Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18836 del 20/01/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 18836 Anno 2017
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: GAI EMANUELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
D’Amato Matteo, nato a Eboli il 06/08/1957

avverso la sentenza del 23/06/2016 della Corte d’appello di Salerno

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Emanuela Gai;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Lori
Perla, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 23 giugno 2016, la Corte d’appello di Salerno ha
confermato la sentenza del Tribunale di Salerno di condanna, alla pena di uno di
reclusione, di D’Amato Matteo per il reato di cui all’art. 10 d.lgs 10 marzo 2000,
n. 74, accertato in Eboli il 29/04/2008.

2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso per cassazione, D’Amato
Matteo, a mezzo del difensore, e ne ha chiesto l’annullamento deducendo con un
unico motivo di ricorso la violazione di legge e il vizio di motivazione.

Data Udienza: 20/01/2017

La Corte d’appello con motivazione apodittica avrebbe ritenuto sussistente la
condotta di «occultamento» in luogo di quella di «distruzione» della
documentazione contabile, senza spiegare le ragioni del convincimento ed
avrebbe, così, erroneamente ritenuto, sul presupposto del reato permanente
dell’occultamento, il reato non prescritto. Al contrario la semplice contestazione
alternativa del P.M. comporterebbe, in applicazione del principio del favor rei, di
considerare la condotta di distruzione, sicché il reato era prescritto. Inoltre
avrebbero i giudici erroneamente valutato la recidiva fondata su reati commessi

3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato
inammissibile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è inammissibile per genericità del motivi ai sensi degli artt
581 comma 1 lett. c) e 591 comma 1 lett. c) cod.proc.pen.
Il ricorrente non muove alcuna critica specifica alla sentenza impugnata
laddove, con argomentazione diffusa, ha ritenuto responsabile il D’Amato ger
cal’occultannento delle documentazione contabile (pag. 4 della sentenza del
Tribunale richiamata dalla Corte d’appello a pag. 3).
L’affermazione della responsabilità, oggetto di doppio accertamento
conforme, fonda la condotta di occultamento sulle seguenti circostanze: la sede
dell’impresa era presso la residenza della moglie separate del D’Amato, non
erano stati rivenuti i libri e le scritture contabili, l’impresa non risultava avere
depositato le dichiarazioni dei redditi e dell’Iva, era stata accertata l’emissione di
fatture, per gli anni 2000 e 2001. Sulla base dei questionari inviati ai clienti e
alle copie della fatture da questi prodotte, erano stati desunti i ricavi che
avevano consentito di determinare il volume degli affari. Dunque, «avendo
occultato la documentazione di cui era obbligatoria la conservazione, tra le cui le
fatture emesse negli anni 2000-2001» ricorreva il reato contestato di cui all’art.
10 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74.
A fronte di ciò, il ricorrente oppone una generica doglianza richiamando il
mero dato contenuto nella contestazione del Pubblico Ministero che
alternativamente contestava la distruzione e/o l’occultamento, ma omettendo di
confrontarsi con le conclusioni della sentenza che hanno affermato la
responsabilità del D’Amato per la condotta di occultamento.

2

4.

successivamente a quello contestato.

Questa Corte ha, poi, in più occasioni affermato che il delitto di
occultamento della documentazione contabile ha natura di reato permanente, in
quanto la condotta penalmente rilevante si protrae sino al momento
dell’accertamento fiscale, che coincide con il “dies a quo” da cui decorre il
termine di prescrizione (tra le altre, Sez. 3, n. 5974/13 del 05/12/2012, P.G. in
proc. Buonocore, Rv. 254425; Sez. 3, n. 3055/08 del 14/11/2007, Allocca, Rv.
238612), sicchè non era maturata la prescrizione del reato al momento della
pronuncia della sentenza. Tenuto conto della data dell’accertamento al 29 aprile
2008, il termine di prescrizione ai sensi dell’art. 157 e 161 cod.pen. maturava,

dieci e giorni 33, al 25 agosto 2016 e, dunque, in epoca successiva alla
pronuncia in grado di appello in data 23 giugno 2016.

5. Manifestamente infondato è anche il secondo profilo devoluto, non
avendo i giudici del merito considerato e valutato la recidiva ai fini della
prescrizione.
6. Va, infine, ricordato che, nella consolidata interpretazione di questa
Corte, un ricorso per cassazione inammissibile, per manifesta infondatezza dei
motivi o per altra ragione, “non consente il formarsi di un valido rapporto di
impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause
di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p.” (Sez. 2, n. 28848 del
08/05/2013, Ciaffoni, Rv. 256463, Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv
217266; Sez. 4, n. 18641 del 20/01/2004, Tricorni) cosicché è preclusa la
dichiarazione di prescrizione del reato maturato dopo la pronuncia della sentenza
in grado di appello ( da ultimo Sez. 5, n. 15599 del 19/11/2014, Zagarella, Rv.
263119).

7. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve
essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616
cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data
del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il
ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma,
determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

3

tenuto conto del periodo di sospensione del corso della prescrizione pari a mesi

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento di C 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 20/01/2017

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