Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18835 del 20/01/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 18835 Anno 2017
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: CERRONI CLAUDIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Barillari Antonio, nato a Catanzaro il 26/11/1975

avverso la sentenza del 17/03/2016 della Corte di Appello di Catanzaro

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Claudio Cerroni;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Perla
Lori, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio del provvedimento
impugnato

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 17 marzo 2016 la Corte di Appello di Catanzaro ha
confermato la sentenza del 21 maggio 2014 del Tribunale di Crotone, in forza
della quale Antonio Barillari era stato condannato alla pena di anni uno mesi otto
di reclusione ed alle sanzioni accessorie di legge, per il reato di cui all’art.

10-ter

d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74.
2. Avverso il predetto provvedimento il Barillari ha proposto ricorso per
cassazione, formulando un motivo di impugnazione.

Data Udienza: 20/01/2017

2.1. Col

proprio motivo il ricorrente ha lamentato mancanza,

contraddittorietà ed illogicità della motivazione. In proposito, fermo restando che
l’attività difensiva si era in primo luogo spesa per dimostrare che il Barillari
stesso non era il legale rappresentante della Impresa s.a.s. di Mauro Maria,
come si leggeva nell’originario capo d’imputazione poi rettificato, non risultava in
ogni caso provata l’affermata circostanza che il Barillari fosse il legale
rappresentante della s.a.s. In.Tra.Bu.. Tant’è che lo stesso teste escusso aveva
ammesso che non erano state compiute le ricerche camerali al riguardo, a nulla

3. Il Procuratore generale ha concluso per l’annullamento con rinvio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è inammissibile.
4.1. In linea generale, la violazione del principio di corrispondenza tra
l’imputazione e la sentenza è ravvisabile solo quando la modifica del fatto e della
sua qualificazione giuridica pregiudica le possibilità di difesa dell’imputato (Sez.
2, n. 34969 del 10/05/2013, Caterino e altri, Rv. 257782).
In specie, a fronte delle lamentele dell’odierno ricorrente circa il fatto che il
rinvio a giudizio gli contestava l’omesso versamento delle somme dovute a titolo
di imposta sul valore aggiunto nell’erronea qualità, inesistente in capo al
Barillari, di legale rappresentante della Impresa s.a.s. di Mauro Maria, la Corte
territoriale ha ampiamente dedotto in ordine all’insussistenza, in concreto, di
pregiudizio nell’esercizio del diritto di difesa, quantunque in effetti il capo
d’imputazione recasse l’indicazione della legale rappresentanza del Barillari
rispetto a detta società in accomandita e non alla s.a.s. In.Tra.Bu. di Barillari
Antonio e F.11i.
In proposito, infatti, ed al riguardo nulla l’odierno ricorrente ha inteso
dedurre in senso contrario, la Corte territoriale ha rilevato che la notificazione del
decreto di citazione a giudizio era stata preceduta dalla sottoscrizione di ben due
verbali di identificazione e di elezione di domicilio in cui era stata esplicitata
l’apertura di procedimento penale a suo carico per l’ipotesi di reato di cui al
presente giudizio, unitamente all’indicazione di Crotone come luogo del
commesso reato, nonché per l’evaso importo di euro 481.030,00. Oltre a ciò, la
Corte di Appello ha comunque sottolineato che a preciso invito dei finanzieri
l’odierno ricorrente ebbe ad esibire la documentazione relativa all’omesso
versamento unitamente alla dichiarazione dei redditi. Né può esservi dubbio che
tali dichiarazioni fiscali si riferissero proprio alla società di cui in effetti il Barillari
era legale rappresentante (tutto ciò a prescindere dai rilievi richiamati dalla
Corte, ma operati dal Tribunale di Crotone, che aveva osservato come “la ditta
9

rilevando la contumacia dell’odierno ricorrente nel giudizio di merito.

medesimk reca il nome dell’odierno imputato”, mentre il “testimone escusso”
aveva “espressamente specificato di aver accertato che il Barillari Antonio è il
legale rappresentante dell’ente”).
Parimenti, infine, non ha ricevuto risposta l’ulteriore osservazione della
Corte territoriale, secondo cui allora l’odierno ricorrente si sarebbe abusivamente
professato legale rappresentante, tanto nei riguardi degli inquirenti quanto nelle
dichiarazioni prodotte. L’assurdità di tale ipotesi rendeva quindi superfluo ogni
ulteriore accertamento in merito, in ordine alla qualità del ricorrente rispetto alla
società in accomandita In.Tra.Bu..

palesemente indenne dal denunciato vizio di motivazione.
5. Il motivo di censura appare così manifestamente infondato, e ne va
dichiarata l’inammissibilità.
Tenuto infine conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte
costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per
ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria
dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen.,
l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma,
in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma il 20/01/2017

Il Consigliere estensore
laudio Cerroni

Il Presidente
o Cavallo

Alla stregua di quanto precede, il provvedimento impugnato va ritenuto

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