particolare, si contesta la manifesta illogicità della sentenza impugnata
relativamente al tempo di realizzazione delle opere contestate, rilevante ai fini della
prescrizione del reato. Secondo la Corte d’appello, considerata l’assenza di ossidazione del

antecedente il sopralluogo sulla cava, avvenuto il 17 gennaio 2012. Tuttavia, secondo la
prospettazione difensiva, l’affermazione dei giudici di merito sarebbe stata determinata sulla
base delle asserzioni del teste Speroni, pubblico ufficiale in servizio all’ente parco Alpi
Apuane, che nelle sue dichiarazioni ipotizzava un’esecuzione dei lavori in tempi recenti. Si
rileva, dunque, la violazione degli artt. 220 e 233, cod. proc. pen., dal momento che una
valutazione tecnica, quale quella effettuata dal teste, sarebbe riservata esclusivamente al
perito o al consulente tecnico di parte. Inoltre, la sentenza impugnata ometterebbe di fornire
sul punto una giustificazione esterna, ossia una motivazione in ordine all’utilizzo della legge
scientifica, che spiegherebbe l’ossidazione del marmo con il passare del tempo. Secondo il
ricorrente, dunque, il tempus commissi delicti dovrebbe essere retrodatato all’agosto 2010,
periodo individuato dai testi Andrei (consulente tecnico della Tre Elle S.r.1) e Torri (direttore
responsabile per la sicurezza della cava) e dalle produzioni documentali. Per quanto riguarda
la contestazione relativa allo scavo di 200 metri quadri, la Corte d’appello avrebbe sostenuto
che la sua realizzazione sarebbe stata effettuata in mancanza di autorizzazione, sia da parte
della ASL che da parte del Comune. Secondo la prospettazione difensiva, invece, dal 1997
l’ASL avrebbe indicato la necessità di addivenire alla messa in sicurezza del piazzale
superiore della cava, e in funzione di ciò sarebbe stato elaborato un programma di bonifica,
che prevedeva la costruzione di un letto idoneo a impedire il precipitare, in modo
incontrollato, delle porzioni di roccia che sarebbero state tagliate durante i lavori; e tale
letto costituirebbe lo scavo oggetto dell’imputazione. Circostanza provata, secondo il
ricorrente, oltre che dai testi escussi in dibattimento, anche dallo scambio di comunicazioni
tra la stessa ASL e la Tre Elle S.r.l., relative al piano di bonifica. Si sarebbe, dunque, attuata
la procedura prevista dall’art. 674 del d.P.R. n. 128 del 1959, che disciplina gli interventi di
vigilanza in situazioni di pericolo non immediato, a fronte delle quali la ASL invita il direttore
responsabile della cava a presentare un progetto di bonifica, da sottoporre all’approvazione
della ASL. In tali situazioni, non sarebbe prevista, dunque, alcuna autorizzazione del
Comune territorialmente competente, necessaria solo qualora gli interventi di bonifica
comportino una variazione al progetto di coltivazione autorizzato; ipotesi non verificatasi
nel caso di specie. In ogni caso, secondo il ricorrente, l’autorizzazione comunale sarebbe

marmo in prossimità dei tagli del monte, questi sarebbero da ricondurre a qualche mese

stata richiesta e ottenuta con il provvedimento n.11 del 27 luglio 2012 del Comune di Vagli
di Sotto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile.
Esso si basa su mere ipotesi difensive che si pongono in contrasto radicale con le
risultanze istruttorie, correttamente prese in considerazione dai giudici di primo secondo
grado. In particolare, la retrodatazione dell’illecito al 2010 è stata esclusa dalle

ancora eseguite il 16 settembre 2011 ed erano di poco precedenti al sopralluogo del 17
gennaio 2012, dal quale era emerso sia che il marmo esposto era privo di ossidazione sia
che vi era la presenza di macchine predisposte per il taglio di quel marmo. Risulta smentita
dagli atti anche la ricostruzione difensiva secondo cui lo scavo era stato richiesto per ragioni
sanitarie, trattandosi invece di una semplice coltivazione abusiva mascherata da bonifica.
Le mere interlocuzioni tra Asl e società non possono essere considerate alla stregua di
autorizzazioni e sono, in ogni caso, irrilevanti ai fini paesaggistici, perché provenienti da
un’autorità diversa rispetto quella preposta alla tutela del vincolo. Dalla semplice lettura
delle testimonianze riportate nel ricorso emerge, del resto, che vi erano stati rapporti tra
Asl e società relativi alla messa in sicurezza dell’area e che tali rapporti non erano mai
sfociati in un provvedimento di prescrizioni adempiuti dalla società dell’imputato in epoca
corrispondente al momento di commissione del reato contestato. Tanto che la stessa difesa
richiama la risalente prescrizione del 24 marzo 1997, che nulla a che vedere con i lavori poi
svolti a ridosso del gennaio 2012, nonché la prescrizione del 16 febbraio 2012, addirittura
successiva alla commissione del reato e ulteriore documentazione ancora successiva. Del
tutto correttamente, dunque, i giudici di primo e secondo grado hanno ritenuto sussistente
la responsabilità penale e civile dell’imputato, rilevando che non era stata posta in essere la
procedura prevista dall’art. 674 del d.P.R. n. 128 del 1959, che disciplina gli interventi di
vigilanza in situazioni di pericolo non immediato; procedura che – lo si ripete – non può
sostituire il rilascio del titolo abilitativo a fini paesaggistici. E deve essere esclusa la
prescrizione del reato, commesso il 17 gennaio 2012, in presenza dei periodi di sospensione
computati dalla Corte d’appello, che portano la scadenza del termine finale al 22 novembre
2017.
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto
conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza
versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria
dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle
spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa

34

testimonianze espletate, da cui è emerso che le opere delle quali si tratta non erano state

delle ammende, equitativamente fissata in C 2.000,00. L’imputato deve eanche essere
condannato alla rifusione delle spese sostenute nel grado della parte civile Comune di Vagli
di Sotto, da liquidarsi in C 3000,00, oltre spese generali e accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende, nonché alla
rifusione delle spese sostenute nel grado della parte civile Comune di Vagli di Sotto, che

Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2017.

liquida in C 3000,00 oltre spese generali e accessori di legge.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA