Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18838 del 19/01/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 18838 Anno 2018
Presidente: FIDELBO GIORGIO
Relatore: AGLIASTRO MIRELLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da

Quaranta Giuseppe, nato in Agrigento il 02/10/1968

avverso la ordinanza del 13/09/2017 del Tribunale per il riesame di
Catania;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Mirella Agliastro;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.ssa
Maria Francesca Loy, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito il difensore, avv. Giuseppe Barba, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento dei motivi di ricorso.

Data Udienza: 19/01/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 13/09/2017, il Tribunale di Catania, Sezione per il
Riesame – sull’appello proposto dal Procuratore della Repubblica avverso
l’ordinanza di rigetto del 24/05/2017 del giudice per le indagini preliminari, di
applicazione di misura custodiale per carenza di gravità indiziaria nei confronti di
Quaranta Giuseppe, per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/1990, contestato
al capo b) della rubrica – accoglieva parzialmente l’appello del Pubblico Ministero

predetto la misura cautelare degli arresti domiciliari.
2. Propone ricorso Quaranta Giuseppe, per il tramite del suo difensore di
fiducia, deducendo i seguenti motivi:
1) violazione della legge processuale (art. 606 comma 1 lett. c), in relazione
agli artt. 125, 292 comma 2 lett. c-bis cod. proc. pen.), ritenendo la motivazione
del Tribunale un mero rinvio alle argomentazioni contenute nell’atto di gravame
proposto dal Pubblico Ministero, senza tener conto dei rilievi difensivi;
2) erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione (art. 606
comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., in riferimento all’art. 74, commi 1, 2 e 3,
d.P.R. 309/1990 e art. 4 I. n. 146/2006) in ordine a generici elementi fondanti il
ruolo di compartecipe del ricorrente al sottogruppo operante nell’agrigentino
capeggiato da Fragapane Francesco rispetto al sodalizio operante sul versante
ragusano.
3) erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione (art. 606,
comma 1, lett. b) ed e) in riferimento all’art. 274, co. 1, lett. c) cod. proc. pen.)
in termini di illogicità, atteso che le condotte delittuose risalgono all’ottobre del
2013, mentre l’ordinanza restrittiva è stata emessa il 2 ottobre 2017. Difetta il
requisito di attualità ed il criterio di adeguatezza di cui all’art. 275 comma 1 cod.
proc. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è palesemente infondato e va dichiarato inammissibile.
2. L’ordinanza del Tribunale del riesame ha ricostruito il quadro storicocriminale delle consorterie coinvolte ed ha delineato l’esistenza di più gruppi
delinquenziali in rapporti illeciti tra di loro per immettere sul mercato siciliano
considerevoli quantitativi di droga pesante: in primo luogo quello capeggiato da
Errigo Concetto Giuseppe, al vertice di una compagine associativa operante a
Comiso e nella provincia del ragusano tra aprile 2013 e gennaio 2014; essa

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ed escludendo l’aggravante di cui all’art. 7 della legge n. 203/1991, applicava al

intratteneva rapporti stabili e continuativi con un gruppo calabrese operante
nella zona di Polìstena che serviva da canale di vendita di partite di cocaina da
introdurre nel territorio isolano. Veniva poi individuato un secondo canale di
approvvigionamento in territorio agrigentino facente capo a Fragapane Francesco
e a Quaranta Giuseppe che era il suo uomo di fiducia; le indagini hanno rivelato
che lo stupefacente importato dalla Calabria e dalla zona dell’agrigentino veniva
occultato in zone destinate alla custodia, quali immobili di campagna e l’ovile di
Errigo Concetto Giuseppe dove la droga veniva tagliata e confezionata. Un altro

