Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18886 del 24/01/2017


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 18886 Anno 2017
Presidente: CARCANO DOMENICO
Relatore: D’ARCANGELO FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Colucci Luca, nato a Campobasso il 12/11/1962

avverso la sentenza del 16/06/2016 della Corte di Appello di Campobasso

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Fabrizio D’Arcangelo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Luca
Tampieri che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio con riferimento ai
capi D) e G);
udito il difensore, avv. Mario Petrucciani, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Campobasso, in riforma
della sentenza emessa in data 13 ottobre 2015 dal Giudice dell’udienza
preliminare del Tribunale di Campobasso all’esito del giudizio abbreviato di primo
grado, ha confermato la responsabilità penale di Luca Colucci per alcuni delitti di

Data Udienza: 24/01/2017

peculato contestati ai capi D) e G) della imputazione, ha riqualificato le residue
ipotesi di peculato contestate in truffa aggravata ai danni dello Stato e, concesse
le circostanze attenuanti generiche all’imputato, ha rideterminato la pena in due
anni di reclusione, pena sospesa. La Corte di Appello ha, inoltre, assolto il Colucci
dai delitti di falsità in atto pubblico al medesimo ascritti, ritenendo che il fatto
non sussistesse, trattandosi di fotocopie ottenute mediante l’assemblamento di
frammenti di copie di atti prive di autenticazione.

tale sentenza, articolando tre motivi, e ne chiede l’annullamento.

3.

Con il primo motivo deduce la violazione di legge e chiede la

riqualificazione anche del delitto di peculato contestato al capo D) in truffa,
atteso che il Colucci in tale ipotesi non aveva posto in essere la condotta
fraudolenta al fine di occultare una precedente appropriazione del danaro, bensì
di appropriarsi delle somme di danaro versate della aggiudicataria Maria
Castiello. L’imputato, infatti, si era direttamente appropriato delle somme
bonificate dalla aggiudicataria dell’immobile pignorato, indicando quale conto
della procedura, sul quale versare il prezzo di aggiudicazione, un proprio conto
personale.
4. Con il secondo motivo il ricorrente deduce analoga violazione di legge e
rileva come erroneamente fosse stato considerato peculato e non già truffa il
delitto contestato al capo G); in questo caso il Colucci, dopo aver versato gli
assegni ricevuti dall’aggiudicatario Bruno Moffa sul conto corrente intestato alla
procedura esecutiva, aveva illegittimamente prelevato dal medesimo somme che
aveva utilizzato esclusivamente nel proprio interesse.
5. Con il terzo motivo il ricorrente deduceva il vizio di motivazione della
sentenza nella parte in cui aveva apoditticamente ritenuto la sussistenza della
truffa ai danni dello Stato in luogo della truffa semplice; errata era, infatti, la
ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 640, comma 2, n. 1, cod. pen.,
in quanto le somme depositate non erano di spettanza dello Stato.
Il danaro versato sui libretto bancati era, infatti, stato versato in parte dal
creditore procedente, che si era fatto carico delle spese necessarie al prosieguo
della procedura esecutiva, ed in parte dall’aggiudicatario del compendio
pignorato messo in vendita.

2

2. L’avv. Mario Petrucciani, difensore di fiducia dell’imputato, ricorre avverso

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile in quanto i motivi nello stesso dedotti sono
manifestamente infondati.

2. Luca Colucci, avvocato del foro di Campobasso, nominato delegato alle
operazioni di vendita ai sensi dell’art. 591

bis cod. proc. civ. dal Giudice

dell’esecuzione del Tribunale di Campobasso, è stato condannato, all’esito del

essere mediante appropriazione delle somme, versate dai creditori e dagli
aggiudicatari, depositate sui libretti postali intestati alla procedura esecutiva e
per aver confezionato falsi provvedimenti di liquidazione e di trasferimento
dell’immobile,

apparentemente

sottoscritti

dal

competente

Giudice

dell’esecuzione.

