Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18880 del 29/09/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 18880 Anno 2018
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: GENTILI ANDREA

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

3 7.018

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TRANQUILLI Mario, nato a Visso (Tr) il 18 febbraio 1949;
SANTOCORE Antonio, nato a Cerreto di Spoleto (Tr) il 9 aprile 19 •
MAGRINI Marcello, nato a Trevi (Tr) il 14 aorile 1962;
SCARABOTTINI Roberto, nato a Spoleto (Tr) il 22 ottobre 1957;

avverso la sentenza n. 495/16 del Tribunale di Spoleto del 23 novembre 2016;

letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e i ricorsi introduttivi;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;
sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Giuseppe
CORASANITI, il quale ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
sentiti, altresì, per i ricorrenti Tranquilli e Santocore, l’avv.

e , h r’kíA

°

,

del

foro di keltuG-14 , e per i ricorrenti Magrini e Scarabottini l’avv.ssa Anita Giuseppina
Pia GROSSI, del foro di Perugia, in sostituzione dell’avv.ssa Maria MEZZASOMA, del
foro di Perugia, cha hanno insistito per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.

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Data Udienza: 29/09/2017

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 23 novembre 2016, il Tribunale di Spoleto, in
composizione monocratica, ha dichiarato la penale responsabilità di Tranquilli
Mario e Santocore Antonio in ordine ai reati loro contestati, rispettivamente,
alle lettere C), E), G), e I), quanto al solo Tranquilli, e K) quanto ad ambedue
gli imputati, nonché la penale responsabilità di Magrini Marcello e Scarabottini
Roberto in ordine al reato loro ascritto al capo L) della articolata

Con la medesima sentenza il Tribunale di Spoleto ha, altresì, dichiarato
non doversi procedere nei confronti del Tranquilli quanto ai reati di cui ai capi
A), B), D), F) e H) e nei confronti sia del Tranquilli che del Santocore quanto
al reato di cui al capo J), per essere gli stessi estinti per prescrizione.
Va precisato che la assai articolata rubrica contestata ai primi due
imputati ha ad oggetto la violazione di diverse disposizioni contenute nel dlgs
n. 152 del 2006 commesse, in ipotesi, dai due primi imputati nella rispettiva
qualità di presidente ed amministratore delegato della Ittica Tranquilli Srl e
della Azienda Agraria Santocore e C Snc; mentre per quanto concerne la
posizione dei due restanti imputati, la contestazione, concernente un’unica
lettera del capo di imputazione, riguarda il fatto di avere costoro, in qualità di
tecnici del Servizio di Prevenzione dell’Ambiente istituito presso l’ARPA di
Spoleto, incaricati di coordinare e svolgere le pratiche ed i controlli relativi
alle procedure di fertirrigazione da parte delle Aziende Tranquilli e Santocore,
omesso, ai sensi dell’art. 40, cpv, cod. pen., per negligenza od imperizia, di
eseguire le attività istituzionali di controllo sulla predetta attività, in tal modo
non impedendo, pur essendone legalmente tenuti, le attività illecite ascritte al
Tranquilli ed al Santocore alle lettere del capo di imputazione per le quali essi
sono stati dichiarati penalmente responsabili.
Lettere, aventi ad oggetto la violazione dell’art. 256 del dlgs n. 152 del
2006, in relazione all’art. 192 del medesimo dlgs n. 152 del 2006, in quanto,
con condotte poste in essere in violazione della normativa sulla gestione e
sullo smaltimento dei rifiuti, il Tranquilli ed il Santocore, nelle rispettive
qualità, avevano sversato illecitamente rifiuti speciali pericolosi, consistenti
nei fanghi derivanti dalla attività di troticoltura dai medesimi svolta nella
ricordate qualità imprenditoriali, nelle acque superficiali dei fiumi Nera e
Campiano ovvero spandendoli sul terreno attraverso la metodica della
fertirrigazione condotta in violazione delle disposizioni che la regolano.
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contestazione.

Con la predetta sentenza i primi due imputati sono stati condannati,
ritenuta per il primo la continuazione fra i reati contestati, alla pena di euro
4000,00 di ammenda quanto al Tranquilli e di euro 2600,00 quanto al
Santocore; i restanti imputati sono stati condannati ambedue alla pena di
euro 2600,00 di ammenda.
A tutti è stata concessa la sospensione condizionale della pena.

