Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18855 del 26/01/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 18855 Anno 2017
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: MENGONI ENRICO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Ndiaye Mor, nato in Senegal il 10/3/1971

avverso l’ordinanza de118/3/2016 del Tribunale di Teramo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza dell’8/3/2016, il Tribunale di Teramo, quale Giudice
dell’esecuzione, rideterminava la pena inflitta a Mor Ndiaye con la sentenza n.
271 del 16/4/2010 (irr. 2/11/2010), quantificandola in sei mesi di reclusione e
2.000,00 euro di multa; il provvedimento seguiva all’abrogazione del reato di cui
all’art. 171-ter, lett. c), I. n. 633 del 1941, ed aveva ad oggetto la fattispecie
residua di cui all’art. 474 cod. pen., ritenuta più grave in sede di cognizione ai
sensi dell’art. 81 cpv. cod. pen..

Data Udienza: 26/01/2017

2. Propone ricorso per cassazione l’Ndiaye, a mezzo del proprio difensore,
deducendo – con unico, diffuso motivo – plurime violazioni di legge e difetto
motivazionale. Tanto il Giudice della cognizione, quanto quello dell’esecuzione,
avrebbero errato nell’individuare il reato più grave nell’art. 474 cod. pen.,
anziché nell’altro, poi abrogato; ne consegue che, qualora l’incidente di
esecuzione fosse stato correttamente risolto, il Tribunale avrebbe irrogato quanto alla residua fattispecie – una pena inferiore a quella in concreto
determinata, individuandola in un mese di reclusione. Né, peraltro, in senso

che richiama, quale pena più grave, quella tale ritenuta in fase di

merito – si applica ai soli casi di cui all’art. 671 cod. proc. pen., e cioè a plurimi
reati di cui a distinte sentenze o decreti penali, non anche alle ipotesi di plurimi
reati contenuti in un’unica sentenza, come nel caso di specie. La
rideterminazione della pena per il delitto di cui all’art. 474 cod. pen., inoltre,
sarebbe avvenuta in modo incongruo, atteso che – a fronte di una sanzione base
non quantificata dal Giudice del merito – quello dell’esecuzione avrebbe dovuto
far riferimento al minimo edittale, così riducendo di tre mesi (minimo per il
delitto di cui all’art. 171-ter, I. n. 633 del 1941) la pena inflitta per l’altro reato,
non già di un solo mese.
3. Con requisitoria scritta del 2/9/2016, il Procuratore generale presso
questa Corte ha chiesto il rigetto del ricorso, escludendo che la pena così
irrogata possa esser ritenuta illegale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4.

Il ricorso risulta infondato; ritiene peraltro il Collegio che, in via

prioritaria, debbano esser richiamati i corretti termini della vicenda in esame, per
0à.51.43.0(t.

poi esaminarne f-pfefi-14-t-een-i.Gi a sostegno del gravame.
Orbene, l’Ndiaye – imputato per i delitti di cui agli artt. 171-ter, lett. c), I. n.
633 del 1941 e 474 cod. pen. – è stato condannato con la citata sentenza del
16/4/2010, che, riconosciuta più grave la seconda fattispecie ed applicato
l’istituto della continuazione, ha irrogato una pena complessiva di sette mesi di
reclusione e 3.500,00 euro di multa, senza individuazione di quella base e del
quantum di aumento ex art. 81 cpv. cod. pen.. Il Giudice dell’esecuzione, preso
atto della successiva (temporanea) abrogazione dell’art.

171-ter in esame (in

esito alla nota sentenza Schwibbert della Corte di Giustizia dell’Unione europea),
ha quindi rideterminato il trattamento sanzionatorio, espungendo dalla pena
citata la misura ritenuta congrua con riguardo alla medesima fattispecie (un
mese di reclusione e 1.500,00 euro di multa) e poi irrogando, quanto al residuo

2

contrario potrebbe invocarsi l’art. 187 disp. att. cod. proc. pen., atteso che
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delitto di cui all’art. 474 cod. pen., la pena di sei mesi di reclusione e 2.000,00
euro di multa.
5. Ciò premesso, e come sostenuto nel corpo del ricorso, il Giudice del
merito ha errato nell’individuare quale reato più grave quello da ultimo citato,
atteso che la disciplina sanzionatoria – vigente ratione temporis (5/12/2006) indicava, quanto allo stesso (art. 474, comma 2, cod. pen.), la reclusione fino a
due anni e la multa fino a 20.000,00 euro, e, quanto al delitto ex art. 171-ter, I.
n. 633 del 1941, la reclusione da sei mesi a tre anni e la multa da 2.582,00 a

