Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18856 del 15/03/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 18856 Anno 2018
Presidente: FIDELBO GIORGIO
Relatore: D’ARCANGELO FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Fasciolo Alessandro, nato a Roma il 06/11/1974
avverso l’ordinanza del 22/01/2018 del Tribunale di Roma;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Fabrizio D’Arcangelo;
TQ-

iettQ le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Luca Tampieri, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
sentito il difensore, avv. Marco Cinquegrana, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento dei motivi di ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Roma, adito ex art. 310 cod.
proc. pen. dal Pubblico Ministero, riformando l’ordinanza applicativa della misura
coercitiva degli arresti domiciliari adottata dal Tribunale di Roma in data 24
novembre 2017, ha disposto nei confronti di Alessandro Fasciolo la misura della

Data Udienza: 15/03/2018

custodia cautelare in carcere in relazione al delitto di evasione dal medesimo
commesso in data 23 novembre 2017.

2. L’avv. Marco Cinquegrana, difensore del Fasciolo, ricorre avverso tale
ordinanza e ne chiede l’annullamento, deducendo, con unico motivo, la
mancanza o la manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 275,
comma 2-bis, e 310 cod. pen.

1.

Il ricorso deve essere accolto in quanto fondato.

2.

Con unico motivo il ricorrente deduce la mancanza o la manifesta

illogicità della motivazione in relazione agli artt. 275, comma 2-bis, e 310 cod.
pen.
Il Tribunale di Roma non aveva, infatti, considerato che il procedimento
penale nell’ambito del quale era stata aggravata la misura coercitiva si era
concluso, all’esito del giudizio abbreviato di primo grado, con una condanna
dell’imputato alla pena di un anno, quattro giorni e dieci giorni, inferiore al limite
edittale previsto dall’art. 275, comma 2-bis, cod. proc. pen.
Doveva, inoltre, ritenersi operante nella specie la preclusione prevista
dall’art. 276, comma

1-ter, cod. proc. pen., essendosi in presenza di una

trasgressione alle prescrizione degli arresti domiciliari concernenti il divieto di
non allontanarsi dalla propria abitazione di minimale rilievo.
Dal verbale di arresto emergeva, infatti, che il prevenuto era stato sorpreso
dalla Polizia Giudiziaria appena fuori dalla propria abitazione e non certo nell’atto
di commettere condotte delittuose.
Le reiterate condanne riportate dal Fasciolo per il delitto di evasione
risalivano, inoltre, ad oltre quindici anni prima.
Il Giudice della cautela aveva, inoltre, medio tempore aggravato la originaria

CONSIDERATO IN DIRITTO

misura coercitiva, sostituendo gli arresti domiciliari con la custodia cautelare in
carcere, e, pertanto, si rendeva ultronea la applicazione della misura cautelare
della custodia in carcere anche all’esito della convalida dell’arresto eseguito in
flagranza.

3. Il ricorso si rivela fondato, stante la operatività nella specie del limite alla
applicazione della misura coercitiva della custodia cautelare in carcere previsto
dall’art. 275, comma 2-bis, secondo periodo, cod. proc. pen.

2

)9,

In virtù di tale norma, infatti, “ferma restando l’applicabilità degli articoli
276, comma 1-ter, e 280, comma 3, cod. proc. pen.” la custodia in carcere non
può essere applicata, qualora si preveda che, all’esito del giudizio, la pena
detentiva irrogata non sarà superiore a tre anni.
Tale limite di pena è, infatti, maggiore di quella massima prevista per il
reato di evasione dall’art. 385 cod. pen., salvo che ricorra alcuna delle
circostanze aggravanti ad effetto speciale di cui al secondo comma della
medesima disposizione.

l’art. 8, comma 1, del D.L. 26 giugno 2014, n. 94, del resto, ha inteso ovviare ad
alcune distonie poste dalla originaria formulazione di tale norma, riferendo il
limite dei tre anni di reclusione non più alla “pena detentiva da eseguire” ma alla
“pena detentiva irrogata”, ma non ha curato il coordinamento di tale previsione
con la disposizione dell’art. 391, comma 5, cod. proc. pen.

4. Il Tribunale di Roma ha, invero, ritenuto che in tal caso, pur
prospettandosi, in ragione della cornice edittale propria del delitto di evasione,
l’irrogazione di una sanzione non superiore ai tre anni, operino “la deroga
(automatica) di cui all’art. 276, comma

1-ter, cod. proc. pen. ove si sia in

presenza di un fatto di non minimale rilievo, e quella (facoltativa) di cui all’art.
280, comma 3, cod. proc. pen”.
Tali deroghe consentono, infatti, di applicare la custodia in carcere nel caso
di imputato agli arresti domiciliari che violi le prescrizioni concernenti il divieto di
allontanarsi dal luogo di esecuzione della misura.
In caso di aggravamento, del resto, i limiti di applicabilità della misura della
custodia cautelare in carcere previsti dall’art. 275, comma

2-bis, secondo

periodo, cod. proc. pen. (nel testo introdotto dal D.L. 26 giugno 2014, n. 92,
convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 117) possono essere
superati dal giudice qualora ritenga, secondo quanto previsto dal successivo
comma terzo, prima parte, della norma citata, comunque inadeguata a
soddisfare le esigenze cautelari ogni altra misura meno afflittiva (Sez. 2, n.
46874 del 14/07/2016, Guastella, Rv. 268143).
L’allontanamento non autorizzato dal luogo di esecuzione degli arresti
donniciliari, tuttavia, nel sistema del codice di rito, rileva sotto due distinti profili,
oggetto di separati procedimenti (Sez. 6, n. 40994 dell’1/1/2015, El Mkhatri, Rv.
265609): la violazione della originaria misura coercitiva, che impone di valutare
la sua permanente adeguatezza a fronteggiare le esigenze cautelari che ne
hanno imposto l’applicazione, e la commissione di un autonomo delitto di
evasione, che consente l’arresto anche fuori dai casi di flagranza ai sensi dell’art.