Scarabottini dalla difesa tecnica mentre il Tranquilli ed il Santocore hanno
agito in proprio – tutti gli imputati.
Con il comune atto di impugnazione il Tranquilli e il Santocore hanno
dedotto tre motivi di ricorso, i primi due, intimamente connessi, aventi ad
oggetto la ritenuta violazione dell’art. 256 del dlgs n. 152 del 2006, in
relazione alla attribuzione della qualifica di rifiuto ai fanghi derivanti dalla
attività di allevamento delle trote dai medesimi svolta, e la illogica valutazione
del fatto e valutazione di una prova tecnica, sotto il profilo del vizio di
motivazione.
In sintesi i ricorrenti lamentano il fatto che il Tribunale abbia ritenuto
qualificabile come rifiuto il prodotto di cui ai capi di imputazione per in quali vi
è stata condanna, sebbene lo stesso fosse stato legittimamente destinato alla
pratica della fertirrigazione, perdendo, pertanto, la qualifica di rifiuto,
trattandosi di prodotto, invece, utilizzato per la concimazione del terreno;
parimenti i ricorrenti lamentano il fatto che il Tribunale abbia del tutto
disatteso le dichiarazioni rese dagli autorevoli testi a discarico, tutte volte ad
escludere la rilevanza penale delle condotte ascritte agli imputati.
Con il terzo motivo di ricorso i due prevenuti hanno contestato, con
riferimento alla violazione di legge, la mancata dichiarazione di intervenuta
prescrizione, conformemente a quanto disposto relativamente alle imputazioni
di cui alle lettere A), B), D), F), H) e ), anche per quelle aventi ad oggetto le
condotte per le quali è stata, invece, pronunziata condanna.
In particolare i due imputati ricorrenti hanno osservato che anche per i
reati residui, trattandosi di reati istantanei ad effetti permanenti, il relativo
termine prescrizionale sarebbe scaduto sin dall’aprile del 2015.
La difesa degli altri due imputati ha affidato le proprie lagnanze a ben 14
motivi di impugnazione (a volte costituiti in realtà dalla duplicazione del

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Hanno interposto ricorso per cassazione – assistiti il Magrini e lo

medesimo motivo di censura per ciascuno degli imputati), qui di seguito
brevemente compendiati.
Con il primo è dedotta la violazione di legge in relazione alla omessa
motivazione sul punto riguardante la attribuzione ai due imputati di una
posizione all’interno dell’Arpa che avrebbe comportato a loro carico l’obbligo,
in ipotesi negletto, di vigilanza sull’operato in materia di smaltimento dei

In secondo ed il terzo motivo concernono il preteso travisamento della
prova in ordine alla valutazione del materiale probatorio relativo all’incarico
svolto in seno all’Arpa rispettivamente dal Magrini e dallo Scarabottini: il
primo non viene mai indicato come persona addetta ai controlli sulla attività
dei due computati, mentre il secondo non avrebbe avuto una tale attribuzione
in regime di stabilità, posto che la competenza per lo svolgimento dei controlli
ruotava fra gli addetti all’Ufficio secondo le necessità di questo. Dagli atti,
risulterebbe, anzi, che la pratica in questione fosse stata assegnata ad altri
impiegato dell’ARPA.
Il quarto motivo riguarda la ritenuta violazione di legge in cui sarebbe
incorso il Tribunale nel ritenere la esistenza di uno specifico obbligo giuridico a
carico dei funzionari dell’Arpa in ordine allo svolgimento dei controlli, in ipotesi
omessi, obbligo che, secondo i ricorrenti, dovrebbe essere compiuto solo a
campione su una percentuale pari al 4% delle richieste di autorizzazione alla
gestione dei rifiuti annualmente presentate.
Analogamente al quarto motivo, il quinto è costruito sul ritenuto
travisamento della prova in relazione alla esistenza del citato obbligo di
controllo e verifica a carico dei dipendenti dell’Arpa.
Il sesto motivo ha ad oggetto, ancora con riferimento alla violazione di
legge, l’erroneità della affermazione contenuta nella sentenza impugnata
secondo la quale la attività di fertirrigazione che doveva essere realizzata
dalle imprese in questione doveva essere preceduta dalla presentazione del
Piano di utilizzazione agronomica, la cui omissione non sarebbe stata
segnalata dagli imputati; diversamente da quanto sostenuto dal Tribunale,
siffatto adempimento avrebbe riguardato solo l’utilizzazione dei reflui derivanti
dalla troticoltura se utilizzati in determinate zone del territorio,
particolarmente vulnerabili a determinate sostanze chimiche, non presenti
però nell’ambito territoriale riguardato dei fatti per cui è processo.