3. La Corte di Appello ha, tuttavia, assolto l’imputato dai delitti di falso in
atto pubblico contestati, ritenendo gli stessi non configurabili in assenza di
autenticazione della documentazione aprocrifa; ha, inoltre, qualificato come
truffa ai danni dello Stato le condotte di cui ai capi A), B), ed in parte quelle di
cui ai capi D) e G), originariamente contestate quali episodi di peculato, di
appropriazione delle somme depositate sui libretti di deposito giudiziario intestati
alla procedura esecutiva, poste in essere esibendo dei falsi provvedimenti
autorizzatori. La Corte di Appello ha, invece, mantenuto la qualificazione di
peculato per le ulteriori ipotesi, contestate nell’ambito dei capi D) e G), nelle
quali l’imputato si era direttamente appropriato di somme ricevute dagli
aggiudicatari Maria Castiello e Bruno Moffa.

4. I primi due motivi di ricorso sono, tuttavia, manifestamente infondati in
quanto si risolvono, per come articolati, nella deduzione di questioni di mero
fatto.
5. Il difensore, con tali motivi, denuncia la falsa applicazione della fattispecie
incriminatrice del peculato in luogo di quella della truffa, in quanto nell’episodio
contestato al capo D) l’imputato si era direttamente appropriato delle somme
bonificate dalla aggiudicataria, indicando il proprio conto personale quale conto
della procedura, sul quale versare il prezzo di aggiudicazione. Con riferimento al
capo G), invece, l’imputato, a differenza di quanto ritenuto nella sentenza
impugnata, si era fatto consegnare dall’aggiudicatario assegni circolari, che
aveva provveduto a versare sui libretti bancari intestati alla procedura esecutiva;

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giudizio abbreviato di primo grado, per plurimi episodi di peculato, posti in

solo successivamenta al deposito in banca il Colucci aveva poi abusivamente
prelevato tali somme.
6. Il difensore, tuttavia, mediante la riproduzione all’interno del ricorso di
copia degli assegni consegnati al Colucci, di ampi stralci delle sommarie
informazioni rese nel corso delle indagini dagli aggiudicatari Maria Castiello e
Bruno Moffa, di copia delle tabelle elaborate dagli inquirenti relativi ai prelievi
operati sui conti correnti intestati alla procedura e di copia di un decreto di
trasferimento, ha, invero, inteso sollecitate la Corte di legittimità a prendere

ricostruzione della regiudicanda rispetto a quello operata dalla sentenza
impugnata.
7.

Esulano, tuttavia, dal sindacato giudiziale di legittimità la ricostruzione di

fatti, l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la
rilevanza e concludenza dei dati probatori, per cui non sono consentite le
censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella
prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal
giudice di merito (cfr., Sez. 1, sent. n.1769 del 23.03.1995, Ciraolo, Rv.
201177). Sono, infatti, precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi
di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di
nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal
ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità
esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (ex multis: Sez. 6, n.
47204, del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482).

8.

Manifestamente infondato si rivela anche il terzo motivo, formulato dalla

difesa in ordine alla erroneità della valutazione della Corte di Appello in ordine
alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 640, comma 2, n. 1,
cod. pen. con riferimento ai delitti contestati ai capi A), B), e nelle residue ipotesi
di cui ai capi D) e G)
Certamente errato è l’assunto della sentenza impugnata secondo il quale “la
disponibilità delle somme inerenti a procedura esecutiva immobiliare, che
risultano, oltre che introitate, già depositate nell’interesse della stessa, è
dell’ufficio giudiziario procedente, fino a quando le somme ricavate non sono
assegnate ai creditori (previa deduzione delle spese di procedura) e, se del caso,
residualmente, restitutite al debitore esecutato”.
La applicazione della circostanza aggravante di cui all’art. 640, comma 2, n.
1, cod. pen. postula, infatti, che lo Stato o altro ente pubblico assuma il ruolo di
soggetto passivo del reato quale destinatario, diretto ed immediato, del danno.

4

diretta cognizione del compendio probatorio al fine di addivenire ad una diversa

Nella ipotesi di delega delle operazioni di vendita ad un professionista
delineata dall’art. 591 bis cod. proc. civ., tuttavia, le somme che affluiscono sui
libretti di deposito giudiziario intestati alla procedura non sono di spettanza dello
Stato, bensì del creditore procedente o dell’aggiudicatario.
Secondo la migliore processualcivilistica, inoltre, la somma ricavata dalla
espropriazione forzata, rimane sino all’approvazione ed esecuzione del progetto
di distribuzione di proprietà del debitore, ma è gravata da un vincolo di
indisponibilità, perché a disposizione della procedura esecutiva.

depositate, ai sensi dell’art. 591-bis cod. proc. pen., “presso una banca o su un
conto postale indicati dal giudice”, passano nella titolarità dello Stato.

