Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18875 del 05/12/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 18875 Anno 2017
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: DI GIURO GAETANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MELLUSO LEONARDO FRANCESCO N. IL 01/04/1965
avverso l’ordinanza n. 467/2016 TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO,
del 14/06/2016
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GAETANO DI GIURO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. ?se-unC A erz_,
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Data Udienza: 05/12/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ ordinanza in epigrafe indicata il Tribunale del riesame di
Catanzaro ha confermato l’ordinanza emessa in data 02/05/16 dal G.i.p.
del Tribunale di Catanzaro con cui veniva applicata la misura cautelare
della custodia in carcere nei confronti, tra gli altri, di Melluso Leonardo
Francesco, in relazione ai delitti di cui agli artt. 110 cod. pen., 12

Detto Tribunale, dopo avere premesso che il presente procedimento
ha ad oggetto oltre alla cosca Mancuso di Limbadi, egemone sul territorio
di Vibo Valentia, anche l’operatività di una sua diramazione rappresentata
dalla cosca capeggiata da Accorinti Antonino, detto “Nino”, coadiuvato da
Bonavita Francesco Giuseppe e Melluso Leonardo, operante nel comune di
Briatico, passa alla disamina delle fattispecie di cui risulta gravemente
indiziato il Melluso.
Quanto al concorso di quest’ultimo nell’intestazione fittizia delle
quote della R.L. Costruzioni nella misura del 50 °h, l’ordinanza impugnata
sottolinea che dal compendio indiziario emerge come la ditta in questione
sia in realtà riconducibile anche al Melluso, quale reale contitolare della
stessa, socio occulto e gestore di fatto, e che l’intestazione in capo al
Russo Leonardo sia, almeno in parte, solo fittizia. Detta ordinanza
evidenzia come dalle conversazioni oggetto di captazione, per come
riscontrate dalle acquisizioni di documentazione bancaria, si evinca che
Melluso Leonardo Francesco mantenga di fatto la piena ed incondizionata
disponibilità della società in oggetto, esercitando su di essa il potere di
direzione, amministrazione e gestione, comportandosi all’esterno come
titolare pur essendone formalmente solo un dipendente (conversazioni
dalle quali emerge che stabilisce i prezzi e che comunica le scelte
gestionali ed organizzative all’apparente titolare), ponendosi come diretto
interlocutore degli istituti di credito per questioni afferenti la società de
qua ed ingerendosi nelle sue scelte imprenditoriali.
Sempre il provvedimento impugnato evidenzia come la
sottoposizione del Melluso alla misura di prevenzione della sorveglianza
speciale nel 2006 ed il suo coinvolgimento in episodi delittuosi potevano
senza dubbio fargli prospettare il pericolo di sottoposizione a
procedimenti di prevenzione di natura patrimoniale, a riprova del suo
interesse all’intestazione fittizia e dell’evidente dolo specifico richiesto
dalla norma incriminatrice. Ed individua la ricorrenza dell’ aggravante

1

quinquies I. 356/92, 7 I. 203/91 (capo 62), e 416 bis cod. pen. (capo 71).

della finalità agevolativa del sodalizio mafioso, per la suddetta fattispecie,
sulla base del tenore delle conversazioni intercettate tra Granato e
Prostamo, nelle quali gli stessi commentano la “spartizione” dei lavori
edili tra le imprese facenti capo a soggetti sodali della ‘ndrina Accorinti,
facendo riferimento alla ditta dello stesso Granato Giuseppe e a quella
intestata a Russo Leonardo, ma riferibile anche al Melluso (conversazione
del 29.5.12), ovvero nelle quali gli interlocutori convengono sul fatto che

costituisca una sorta di “mazzetta” (conversazioni del 13 e del 16 giugno
2011).
Il Tribunale