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rifiuti, della attività svolta dalla impresa gestita dal Tranquilli e dal Santocore.

Il settimo motivo concerne la violazione di legge con riferimento alla
competenza dell’Arpa a verificare la esistenza ed il contenuto delle
comunicazioni indirizzate ai Comuni relativamente alla utilizzazione dei reflui
per la fertirrigazione.
L’ottavo motivo sì riferisce ad un ritenuto travisamento della prova e
difetto di motivazione in ordine alla mancata effettuazione da parte dei due
prevenuti dei controlli aventi ad oggetto la documentazione relativa allo

Il nono motivo concerne la errata qualificazione della condotta attribuita
ai precedenti imputati, posto che non si tratterebbe di abbandono di rifiuti ma,
semmai di scarico di essi nel corpo recettore costituito dai corsi fluviali indicati
nei capi di imputazione. Il preteso sversamento, infatti, non interverrebbe
attraverso la dispersione dei reflui nell’ambiente ma tramite il loro diretto
scarico nel corso del fiume.
Il decimo motivo di censura riguarda la erroneità della applicazione di
legge nella parte in cui è stata fatta derivare la violazione degli artt. 256 e
192 del dIgs n. 152 del 2006 dalla ritenuta falsificazione dei documenti di
trasporto riguardanti i fanghi di scarico utilizzati per la fertirrigazione;
osservano le difese dei ricorrenti che i tecnici dell’Arpa mai avrebbero avuto
l’onere di visionare i predetti documenti di trasporto, sicché la loro falsità non
sarebbe stata comunque apprezzabile dai medesimi.
L’undecimo motivo concerne la violazione di legge nonché il vizio di
motivazione, per avere il Tribunale ritenuto applicabile l’istituto della
cooperazione colposa anche alle ipotesi di reati contravvenzionali.
Il motivo n. 12 riguarda la violazione di legge nonché il vizio di
motivazione in ordine alla collocazione temporale della consumazione delle
condotte per cui è processo.
Il tredicesimo motivo ha ad oggetto la qualificazione dei rifiuti costituiti
dai fanghi derivanti dalla troticoltura come pericolosi sebbene il codice Cer
indicato nel capo di imputazione sia inesistente e manchi un’adeguata
motivazione in ordine alla intrinseca pericolosità degli stessi.
Infine col motivo n. 14 è contestata la legittimità della sentenza nella
parte in cui, pur determinata la sanzione nel minimo edittale, essendo gli
imputati incensurati e dotati di una scarsa capacità a delinquere, come

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svolgimento della fertirrigazione.

precisato in sentenza, tuttavia il Tribunale non ha ritenuto di concedere loro le
attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Mentre il ricorso proposto dagli imputati Tranquilli e Santocore è
inammissibile, la sentenza impugnata, limitatamente alla posizione dei
restanti imputati Magrini e Scarabottini deve essere annullata, come da