9. Più in radice, tuttavia, il motivo di ricorso si rivela manifestamente
infondato, in quanto muove dal presupposto della qualificazione quale truffa ai
danni dello Stato delle ipotesi nelle quali il Colucci si era appropriato, esibendo
dei falsi provvedimenti autorizzatori, delle somme depositate sui libretti.
Ritiene, infatti, il Collegio che la qualificazione operata nella sentenza
impugnata sia radicalmente errata.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, dal
quale non vi è ragione per discostarsi, infatti, l’elemento distintivo tra il delitto di
peculato e quello di truffa aggravata, ai sensi dell’art. 61 n.9, cod. pen., va
individuato con riferimento alle modalità del possesso del denaro o d’altra cosa
mobile altrui oggetto di appropriazione.
Il peculato può, infatti, essere ravvisato solo quando il pubblico ufficiale ha
già il possesso del bene oggetto di appropriazione, e la eventuale condotta
fraudolenta non è finalizzata a conseguire il possesso del bene ma ad occultare
l’illecito (ex plurimis: Sez. 6, n. 15795 del 06/02/2014, Campanile, Rv. 260154;
Sez. 6, n. 41599 del 17/07/2013, Fasoli, Rv. 256867; Sez. 6, n. 41093 del
18/09/2013, Anselmino, Rv. 258681; Sez. 6, n. 39010 del 10/04/2013, Baglivo,
Rv. 256595); mentre è integrato il delitto di truffa aggravata quando
l’impossessamento del denaro o di altra utilità costituisce conseguenza logica e
temporale degli artifizi e raggiri posti in essere dal funzionario altrimenti privo
della possibilità di acquisirne direttamente l’importo, non avendone
autonomamente la disponibilità (Sez. 6, n. 14599 del 17/07/2013, Fasoli, Rv.
258687; Sez. 6, n. 41361 dell’11/07/2013, Dragonetti).
Ad analoghe argomentazioni si richiama il consolidato orientamento della
giurisprudenza di legittimità per distingure la truffa dall’appropriazione di danaro
nella disponibilità del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio posta
in essere dal medesimo mediante falso. Nel peculato, infatti, il possesso, che

5

In nessun momento della procedura esecutiva, pertanto, le somme

preesiste alla condotta incriminata, viene conseguito legittimamente “per ragioni
di ufficio”, nella truffa solo a cagione dell’inganno perpetrato e mezzo di artifici e
raggiri.
Se, pertanto, la falsa documentazione adempie esclusivamente allo scopo di
favorire il materiale trapasso del bene, del quale il pubblico funzionario abbia già
la disponibilità giuridica, ricorrerà l’ipotesi delittuosa del peculato, sempre che
l’appropriazione del bene si verifichi contestualmente alla realizzazione della

10. Declinando tali consolidati principi nel caso di specie, deve rilevarsi come
corretta fosse la originaria qualificazione delle condotte contestate, in quanto i
prelievi dai libretti di deposito intestati alla procedura esecutiva, ancorchè posti
in essere dall’imputato mediante la ostensione ai funzionari di banca di falsi
decreti autorizzativi del giudice dell’esecuzione, devono essere ascritti alla
fattispecie incriminatrice del peculato.
L’imputato, essendo il legittimo detentore dei libretti di deposito, aveva la
disponibilità delle somme sui medesimi presenti, pur essendo la loro consegna
subordinata alla verifica, meramente formale, del funzionario di banca in ordine
alla sussistenza di un decreto autorizzatorio.
L’art. 591-bis, comma 1, n. 13, cod. proc. pen., del resto, ulteriormente
conferma la disponibilità delle somme da parte del professionista delegato alla
vendita, prevendendo espressamente che questi provveda “ad ordinare alla
banca o all’ufficio postale la restituzione delle cauzioni e di ogni altra somma
direttamente versata mediante bonifico o deposito intestato alla procedura dagli
offerenti non risultati aggiudicatari”.
Ai fini della configurabilità del peculato, del resto, il possesso può essere sia
immediato, in caso di disponibilità materiale del danaro o della cosa, sia mediato,
in caso di disponibilità mediante ordini o mandati (ex plurimis: Sez. 6, n. 2439
del 19/09/1990, Morreale, Rv. 186548).
Nel peculato, il possesso qualificato dalla ragione dell’ufficio o del servizio
non è, pertanto, solo quello che rientra nella competenza funzionale specifica del
pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, ma anche quello che si
fonda su un rapporto che consenta al soggetto di inserirsi di fatto nel maneggio o
nella disponibilità della cosa o del denaro altrui, rinvenendo nella pubblica
funzione o nel servizio anche la sola occasione per un tale comportamento (ex
plurimis: Sez. 6, n. 33254 del 19/05/2016, Caruso, Rv. 267525; Sez. 6, n. 9660
del 12/02/2015, Zonca, Rv. 262458).
La giurisprudenza di legittimità, del resto, ha già avuto modo di statuire che
integra il reato di peculato il professionista delegato dal giudice a curare le