a quo

sottolinea come il rilievo difensivo circa

l’inesistenza di un rapporto di subordinazione da parte del Russo
Leonardo sia smentito non solo dal tenore delle conversazioni captate,
ma anche dalla documentazione bancaria acquisita agli atti, da cui
emergono la negoziazione di assegni intestati alla R.L. Costruzioni sul
conto del Melluso e gli approvvigionamenti di denaro dal conto di detta
impresa al conto dell’indagato. E come non sia rilevante il fatto che detta
impresa non sia stata coinvolta dall’applicazione della misura preventiva
patrimoniale nel 2013 al Melluso.
Quanto all’esistenza della cosca, operante nella zona di Briatico,
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da Accorinti Antonino con il coagisuvo di Bonavita Francesco
capeggiata da
Giuseppe, l’ordinanza impugnata la evince, sotto il profilo gravemente
indiziario, dalle captazioni e dalle dichiarazioni dei collaboratori di
giustizia. Detto provvedimento evidenzia come alle convergenti
dichiarazioni sull’esistenza di detta cosca capeggiata dall’Accorinti e sulla
sua operatività in Briatico, ove il suddetto risulta gestore di una struttura
turistica locale denominata Green Garden, rese dai collaboratori di
giustizia Carlo Vavalà, Giuseppe Scriva, Eugenio William Polito, Guglielmo
Capo, Giampà Giuseppe, Servello Angiolino, Moscato Raffaele, nonché del
primo, del terzo e del sesto sul fatto che fosse propalazione del clan
capeggiato da Pantaleone Mancuso detto “Scarpuni”, si aggiungano le
dichiarazioni di Merli Agnese, che riferisce dell’ affermazione sul territorio
suddetto sia del Bonavita che dell’Accorinti, quali referenti dei Mancuso, a
seguito della sparizione del Muggeri, suo compagno. Ed evidenzia, inoltre,
come i contatti tra gli Accorinti e la cosca Mancuso emergano anche dalle
risultanze di altri procedimenti e trovino una conferma nelle captazioni,
nonché nel summit tenuto con le altre cosche, nella gestione delle

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parte dei corrispettivi da pagare ai componenti della famiglia Melluso

cerimonie religiose e nella gestione di attività economiche da parte dei
primi nell’interesse ultimo della cosca Mancuso.
Il Tribunale del riesame sottolinea come alcuni passaggi delle
conversazioni captate evidenzino la forza di intimidazione derivante dal
vincolo associativo e la diffusione sul territorio della condizione di
assoggettamento e di omertà (anche dell’amministrazione comunale di
Briatico, come da conversazione tra l’imprenditore Campenni e il

della stessa al volere della famiglia Accorinti) , e come sia indubbia la
gravità indiziaria del delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen. a carico del
Melluso. Il quale, in qualità di co-reggente dell’organizzazione, oltre a
gestire l’attività economica di cui si è detto e a partecipare alla
ripartizione dei lavori edili e degli utili delle attività illecite (significativa
appare la captazione della conversazione tra il Prostamo ed il Granato in
cui gli stessi si riferiscono all’imposizione da parte dell’Accorinti dei lavori
ad opera dei figli di “Dino”, il Melluso, il cui pagamento viene dai due
considerato al pari di una “mazzetta”; significativa è anche la
conversazione da cui emerge che i lavori erano da farsi tramite la R.L.
Costruzioni di Russo Leonardo), provvede a corrispondere personalmente
parte degli utili a Mancuso Pantaleone c1.61 (circostanza emergente da
una conversazione telefonica in data 12.11.11 tra Greco Adriano e Puglia
Pasquale cui segue altra conversazione con il Melluso) e partecipa a
summit con appartenenti ad altre organizzazioni di ‘ndrangheta della
cosca (in particolare a quello presso l’agriturismo II Roseto e a quello
sulla barca “Imperatrice” della famiglia Accorinti di Briatico, su cui, oltre
allo stesso, risultano presenti Accorinti Antonino, Vita Salvatore e Callà
Nunzio Manuel, uomo di fiducia di Mancuso Pantaleone cl. 61).
Significativa dell’intraneità al clan del Melluso e del suo ruolo di spessore
è anche, secondo l’ordinanza impugnata, la conoscenza da parte del
suddetto, riferita dal figlio del medesimo nella conversazione ambientale
in data 28.10.11, dell’appartenenza degli interlocutori di quest’ultimo alla
‘ndrangheta per avere ricevuto il cosiddetto “battesimo” a malandrino.
Mentre non assume rilievo, alla luce degli elementi raccolti, secondo la
stessa ordinanza, il fatto che il Moscato lo consideri vicino ai Tripodi di
Porto Salvo e non contiguo all’associazione per cui si procede, o ancora il
fatto che la sua partecipazione al summit sulla barca sia durata solo venti
minuti o, infine, il suo comportamento nella tentata estorsione di Grasso

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promotore finanziario Castagna nella quale si evidenzia la sudditanza

Antonio da vedersi sempre nell’ottica espansiva dell’attività economica
del figlio.
Tanto detto sulla gravità indiziaria, l’ordinanza passa poi ad
esaminare il profilo delle esigenze cautelari, affermandone la ricorrenza
anche al di là delle presunzioni legislative connesse all’imputazione
associativa, emergente “da un lato, dalle condotte indicative della
partecipazione al sodalizio criminoso contestato all’indagato…nonché dalla

Melluso, desumibile dall’ episodio di intestazione fittizia, elementi tali da
indurre a ritenere che il comportamento dell’indagato, lungi dall’essere un
episodio isolato sia piuttosto indice di una inclinazione a delinquere,
idoneo a comportare una prognosi cautelare sfavorevole di reiterazione di
condotte delittuose in contestazione”. Il che rende indubbio, secondo il
provvedimento impugnato, che unica misura idonea a fronteggiare il
pericolo di recidiva, oltre che imposta dalla legge in assenza di elementi
per ritenere la carenza di esigenze cautelari, sia quella della custodia
cautelare in carcere.

2. Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione
Melluso Leonardo Francesco, tramite i suoi difensori, deducendo
violazione degli artt. 192, 273, 274, 292 cod. proc. pen., 416 bis cod.
pen. e 12 quinquies I. 356/92. Dopo una premessa sui “gravi indizi di
colpevolezza” ai sensi dell’ art. 273 cod. proc. pen. e sui poteri di
valutazione di questa Corte, si censura l’ordinanza impugnata per avere
invertito il ragionamento che avrebbe dovuto sorreggere la prova del
reato associativo, ricavandola, in modo automatico, da quella dei presunti
reati fine o da

facta concludentia.

Si censura, altresì, detto

provvedimento per avere valorizzato i contributi dichiarativi che si
concentrano sulla persona dell’ Accorinti, sul suo legame con i Mancuso e
sulla sua gestione del Villaggio Green Garden in Briatico, ma non
individuano l’esistenza di una cosca né tantomeno la partecipazione del
ricorrente ( il collaboratore Moscato lo individuerebbe addirittura come
contiguo ad altra consorteria). E non consentono gli elementi raccolti di
ritenere provata a livello indiziario la sua

affectio societatis.

Si critica,

inoltre, l’ordinanza impugnata per avere assegnato ai reati fine
un’impropria funzione di supplenza del retrostante reato associativo, e
per essersi, quanto a detto reato, limitata a richiamare alcune
intercettazioni ambientali senza dedurne elementi dimostrativi della

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propensione al crimine ed una marcata pericolosità sociale dello stesso

consapevolezza e volontà del ricorrente di far parte di un sodalizio
criminoso.
Si afferma la non autosufficienza delle intercettazioni etero
accusatorie, che devono trovare riscontro in altri elementi, non verificati
dal Tribunale del riesame. I difensori, invero, sottolineano come il G.i.p.,
nell’escludere la gravità indiziaria in ordine ad un’ipotesi estorsiva
contestata, nella quale l’indagato sarebbe stato coinvolto con l’Accorinti,

tra il Melluso e la cosca Accorinti. Ed evidenziano come l’ episodicità e
l’esiguità delle condotte contestate non siano in grado di supportare
un’accusa rispetto ad un contesto associativo che postula
necessariamente stabilità ed organicità. E come in relazione al concorso
nell’intestazione fittizia non sia provata la mancata coincidenza tra
intestazione formale e disponibilità effettiva della società, la attribuzione
di detta società per esigenze di illecita salvaguardia del patrimonio e
l’origine illecita dei beni impiegati nella medesima. Come anche
l’aggravante di cui all’art. 7 I. 203/91 non abbia formato oggetto di
specifica dimostrazione. E come, infine, la motivazione sulle esigenze
cautelari si risolva “in una formula di stile stereotipata”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
In riferimento ai limiti del sindacato di legittimità in materia di
misure cautelari personali, va premesso che questa Corte è priva di
potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende
indagate e di rivalutazione degli apprezzamenti di merito, rientranti nel
compito esclusivo del giudice che ha applicato la misura e del Tribunale
del riesame. Il controllo di legittimità, quindi, è limitato all’esame del
contenuto dell’atto impugnato e alla verifica delle ragioni giuridicamente
significative che lo determinavano e dell’assenza d’illogicità evidente,
ossia dell’adeguatezza e della congruenza del tessuto argomentativo
riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della
logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle
risultanze probatorie ( tra le altre, Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013,
Tiana, Rv. 255460; Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, Terranova, Rv.
237012; Sez. 2, n. 9532 del 22/01/2002, Borragine, Rv. 221001; Sez.
Un., n. 11 del 22/03/2000 , Audino, Rv. 215828 ), avuto, altresì, riguardo

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abbia fatto venir meno il sinallagma in grado di sostenere la colleganza

alla diversità di oggetto della delibazione cautelare, preordinata a un
giudizio prognostico in termini di ragionevole e qualificata probabilità di
colpevolezza dell’indagato, rispetto a quella demandata al giudizio di
merito, che è intesa invece all’acquisizione della certezza processuale
della colpevolezza dell’imputato (Sez.1, n.1951 dell’1/04/2010,
Rv.247206). Senza che possa integrare vizio di legittimità la mera
prospettazione di una diversa e, per il ricorrente più adeguata,