ragusano.
Sullo sfondo di questo scenario, il ricorrente faceva parte del sottogruppo
dei fornitori operanti nell’agrigentino, sotto la guida di Fragapane Francesco, con
la partecipazione anche di altri soggetti tra cui Montalbano Salvatore che
riforniva periodicamente il gruppo di Comiso.
Di fronte al diniego del giudice per le indagini preliminari che aveva escluso
la gravità indiziaria a carico di Quaranta Giuseppe in ordine alla partecipazione al
contesto associativo, il Tribunale ha ineccepibilmente ritenuto persuasiva la
ricostruzione dell’accusa che aveva configurato una “comune condivisione di
interessi illeciti” tra il gruppo capeggiato da Errigo Francesco Giuseppe, operante
a Comiso ed il gruppo facente capo a Fragapane Francesco, che operava
nell’agrigentino e che fungeva da ulteriore canale di approvvigionamento e
smistamento della droga, avendo in comune luoghi di custodia e
confezionamento, modalità operative nella circolazione della droga, intento
comune del lucro e del profitto (anche alla stregua delle intercettazioni idonee a
dimostrare i rapporti esistenti tra i due gruppi e non oggetto di contestazione con
il ricorso odierno).
Il 17/10/2014 avveniva l’arresto di Fragapane Francesco (dopo una
settimana di latitanza), in esecuzione di pena definitiva per il reato di cui all’art.
416 bis cod. pen. e, a partire da quel momento è emersa in maniera inequivoca
e preminente, la figura di Quaranta Giuseppe, braccio destro del predetto
Fragapane, ancor più dopo la fine della breve latitanza.
L’attivismo di Quaranta si concretava nel chiedere incontri ed ottenere
appuntamenti, per esigere il saldo dei debiti inerenti precedenti forniture di
cocaina. Uno dei suoi privilegiati interlocutori era Battaglia Carmelo, uomo di
fiducia di Errigo Concetto Giuseppe, il quale, trovandosi in difficoltà nel saldare
precedenti debiti maturati con il Fragapane, aveva coinvolto il Quaranta in un
viaggio in Calabria presso i fornitori calabresi ai quali il Quaranta veniva

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gruppo di sodali era deputato alla commercializzazione della droga in territorio

presentato come

“uomo della famiglia Fragapane”

e quindi interlocutore

riconosciuto per trattare i comuni affari illeciti.
La Corte richiamava gli ulteriori contatti tra Battaglia e Quaranta: in data
10/10/2013, allorquando il Fragapane non era ancora stato catturato ma già
condannato, il Quaranta, tramite messaggio, comunicava al Battaglia che il
“fratello” e cioè Fragapane Francesco voleva incontrarlo, ribadendogli di venire
all’incontro “completo” e cioè con il denaro a saldo del debito, che sarebbe
servito per finanziare la latitanza del Fragapane.

Quaranta un viaggio da effettuare in Calabria previa un’impegnativa raccolta di
denaro a titolo di recupero crediti, nel quale si faceva riferimento a “quello di
Agrigento” da identificare nell’odierno ricorrente.
Alla stregua degli evidenziati elementi ed in accoglimento del ricorso del
Pubblico Ministero, il Tribunale ha applicato al ricorrente la misura degli arresti
domiciliari, rivestendo Quaranta Giuseppe la figura di elemento fiduciario e
rappresentativo di Fragapane Francesco sul territorio, soggetto legato da stabile
affectio societatis al gruppo di Comiso, con il quale interagiva nell’attività di
recupero crediti, fornitura di stupefacenti e partecipazione a trasferte in Calabria
per nuovi approvvigionamenti.
3. Quanto all’esame dei singoli motivi dedotti, va rilevato che con il primo
motivo, il ricorrente, del tutto genericamente deduce che il provvedimento
impugnato non apporta nessun elemento significativo più di quanto già espresso
dagli organi inquirenti nel corpo dell’atto di impugnazione proposto avverso
l’ordinanza genetica del gip. Si tratta di un’argomentazione sommaria e priva di
rilievi puntuali sulla struttura argonnentativa del provvedimento impugnato.
A riprova, invece, dell’autonomo incedere del ragionamento critico espresso
dal Tribunale, lo stesso Collegio del riesame dà atto di avere in precedenza
annullato l’ordinanza restrittiva del giudice per le indagini preliminari a carico del
Quaranta con riferimento alla ipotesi di reato di cui all’art. 73 d.P.R. 309/90 (pur
delineando già in seno alla detta ordinanza, un suo coinvolgimento nel contesto
associativo), in ragione “dell’impossibilità di attribuire a Quaranta le cessioni di
cocaina operate da Fra gapane a favore del gruppo di Comiso nel luglio del
2013”; ma già in quel provvedimento, il Tribunale metteva in luce la “rilevanza
associativa” del Quaranta nella specifica attività del recupero crediti svolta dallo
stesso per conto del Fragapane detenuto, ruolo definitivamente valorizzato nel
provvedimento applicativo della misura restrittiva per il reato di traffico di
stupefacenti, allorchè il ricorrente assurge a soggetto di riferimento
nell’agrigentino, addetto alla gestione dei rapporti con il sottogruppo dei