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detenzione materiale.

operazioni di vendita nell’ambito di procedure di esecuzione che si appropri delle
somme corrisposte dagli aggiudicatari delle vendite (Sez. 6, n. 30976 del
10/07/2007, Maccagno, Rv. 237419).

11.

D’altra

parte secondo una consolidata

interpretazione della

giurisprudenza di legittimità, rientra nei poteri di cognizione officiosa della Corte
di cassazione la corretta qualificazione giuridica del fatto anche nel caso di
ricorso proposto dal solo imputato (ex plurimis: Sez. 2, n. 39841 del 22/5/2009,

Il potere di attribuire una diversa qualificazione giuridica ai fatti accertati
rientra pienamente nei poteri di cognizione del giudice di legittimità (Sez. 5, n.
4984 del 19/12/2006, Saini, Rv. 236318; Sez. 3, n. 234 del 9/11/2006, Ferrari,
Rv. 235964) ed incontra solo il limite del divieto della

reformatio in peius,

per

l’assenza d’impugnazione da parte del pubblico ministero.
La riqualificazione non può, inoltre, avvenire con atto a sorpresa e con
pregiudizio del diritto di difesa, imponendo, per contro, la comunicazione alle
parti del diverso inquadramento prospettabile, con concessione di un termine a
difesa, in attuazione del principio di diritto espresso dalla Corte Europea Diritti
dell’Uomo (sentenza 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia) (Sez. 6, n. 3716 del
24/11/2015, Caruso, Rv. 266953).
Nella specie, tuttavia, deve escludersi tale ultima evenienza, atteso che la
qualificazione delle condotte ha costituito, a fronte di un compendio indiziario
non contestato nella propria rilevanza fattuale, lo specifico oggetto della
controversia sia nel giudizio di primo che di secondo grado e, pertanto, tale
riqualificazione non interviene a sorpresa e non reca alcuna violazione al diritto
di difesa dell’imputato.
Parimenti la attribuzione della corretta qualificazione giuridica nel caso di
specie non integra alcuna

reformatio in peius,

in quanto il trattamento

sanzionatorio permane quello irrogato dalla Corte di Appello nella sentenza
impugnata ed il termine di prescrizione del meno grave delitto di truffa non
risulta integrato.

12. Alla stregua di tali rilievi, previa riqualificazione dei fatti di cui ai cui ai
capi A), B), D) e G) – per i quali è intervenuta condanna per truffa — come
peculato di cui all’art. 314 cod. pen, il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile. A tali statuizioni consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
In ragione delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13
giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso

7

Iasillo, Rv. 245236; Sez. 6, n. 11055 del 30/01/2008, Raffaelli, Rv. 239424).

sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, il ricorrente deve, inoltre, essere condannato a versare la
somma, determinata in via equitativa, di euro 1.500,00 in favore della cassa
delle ammende.

P.Q.M.

Diversamente qualificati i fatti di cui ai capi A), B), D) e G) – per i quali è

dichiara inammissibile il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.500 alla cassa delle ammende.
Così deciso il 24/01/2017.

intervenuta condanna per truffa – come peculato di cui all’art. 314 cod. pen.,

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