Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18880 del 23/04/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 18880 Anno 2013
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: IANNELLI ENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MESSINA SALVATORE N. IL 26/03/1970
avverso la sentenza n. 2142/2010 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 13/07/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ENZO IANNELLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 23/04/2013

-1- Messina Salvatore, già condannato in abbreviato in primo e secondo grado – sentenze del
tribunale monocratico di Palermo in data 15.12.2009 e corte di appello della stessa città in data
13/20.7.2012- alla pena di mesi cinque, giorni dieci di reclusione ed euro 300,00 di multa per il
delitto di truffa tentata in concorso – art. 56,110 e 640 c.p.- ricorre avverso la seconda decisione e
deduce, con il richiamo all’art. 606 comma 1 lett. e) c.p.p., carenza di motivazione in ordine alla
ritenuta colpevolezza dell’ imputato.
Sta di fatto che i giudici di merito, sia di primo che di secondo grado, hanno evidenziato che 1′
imputato, giusto il verbale di arresto, si era accompagnato con tale Aiello Daniela all’Agenzia n. 46
dell’ Ufficio postale di Palermo dove la donna, esibendo falsi documenti, tentava di riscuotere un
bonifico INPS di euro 3.082,50, non riuscendo nell’ intento per avere gli impiegati, resisi conto
della falsità dei documenti, preavvertito i Carabinieri che procedevano all’arresto dei due correi,
non senza prima aver constatato l’ atteggiamento confidenziale dei due e, in modo particolare, la
condotta guardinga del Messina che, la donna allo sportello, si era posto all ingresso dell’ ufficio
postale con fare circospetto. Tale situazione gravemente indiziante veniva poi corroborata dalle
dichiarazioni dell’ uomo che dichiarava di non conoscere la donna e di averla incontrata per la
prima volta all’ ufficio postale, senza peraltro dare alcuna giustificazione della sua presenza nel
predetto Ufficio.
Le ragioni di doglianza si segnalano oltre che per la loro genericità, non contestando per nulla
quanto osservato dai Carabinieri operanti, per il fin troppo scoperto tentativo di censurare nel merito
il discorso giustificativo giudiziale, dando, e sorvolando sulle specifiche circostanze indizianti
evidenziate dai giudici, una rappresentazione alternativa dei fatti come ricostruiti, nel senso di un
incontro puramente accidentale con la coimputata. Occorre ribadire, in proposito, che, in sede di
legittimità, non sono consentite censure che pretendano di valutare, o rivalutare, gli elementi
probatori al fine di trarne conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito, chiedendo alla
Corte di legittimità un giudizio di fatto che non le compete. Esula, infatti, dal poteri della Corte di
cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto, complessivamente e puntualmente nel caso
di specie considerati dalla sentenza impugnata, posti a fondamento della decisione, la cui
valutazione é, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di
legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle
risultanze processuali.
La parte privata che ha proposto il ricorso deve essere condannata al pagamento delle spese del
procedimento, nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità, al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille euro, così
equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e x al versamento della somma di mille euro alla cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 23.4.2013

Udita la relazione del cons. Enzo Jannelli;
Udita la richiesta del S. Procuratore Generale, Carmine Stabile, per 1 inammissibilità del ricorso.

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