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Viene anche indicato un incontro in cui il Battaglia programmava con il

comisani, entrando anche in contatto con i rifornitori calabresi dai quali, tramite
l’intermediazione del Battaglia Carmelo, acquistava partite di cocaina. Poiché i
giudici di merito hanno adeguatamente e logicamente motivato sui passaggi
logici che hanno condotto al riconoscimento del ruolo associativo posto a carico
del ricorrente, il primo motivo deve essere disatteso.
4. Con il secondo motivo si lamenta l’assenza di un quadro indiziario idoneo
a ritenere fondata l’ipotesi dell’accusa a carico di Quaranta Giuseppe in relazione
all’art. 74 d.P.R. 309/90. Secondo l’assunto difensivo, non sarebbero stati

gruppi dediti al traffico di stupefacenti vi fosse un preordinato stabile e duraturo,
permanente e consapevole vincolo associativo. Per l’integrazione del reato
associativo si deve fare riferimento all’accordo tra sodali, alla struttura
organizzativa ed alla affectio societatis, che può ritenersi avvenuta solo se di
fatto si individuano elementi quali la durata dell’accordo criminoso, le modalità
dell’azione, la collaborazione tra i membri, il contenuto economico delle
transazioni e la rilevanza che il contraente abbia rivestito per l’organizzazione
criminale.
Al riguardo, vale rilevare che l’inserimento del ricorrente, quale sodale nel
gruppo di Agrigento come fornitore di cocaina a favore del gruppo di Comiso,
viene fondato sulla consapevolezza, da parte dello stesso, di operare in seno ad
un’organizzazione nella quale l’attività dei singoli, integrandosi, contribuisce alla
realizzazione del comune fine di lucro derivante dal traffico perseguito da
ciascuno anche con scopi, modalità e comportamentali diversi, ma convergenti.
Quanto alla sussistenza della

societas sceleris

finalizzata all’acquisto e

commercializzazione di stupefacenti, devesi osservare che la sentenza gravata
ha preso in analitico esame le risultanze istruttorie sopra richiamate, ha
ricostruito la struttura associativa, i rapporti tra le varie compagini e le
sintoniche modalità operative dei gruppi operativi per completare il ciclo che va
dall’approvvigionamento dello stupefacente alla custodia, alla
commercializzazione. Trattasi di motivazione compiuta ed esente dai
rappresentati vizi. Va chiarito che l’esistenza del sodalizio criminale finalizzato al
commercio di sostanze stupefacenti il più delle volte emerge alla luce di
un’accurata opera ricostruttiva, la quale, privilegiando in particolar modo gli
aspetti sintomatici, giunge ad affermare la sussistenza di uno stabile accordo
organizzato diretto alla commissione di un numero imprecisato di delitti.
L’associazione di cui all’art. 74, cit., figura speciale rispetto all’ipotesi base di
cui all’art. 416, cod. pen., si caratterizza per talune peculiarità, le quali non
mancano di avere rilevanti ricadute sul piano della configurabilità.

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acquisiti agli atti di indagine elementi idonei, diretti a sostenere che tra i due

Se nell’associazione a delinquere occorre verificare che il singolo delitto
commesso rientri fra quelli di scopo, tutti i delitti concernenti le sostanze
stupefacenti rientrano senz’altro nella finalità sociale del delitto associativo qui in
esame. Il procacciamento e commercio dello stupefacente necessita di una
predisposizione di mezzi non particolarmente significativa e di articolazioni più
snelle, che a fronte di una fidelizzazione, non escludono anche il perseguimento
d’interessi individuali (Sez. II, n. 16540 del 27/3/2013, Rv. 255491).
In contesti così delineati, l’elemento organizzativo assume un rilievo