Partendo dal ricorso dei primi due prevenuti, rileva la Corte come lo
stesso, con riferimento ai due primi motivi di impugnazione, si fondi
sostanzialmente su di un duplice presupposto, cioè che i reflui derivanti dalla
attività di piscicoltura svolta dai predetti Tranquilli e Santocore, in quanto
effluenti di allevamento adibiti alla fertirrigazione, non costituissero rifiuti e,
pertanto, che ad essi non dovesse essere applicata la normativa di cui ai capi
di imputazione loro contestati.
Tali presupposti sono ambedue fallaci.
Va, infatti, in primo luogo ricordato come in base alla normativa positiva
in materia di scarichi idrici, puntualmente richiamata nella motivazione della
sentenza impugnata, la disciplina delle acque e non quella dei rifiuti sarà
applicabile in tutti i casi nei quali si è in presenza di uno scarico, anche
soltanto periodico, discontinuo o occasionale, di acque reflue in uno dei corpi
recettori specificati dalla legge ed effettuato tramite condotte o altro sistema
stabile.
In tutti gli altri casi nei quali manchi il nesso funzionale e diretto delle
acque reflue con il corpo recettore si applicherà, invece, la disciplina sui rifiuti
(così, per tutte: Corte di cassazione, Sezione III penale, 21 aprile 2015, n.
16623, nonché, idem Sezione III penale, 20 aprile 2011 n. 15652).
Tali principi sono stati applicati da questa Corte anche alle ipotesi di
raccolta di liquami zootecnici in vasche (Corte di cassazione, Sezione III
penale, 21 aprile 2015, n. 16623).
Nel caso di specie è emerso che i rifiuti derivanti dall’allevamento delle
trote, già raccolti in vasche di sedimentazione – elemento questo che di per se
esclude la possibilità di applicare ad essi la ordinaria disciplina degli scarichi
idrici stante la presenza di tali elementi intermedi fra il momento di
produzione dei reflui e quello di loro trasferimento verso il corpo recettore – si
6

motivazione che segue.

riversavano in maniera incontrollata nelle adiacenti acque fluviali a causa del
fatto che dette vasche di sedimentazione in realtà erano utilizzate esse stesse
per l’allevamento delle trote, di tal che esse venivano meno alla loro stessa
funzione di vasche di decantazione stante il fatto che la presenza, ed il
conseguente frenetico movimento, di diverse centinaia di pesci all’interno di
esse impediva la sedimentazione dei rifiuti che, pertanto, tracimando l’acqua
al di fuori delle vasche, si riversavano, frammisti a quella, nel terreno

Tale accertamento in fatto, cioè l’abbondante tracimazione dei rifiuti
provenienti dalle vasche ove i prevenuti gestivano la loro attività di
piscicoltura, esclude altresì la pertinenza alla fattispecie della linea difensiva
svolta dalle difese dei prevenuti, volta ad affermare la deroga alla normativa
in materia di trattamento dei rifiuti giustificata dal fatto che gli stessi erano
utilizzati con finalità agronomiche attraverso la pratica della fertirrigazione.
Infatti, sebbene sia ben vero che l’utilizzazione agronomica degli
effluenti di allevamento comporta la deroga rispetto alla applicabilità della
normativa in tema di rifiuti, anche nel caso in cui quelli siano dapprima
stoccati in vasche e successivamente trasferiti sui luoghi di spandimento
tramite cisterne mobili (Corte di cassazione, Sezione III penale, 9 ottobre
2008, n. 38411), tuttavia siffatta pratica, onde consentire alla predetta
deroga di essere efficace, deve essere svolta secondo i principi della sua
corretta applicazione; essa, pertanto, richiede, in primo luogo l’esistenza
effettiva di colture in atto sulla aree interessate allo spandimento degli
effluenti animali, l’adeguatezza, per qualità e per quantità, di questi ultimi al
fini cui appaiono destinati, tenuto conto anche dei tempi e delle modalità di
distribuzione in conformità con il tipo ed il fabbisogno delle colture in
questione, nonché la assenza di fattori sintomatici di una utilizzazione dei
liquami non compatibile con la corretta metodica della fertirrigazione (Corte di
cassazione, Sezione III penale, 12 ottobre 2015, n. 40782).
Fattori tutti questi non ravvisabili, secondo quanto accertato dal giudice
del merito nel caso ora in discorso, nel quale, invece, lo smaltimento dei reflui
di allevamento avveniva, sia pure in forma con esclusiva, attraverso la loro
tracimazione dalle vasche di decantazione verso i limitrofi corsi d’acqua.
Peraltro, come è stato altresì segnalato dalla giurisprudenza di questa
Corte, affinché la deroga sia pienamente efficace è, comunque, necessario che
l’utilizzo agronomico abbia ad oggetto l’intera produzione di rifiuti e non una
sola parte di essi, di tal che, in un caso singolarmente analogo al presente, è
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circostante sino agli adiacenti corsi d’acqua.