Quest’ultima condotta, dunque, e non l’altra, avrebbe dovuto costituire
quella portante nel calcolo sanzionatorio.
6. Tuttavia, osserva la Corte che la determinazione di cui alla sentenza di
merito risulta ormai coperta dal giudicato. Ne consegue che il Giudice
dell’esecuzione giammai avrebbe potuto procedere ad invertire i “rapporti di
forza” interni alle due fattispecie, dovendosi limitare – e tale essendo il petitum
dell’istanza a lui rivolta – a rideterminare la pena quanto al residuo delitto di cui
all’art. 474 cod. pen.; pena che l’ordinanza impugnata ha congruamente
individuato – come irrogata nella sede di merito – in una misura pari a sei mesi
di reclusione e 2.000,00 euro di multa, così espungendo dall’originario
trattamento la sanzione già applicata per la diversa fattispecie, quantificata (in
assenza di indicazione sul punto da parte del Giudice del merito) in un mese di
reclusione e 1.500,00 euro di multa. Da ciò deriva, peraltro, che non riveste
effettivo rilievo la questione – sollevata con il ricorso – attinente alla portata
dell’art. 187 disp. att. cod. proc. pen. ed alla sua riferibilità esclusiva all’art. 671
cod. proc. pen. (continuazione in sede esecutiva soltanto a fronte di reati definiti
da sentenze diverse); nel caso di specie, infatti, il Giudice non ha dovuto
riconoscere e/o applicare l’istituto ex art. 81 cpv. cod. pen., già fissato con
sentenza irrevocabile, ma – e diversamente – scardinarlo alla luce
dell’intervenuta abrogazione di una delle condotte riconosciute e già riunite nel
vincolo. Né, peraltro, occorreva procedere ad una completa “rivisitazione” ex

novo del trattamento per il reato residuo, in luogo della mera “estrazione” dello
stesso dalla pena originariamente irrogata, atteso che – per costante e condiviso
indirizzo – si rende necessaria la nuova determinazione della sanzione per il reato
(già satellite), da parte del Giudice dell’esecuzione, là dove l’aumento computato
a titolo di continuazione non corrisponda – per genere, per specie o per quantità
di pena – alla sanzione prevista dalla legge, soltanto qualora, per effetto di

“abolitio criminis”, sia revocata la condanna per il reato più grave posto a
fondamento del vincolo della continuazione che venga così ad essere risolto
(Sez. 1, n. 18872 del 29/3/2007, Pasimeni, Rv. 237364). Ipotesi, quindi, diversa

3

15.493 euro.

da quella in esame, che concerne l’abolizione del reato satellite, non de1 0,2-

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paft-aftte, de quale deve esser quindi solo individuato il trattamento

sanzionatorio già fissato – ancorché non esplicitato – dal primo Giudice;
individuazione che il Tribunale di Teramo ha compiuto in modo congruo e non
censurabile, quantificando la pena in sei mesi di reclusione (oltre alla multa) in
ragione del numero dei prodotti contraffatti rinvenuti. E senza che possa trovare
applicazione il precedente giurisprudenziale citato nel ricorso (Sez. 1, n. 20981
del 26/3/2009, Pavalache, Rv. 246389), in forza del quale, in caso di reati-

della cognizione non abbia provveduto a stabilire la pena per ciascuno di essi, il
Giudice dell’esecuzione deve fare riferimento, in virtù del principio del favor rei,
alla pena minima edittale prevista per ogni singolo reato; tale principio, infatti,
trova all’evidenza applicazione nel caso in cui si debba determinare l’aumento di
pena per la continuazione (da individuare per l’appunto nel minimo edittale, in
assenza di indicazione in sede di merito), non anche allorquando il vincolo
medesimo debba essere sciolto.
7. E fermo restando, conclusivamente, che costituisce una mera illazione la
tesi di cui al ricorso in forza della quale – qualora avesse individuato in modo
corretto il reato più grave nell’art. 171-ter – il Giudice dell’esecuzione avrebbe
“invertito” i termini del suo calcolo ed applicato, quanto alla residua fattispecie di
cui all’art. 474 cod. pen., la pena di un mese di reclusione e 1.500,00 euro di
multa; la radicale “novazione” del rapporto tra le due fattispecie, infatti, non
avrebbe in alcun modo garantito una siffatta conclusione.
8. Il ricorso deve quindi esser rigettato, ed il ricorrente condannato al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2017

nsigliere estensore

Il Presidente

satellite uniti nel vincolo della continuazione a quello più grave, quando il Giudice

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