30463 del 77/2011, Rv. 251011; Sez. I, n. 4967 del 22/12/2009, Rv. 246112;
Sez. VI, n. 25454 del 13/2/2009, Rv. 244520), la quale evidenzia, inoltre, la
superfluità di una articolata e complessa struttura gerarchica, l’osmosi che
consente di raggiungere il maggior risultato criminale, ponendo in vantaggiosa
relazione gli apporti intranei all’originario gruppo con quelli estranei degli
appartenenti ad altro gruppo, che il primo rifornisca non occasionalmente,
avendo piena consapevolezza di così contribuire alla realizzazione dello scopo
comune (trarre profitto dalla vendita di sostanze stupefacenti) – cfr. in tal senso,
Cass., Sez. II, n. 6261 del 23/1/2013, Rv. 254498; Sez. VI, n. 3509 del
10/1/2012, Rv. 251574 -. Ciò non toglie che “questa comunione d’intenti”
prescinda dalla eventuale costituzione di taluni dei sodali in autonomo gruppo
associato, muovendosi l’insieme come una sorta di alleanza criminale ramificata;
né occorre che vi sia la conoscenza reciproca fra tutti gli associati, essendo
sufficiente la consapevolezza e la volontà di partecipare, assieme ad almeno altre
due persone aventi la stesa consapevolezza e volontà, ad una società criminosa
finalizzata e strutturata secondo lo schema legale (Sez. VI n. 11733 del
16/2/2012, Rv. 252232; Sez. IV, n. 14067/014 ud. 17/12/2013, dep.
28/3/2014, n. mass.). Sostiene la giurisprudenza che, ai fini della configurabilità
del delitto di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, è
sufficiente l’esistenza tra i singoli partecipi di una durevole comunanza di scopo,
costituito dall’interesse ad immettere sostanza stupefacente sul mercato del
consumo, non essendo di ostacolo alla costituzione del rapporto associativo la
diversità degli scopi personali e degli utili che i singoli partecipi si propongono di
ottenere dallo svolgimento della complessiva attività criminale (Sez. 4,
sentenza n. 4497 del 16/12/2015 Rv. 265945, Sez. 4, sentenza n. 4497 del
16/12/2015 Rv. 265945).
5. Con il terzo motivo, si deduce che la motivazione della misura restrittiva
risulta solo apparente, e si censura l’illogicità della scelta degli arresti domiciliari
a carico del ricorrente in assenza di pericolo, concreto e attuale, di reiterazione

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secondario, essendo bastevole un’organizzazione minima (conforme Sez. I, n.

di condotte dello stesso genere di quello per cui si procede, in quanto le attività
illecite a questi ascritte, risalgono nel tempo, perché comprovate da operazioni di
intercettazione, svolte a partire dal luglio 2013 e fino a gennaio 2014, rispetto
all’applicazione della misura degli arresti domiciliari, intervenuta il 2 ottobre
2017.
Il Tribunale ha ritenuto di valenza recessiva il tempo trascorso dalla
commissione dei fatti, indicato dalla difesa come elemento idoneo ad escludere
l’attualità delle esigenze cautelari, ed ha valorizzato l’assenza di recesso dalla

commercializzazione di stupefacenti ed i collegamenti con altri singoli soggetti
e/o gruppi criminali, secondo un canone argomentativo in sintonia con la nuova
formulazione dell’art.274, comma 1, lett c), cod. proc. pen. dettata dalla legge
n.47 del 16/4/2015.
Il tempus commissi delicti è stato tenuto in conto dal Tribunale come
comprovato dall’ossequio al canone che le esigenze cautelari possono essere
soddisfatte, nei casi opportuni, anche con altre misure meno aspre (Sez. III, n.
27439 del 01/04/2014, Rv. 259723; Sez. III, n. 40672 del 27/04/2016, Rv.
267894), tanto da avere applicato, congruamente, la meno invasiva misura degli
arresti domiciliari, adottata “per la inadeguatezza di misure meno afflittive ad
interrompere i rapporti con il gruppo malavitoso di riferimento”.
Sul punto vale considerare che il giudizio cautelare, ontologicamente
probabilistico, non può ridursi all’accertamento di uno “stato”, ovvero alla verifica
della permanenza delle condizioni soggettive che caratterizzavano la persona
dell’accusato dal tempo della commissione del delitto a quello della applicazione
della cautela, ma deve necessariamente estendersi alla valutazione prognostica
circa la probabile ricaduta nel delitto. Tale giudizio non può che fondarsi sulle
emergenze disponibili tra le quali sono comprese, oltre alla personalità
dell’accusato, anche le concrete modalità del delitto per cui si procede, nonché le
sue oggettive condizioni di vita in assenza di cautele.
Pertanto si ritiene che il pericolo di reiterazione sia “concreto” ogni volta
che si dimostri l’esistenza di elementi reali, dai quali si possa dedurre la
probabilità di recidiva; sia “attuale” ogni volta in cui sia possibile una prognosi
effettiva in ordine alla ricaduta nel delitto, ovvero sia possibile valutare
l’esistenza di un pericolo di recidiva “prossime” all’epoca in cui viene applicata la
misura, seppur non “imminente”. Non si richiede, invece, che il giudizio sulla
attualità si estenda alla previsione di una “specifica occasione” per delinquere, la
cui previsione esula dalle facoltà del giudice della cautela (Sez. 2, sentenza
n.53645 del 8/9/2016, Rv. 268977).

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compagine delittuosa, il ruolo fiduciario ricoperto nella associazione per la

6. Nessuno dei motivi di ricorso, conclusivamente, è accoglibile. Segue, in
base al disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento e della somma di euro duemila in favore della
cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art.28 reg. esec.
cod. proc. pen.

Così deciso il 19.01.2018

spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle

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