stata ritenuta non scriminata la condotta comportante sola una parziale
destinazione degli effluenti di allevamento alla fertirrigazione, atteso che la
parte di essi eccedente si riversava, esattamente come verificatosi nel caso
che ora interessa, sul terreno circostante al luogo di produzione, con
conseguenti fenomeni di ruscellamento (Corte di cassazione, Sezione III
penale, 31 maggio 2011, n. 21785).
Quanto al profilo esaminato i motivi di ricorso proposti dai due imputati

Con riferimento al terzo motivo di impugnazione – onde definire la
posizione dei primi due ricorrenti – con il quale i predetti hanno censurato la
sentenza impugnata per non avere la medesima dichiarato l’avvenuta
estinzione per prescrizione anche dei residui reati loro addebitati, osserva il
Collegio che la tesi propugnata dai ricorrenti procede dal rilievo che il reato
loro contestato sia un reato istantaneo, sebbene con effetti permanenti, di tal
che per esso il momento iniziale di decorrenza della prescrizione sarebbe
quello dell’inizio della condotta.
Va detto – al di là della incongruenza rispetto alla fattispecie dell’assunto
espresso, come di seguito ci si riserva di chiarire – che la questione della
prescrizione appare

in radice

mal posta atteso che la contravvenzione

contestata ai prevenuti è stata, comunque, ritenuta tuttora flagrante alla data
del agosto del 2012, sicché in ogni caso il relativo termine prescrizionale
sarebbe andato a consumarsi definitivamente solo nell’agosto del 2017, quindi
ampiamente dopo la emissione della sentenza impugnata.
In ogni caso, a scioglimento della riserva dianzi formulata, l’assunto
secondo il quale la condotta attribuita i predetti integri un reato istantaneo ad
effetti permanenti è inadeguato al caso.
Come, infatti, questa stessa Sezione della suprema Corte ha avuto
occasione di precisare, sebbene siano riscontrabili nella sua giurisprudenza
due orientamenti – l’uno volto ad affermare che “il reato di deposito
incontrollato di rifiuti è reato permanente giacché, dando luogo ad una forma
di gestione del rifiuto preventiva rispetto al recupero ed allo smaltimento, la
sua consumazione perdura sino allo smaltimento o al recupero” (Corte di
cassazione, Sezione 3 penale, 4 dicembre 2013, n. 48489; idem, Sezione 3
penale, 23 giugno 2011, n. 25216), mentre in base all’altro si sostiene che il
reato di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti (di cui all’art. 256,
comma 2, del dlgs n. 152 del 2006) ha natura di reato istantaneo,
8

sono, pertanto, manifestamente infondati.

eventualmente con effetti permanenti, la cui consumazione si perfeziona o con
il sequestro ovvero con l’ultimo atto di conferimento da parte del soggetto
agente (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 15 ottobre 2013, n. 42343;
idem, Sezione 3 penale, 18 novembre 2010, n. 40850; idem, Sezione 3
penale, 7 febbraio 2008, n. 6098) – il criterio di distinzione fra le due ipotesi è
dato, secondo una condivisibile sebbene non esaustiva analisi casistica, dalle
concrete modalità in cui si atteggia la fattispecie concreta.