07/12/1999, Alberti, Rv. 215331; Sez. 1, n. 1496 dell’11/03/1998,
Marrazzo, Rv. 211027; Sez. Un., n. 19 del 25/10/1994, De Lorenzo, Rv.
199391 ).
Orbene, la motivazione dell’ordinanza impugnata, che si salda a
quella dell’ordinanza genetica, componendo insieme ad essa un unico e
coerente corpo argomentativo, procede ad una valutazione completa e
logica di tutto il materiale investigativo, in una visione di insieme,
confrontandosi con le censure mosse dalla difesa ed in parte riproposte in
questa sede ed argomentando in modo non manifestamente illogico sia
sulla partecipazione associativa che sulla commissione da parte del
Melluso dei reati fine, aggravati ai sensi dell’art. 7 d. I. n. 152 del 1991,
nonché sulle esigenze cautelari ravvisabili nel caso di specie.
A fronte della quale la difesa oppone generiche doglianze ed in
particolare a) che la prova del reato associativo sia stata ricavata, in
modo automatico, da quella dei presunti reati fine o da

facta

concludentia, b) che manchi l’ individuazione di una cosca operante in
Briatico e di una partecipazione ad essa del ricorrente, anche sotto il
profilo di un’

affectio societatis,

dimostrata attraverso intercettazioni

etero accusatorie prive di riscontri, anzi smentita dall’ assoluzione del
Melluso da un reato fine contestato come commesso con l’ Accorinti, c)
che manchi la prova, quanto all’intestazione fittizia, della non coincidenza
tra intestazione formale e disponibilità effettiva della società, della
attribuzione di detta società per esigenze di illecita salvaguardia del
patrimonio e dell’origine illecita dei beni impiegati nella medesima,
nonché dell’aggravante di cui all’art. 7 I. 203/91, d) che la motivazione
sulle esigenze cautelari sia solo apparente.
E’ di tutta evidenza, quindi, come sotto il profilo del vizio di
motivazione e della violazione di legge, la difesa tenda a prospettare una
rivisitazione degli elementi fattuali, preclusa in questa sede a fronte di
una completa e non manifestamente illogica ricostruzione, svolta dall’

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valutazione delle risultanze delle indagini (cfr. Sez. 1, n. 6972 del

ordinanza impugnata, della partecipazione del Melluso all’ associazione
capeggiata dall’ Accorinti ed ai suoi reati fine, come analiticamente
riportata sopra nel fatto, previa approfondita disamina delle convergenti
propalazioni dei collaboratori di giustizia, delle intercettazioni telefoniche
ed ambientali, della documentazione acquisita agli atti e comunque degli
esiti dell’ attività di polizia giudiziaria, nonché valutazione della
significatività dei reati fine quali segmenti della condotta associativa. E a

nella specie, come quella sopra riportata.
In presenza di una coerente valutazione di merito immune da vizi
logico-giuridici, del tutto conforme al paradigma normativo che si assume
essere violato e quindi resistente allo scrutinio di legittimità, non può
costituire vizio deducibile davanti a questa Corte la prospettazione di una
diversa valutazione delle risultanze degli atti celata sotto forma di
“violazione di legge” ovvero di vizio di motivazione, in quanto esula dai
poteri del giudice di legittimità quello della “rilettura” degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n.3833 del 24/11/2010,
dep. il 02/2/2011), dovendosi lo stesso limitare a controllare se la
motivazione dei giudici di merito sia intrinsecamente razionale e capace
di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito (ex plurimis: Sez. 2,
n.38803 del 10/10/2008), se, quindi, sia compatibile con il senso comune
e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (Sez. 2, n.
32839 del 09/05/2012).

2. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue, ai sensi dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost., sent. n. 186
del 2000), anche al versamento a favore della cassa delle ammende di
una sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro 1500,00
(millecinquecento).
Non derivando dalla presente decisione la rimessione in libertà del
ricorrente deve disporsi – ai sensi dell’art. 94, comma 1

ter, delle

disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia della
stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui
l’imputato trovasi ristretto, perché provveda a quanto stabilito dal comma
1 bis del citato articolo 94.

7

fronte di un’ analitica individuazione delle esigenze cautelari configurabili

Trasmessa copia ex art. 23
n. 1 ter L. 8 8 95 n. 332

Roma, lì

P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di C.
1500,00 alla Cassa delle Ammende.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del
provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94,
co.1-ter, disp.att. c. p. p.

Il Consigliere Estensore

Il Presidente

Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2016

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