L’art. 1 della legge 11 agosto 2014, n. 117, nel convertire con modificazioni

s

3 del decreto legge 13.5.1991, n. 152, convertito, con modifiche, nella legge
12.7.1991, n. 203.
In tale contesto interpretativo deve, tuttavia, rilevarsi che, a differenza di
quanto ritenuto dal Tribunale di Roma, la valenza derogatoria delle previsioni
degli art. 276, comma

1-ter,

e 280, comma 3, cod. proc. pen. opera

esclusivamente con riferimento alla misura coercitiva disposta in via di
aggravamento di quella originaria e non già con riferimento all’autonomo titolo

5. Non è, inoltre, possibile ovviare ai limiti di applicabilità della custodia
cautelare in carcere posti dall’art. 275, comma 2-bis, cod. proc. pen., invocando
la disposizione di cui all’art. 391, comma 5, cod. proc. pen.
Tale norma, infatti, introduce una deroga in relazione ai delitti per i quali
l’arresto è consentito anche fuori dai casi di flagranza (come per l’evasione),
ammettendo l’applicazione di una misura coercitiva in deroga ai limiti di pena
previsti dagli artt. 274, comma 1, lett. c) e 280 cod. proc. pen., ma non alla
norma generale di cui all’art. 275, comma 2-bis, cod. proc. pen.
L’art. 391, comma 5, cod. proc. pen. non è, peraltro, suscettibile di
interpretazione analogica o estensiva, in quanto prevede un regime derogatorio
in malam partem alle limitazioni tassative che possono essere poste alla libertà
personale ai sensi dell’art. 13, comma 2, Cost. e 272 cod. proc. pen. (Sez. 6, n.
32498 del 05/07/2016, Vasta, Rv. 267985; Sez. 6, n. 31583 del 23/06/2016,
Halilovic, Rv. 267681).
D’alta parte il limite di pena previsto dall’art. 280 cod. proc. pen. non è
affatto omogeneo a quello previsto dall’art. 275, comma 2-bis, cod. proc. pen.,
in quanto il primo si rapporta alla pena edittalmente prevista per il reato per il
quale si procede ed il secondo concerne la gravità in concreto dell’illecito,
desumibile dall’entità della pena che ragionevolmente si prevede verrà irrogata
al colpevole all’esito del giudizio di merito.

6. Non può, del resto, indurre ad una conclusione difforme la clausola di
riserva che costituisce l’incipit del secondo periodo dell’art. 275, comma 2-bis,
cod. proc. pen (“Salvo quanto previsto dal comma 3 …”), atteso che la stessa
deve essere logicamente riferita alle fattispecie derogatorie dallo stesso previste
e non già alla previsione generale con cui si apre il comma 3 (“La custodia
cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando le altre misure
coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, risultino
inadeguate”).

4

cautelare emesso in relazione al delitto di evasione.

Posto che l’art. 275, comma 2-bis, cod. proc. pen. introduce una ulteriore
“soglia di sbarramento”, attraverso la previsione del limite di pena di cui si è
detto, non avrebbe senso, pena lo svilimento di tale disposizione, consentirne il
generalizzato superamento sulla scorta di una valutazione discrezionale sempre
rimessa al giudice, quale appunto quella del primo periodo dell’art. 275, comma
3, del codice di rito.
La clausola in questione ha, invece, una sua ragion d’essere se rapportata
alle ipotesi di cui alla seconda parte del medesimo comma 3 dell’art. 275, in

stesso legislatore, di pericolosità dell’agente e di adeguatezza della massima
misura coercitiva (Sez. 6, n. 32498 del 05/07/2016, Vasta, Rv. 267985).

7. Qualora, pertanto, colui che abbia trasgredito le prescrizioni degli arresti
domiciliari, allontanandosi dal domicilio, venga arrestato per evasione, in forza
dell’art. 3, D.L. 13 maggio 1991, n. 151, non potrà essere poi sottoposto a
custodia cautelare in carcere in relazione a tale delitto, salvo che gli arresti
domiciliari non possano essere disposti per sopravvenuta mancanza di uno dei
luoghi di esecuzione indicati nell’articolo 284, comma 1, cod. proc. pen.

8. Atteso, pertanto, che nella specie la misura della custodia cautelare in
carcere è stata disposta in violazione del 275, comma 2-bis, secondo periodo,
cod. proc. pen., l’ordinanza impugnata deve essere annullata.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata.
Così deciso il 15/03/2018.

Il Consigliere estensore
Fabrizio D’Arcangelo

Il Pre idente
Giorgio Fidelbo

quanto connotate da una valutazione presuntiva, perché operata a monte dallo

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