di deposito incontrollato di rifiuti sia prodromica ad una successiva fase di
smaltimento ovvero di recupero del rifiuto stesso, caratterizzandosi, pertanto,
essa come una forma, per quanto elementare, di gestione del rifiuto (della
quale attività potrebbe dirsi che essa costituisce il “grado zero”), la relativa
illiceità penale permea di sé l’intera condotta (quindi sia la fase prodromica
che quella successiva), integrando, pertanto, una fattispecie penale di durata,
la cui permanenza cessa soltanto con il compimento delle fasi ulteriori rispetto
a quella di rilascio, tutto ciò con le derivanti conseguenza anche a livello di
decorrenza del termine prescrizionale.
Laddove, invece, siffatta attività non costituisca l’antecedente di una
successiva fase volta al compimento di ulteriori operazioni aventi ad oggetto
appunto lo smaltimento od il recupero del rifiuto, ma racchiuda in se l’intero
disvalore penale della condotta, non vi è ragione di ritenere che essa sia
idonea ad integrare un reato permanente; ciò in quanto, essendosi il reato
pienamente perfezionato ed esaurito in tutte le sue componenti oggettive e
soggettive, risulterebbe del tutto irragionevole non considerarne oramai
cristallizzati i profili dinamici fin dal momento dei rilascio del rifiuto, nessuna
ulteriore attività residuando alla descritta condotta di abbandono.
Sarà compito del giudice del merito valutare, di volta in volta, se l’azione
di abbandono e deposito del rifiuto si vada ad innestare in una più articolata
fase di gestione dello stesso ovvero se debba, invece, intendersi definita e
conclusa in tutti i suoi elementi e non più dotata di un ulteriore dinamismo
criminoso.
È di tutta evidenza, senza con ciò volerne esaurire il novero, che
attendibile indice ai fini dello svolgimento della diagnosi differenziale fra
un’ipotesi e l’altra, sarà la occasionalità o meno del fatto – essendo chiaro che
la sistematica pluralità di azioni, fra loro di identico o comunque analogo
contenuto, farà propendere per una forma di organizzazione della condotta,
sintomo attendibile di una volontà gestoria e non esclusivamente dismissiva
9

Infatti, non vi è dubbio che ogni qualvolta l’attività di abbandono ovvero

del rifiuto, mentre l’episodicità di esse dovrebbe indirizzare il giudizio sulla
istantaneità della natura del reato posto in essere; così come altri indici
rivelatori della finalità gestoria potranno essere la pertinenza, o meno, del
rifiuto oggetto di rilascio all’eventuale circuito produttivo riferibile all’agente,
ove questi svolga attività imprenditoriale; oppure la reiterata adibizione di un
unico sito, eventualmente anche promiscuamente utilizzato al medesimo fine
pure da altri soggetti, quale punto di rilascio dei rifiuti.

produzione e della dispersione del rifiuto nell’ambiente al ciclo produttivo
svolto dalla imprese gestite dai prevenuti farebbe, ove ce ne fosse bisogno,
sicuramente propendere per la natura permanente del reato, essendo esso
strumentale ad una stabile forma di gestione dello smaltimento dei rifiuti in
questione.
La inammissibilità per il resto dei ricorsi di Tranquilli e Santocore rende
irrilevante, ai fini dell’eventuale pronunzia della estinzione del reato per
prescrizione, il tempo trascorso successivamente alla deliberazione della
sentenza di merito (Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 25 marzo 2016,
n. 12602).
Passando ai ricorsi formulati dagli altri due imputati osserva il Collegio
come gli stessi, presentando dei profili di fondatezza, come sarà di seguito
evidenziato, sebbene non tali da condurre ad una immediata e definitiva
pronunzia di proscioglimento dei prevenuti, comportano la doveroso pronunzia
dell’intervenuta estinzione del reato loro contestato per prescrizione.
Va preliminarmente osservato che ai ricorrenti ora in esame è stata
contestata, ai sensi dell’art. 40 cod. pen., la cooperazione colposa nelle
condotte illecite ascritte agli altri prevenuti per avere gli stessi, quali tecnici
dell’Arpa della Regione Umbria in servizio presso la Sezione territoriale di
Spoleto, omesso di esercitare, con la dovuta diligenza e perizia, i controlli
sull’operato dei coimputati Tranquilli e Santocore nella gestione dei rifiuti
derivanti dalla loro attività imprenditoriale, in particolare non impedendo loro
lo smaltimento illecito di essi tramite la pratica della fertirrigazione condotta al
di fuori delle regole che la disciplinano.
Come è noto la responsabilità omissiva per non avere impedito la
verificazione di un evento grava sul soggetto solo ed in quanto egli, investito
di una cosiddetta posizione di garanzia, abbia l’obbligo giuridico di impedirlo
(in relazione alla sussistenza della responsabilità penale ex art. 40 cod. pen.
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Nel caso ora in esame la evidente ed immediata pertinenza della

esclusivamente a carico di chi fosse investito dell’obbligo di impedire l’evento,
cfr. ex multis: Corte di cassazione, Sezione III penale, 6 febbraio 2017, n.
5439; idem Sezione III penale, 9 marzo 2011, n. 9281).
Logicamente prioritario, pertanto, alla affermazione della penale
responsabilità del soggetto, ove la stessa sia fondata sull’omesso controllo in
ordine ad un evento che si aveva l’obbligo di impedire, è l’accertamento in

In relazione alla sentenza ora in scrutinio osserva, a questo punto, il
Collegio come il Tribunale di Spoleto abbia attribuito al predetti funzionari
dell’Arpa Magrini e Scarabottini, in quali non hanno pacificamente qualifiche di
vertice nella amministrazione di appartenenza, il dovere giuridico, attraverso
la verifica della legittimità delle pratiche di fertirrigazione operate tramite
l’utilizzo dei reflui rivenienti dalla imprese gestite dai ricordati imputati
Tranquilli e Santocore, di impedire la illecita gestione di tali rifiuti, in ragione
di una non ben precisata disposizione organizzativa dell’Ufficio di loro
appartenenza la quale avrebbe previsto la loro preposizione al servizio in
questione.
In particolare il Tribunale ha attribuito ai due funzionari dell’Arpa il
compito stabile di curare la verifica delle procedure amministrative volte a
controllare la correttezza dello svolgimento delle fertirrigazioni, ma, si rileva,
nulla ha detto in ordine alla fonte, provvedimentale o legale, di tale
investitura; tanto più sarebbe stata necessaria una maggiore specificità
argomentativa sul punto ove si consideri che tale preposizione apparirebbe,
invece, essere smentita dal fatto che, per un verso, la posizione del Magrini
come tecnico avente questo particolare compito non emergerebbe da alcun
atto istruttorio e che, per altro verso, risulterebbe che i controlli del tipo di
quello che i ricorrenti avrebbero, secondo la ipotesi accusatoria, omesso o
negligentemente curato, non erano attribuiti in pianta stabile a questo o a
quell’impiegato ma l’incarico di eseguirli ruotava fra i vari addetti in base alle
contingenti necessità dell’Ufficio.
A fronte di questi dati – i quali avrebbero richiesto un onere
motivazionale più intenso onde dimostrare la attribuzione proprio ai due
prevenuti del dovere giuridico la cui violazione comporta la rilevanza penale
della condotta omissiva loro contestata – il Tribunale, come detto, con
motivazione del tutto apodittica e totalmente autoreferenziale, ha affermato
sic et simpliciter che ai predetti era assegnato il compito di procedere alla
11

relazione alla esistenza ed alla rilevanza giuridica di tale obbligo.

verifica della regolarità delle fertirrigazioni compiute con il materiale prelevato
presso le aziende degli altri imputati.
La insufficienza motivazionale, stante la evidente inidoneità dimostrativa
delle ragioni addotte dal Tribunale onde concentrare sui predetti la
responsabilità penale per i fatti loro ascritti, comporterebbe, anche per ciò
solo, l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, affinché il giudice
del merito integri meglio la motivazione della sentenza, accertando gli

dei prevenuti.
A tanto, tuttavia, non vi è la necessità, quanto al presente caso, di
pervenire atteso che, stante il considerevole lasso di tempo trascorso dal
momento in cui i fatti si sarebbero verificati, essi hanno in ogni caso perso la
loro rilevanza penale, essendo il reato di cui sarebbero espressione oramai
prescritto.
Nei confronti, pertanto, degli imputati Magrini e Scarabottini la sentenza
impugnata, con integrale assorbimento degli altri motivi di ricorso, deve
essere annullata senza rinvio per essere il reato loro contestato estinto per
prescrizione.
La ritenuta inammissibilità, invece, dei ricorsi di Tranquilli e Santocore
comporta, visto l’art. 616 cod. proc. pen., la loro condanna al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 2000,00 ciascuno in favore
della Cassa delle ammende.

PQM
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato contestato
a Magrini e Scarabottini, perché estinto per prescrizione.
Dichiara inammissibili i ricorsi di Tranquilli e Santocore che condanna al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2000,00 ciascuno in
favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 29 settembre 2017
Il Consigliere estensore

Il Presidente

elementi sui quali fondare, se sussistenti, la effettiva responsabilità omissiva

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