Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18832 del 23/02/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 18832 Anno 2018
Presidente: FIDELBO GIORGIO
Relatore: BASSI ALESSANDRA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Muzi Franco, nato il 30/10/1928 a Montecosaro, costituito parte civile

avverso la sentenza dell’08/01/2015 della Corte d’appello di Ancona
pronunciata nei confronti di
Giampaoli Massimo, nato a 09/09/1963 a Recanati

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandra Bassi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Aniello
Roberto, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte d’appello di Ancona ha confermato
l’appellata sentenza con cui il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di
Macerata, all’esito del giudizio abbreviato, ha assolto Massimo Giampaoli (legale
rappresentante della Castignani s.r.I.) dal reato di abuso d’ufficio continuato
(capo a), commesso – quale extraneus – in concorso con Fernando Maria Angeli
(responsabile dell’UTC del Comune di Montecosaro), in relazione al rilascio delle
attestazioni di conformità per dieci mini condoni edilizi concernenti altrettanti

Data Udienza: 23/02/2018

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monolocali, con la formula perché il fatto non costituisce reato, nonchè dal reato
di falso ideologico continuato (capo b), commesso in concorso Mirco Vita
(progettista e tecnico incarico della D.I.A. per le opere di completamento degli
immobili oggetto dei dieci mini condoni di cui al capo precedente), con la formula
perché il fatto non sussiste.
1.1. Dopo avere dato conto delle ragioni della pronuncia assolutoria resa in
primo grado e dei motivi d’appello presentati dalla parte civile, il Collegio del
gravame ha evidenziato come l’avverbio “intenzionalmente”, previsto dall’art.

integrato soltanto qualora l’agente si rappresenti e voglia l’evento di vantaggio
patrimoniale, proprio o altrui, ovvero di danno altrui come conseguenza diretta
ed immediata della sua condotta; come la prova dell’intenzionalità del dolo non
sia ricavabile dal mero comportamento non iure dell’agente; come, d’altra parte,
l’esistenza di una collusione tra il privato ed il pubblico ufficiale non possa essere
tratta dalla mera coincidenza tra la richiesta dell’uno ed il provvedimento
adottato dall’altro.
1.2. Tracciate le coordinate teoriche in materia, con riguardo al reato di cui
al capo a), la Corte d’appello ha evidenziato come non vi sia prova dell’esistenza
di rapporti tra il pubblico ufficiale Angeli e l’imputato che riceveva il vantaggio
patrimoniale, né vi sono elementi per affermare con certezza che il tecnico abbia
rilasciato i provvedimenti con la piena consapevolezza ed al fine di procurare un
vantaggio alla società del Giampaoli. Ad ulteriore conforto, il Collegio del
gravame ha posto in luce come il dirigente dell’UTC — giudicato separatamente sia stato prosciolto dal medesimo reato, perché il fatto non costituisce reato, con
sentenza ormai passata in giudicato.
1.3. Quanto al reato sub capo b), il Giudice a quo ha rilevato che il reato di
falsità ideologica in certificati commessi da persona esercente un servizio di
pubblica necessità non è configurabile quando la rappresentazione, sia pure
incompleta, consenta di pervenire all’individuazione del fatto vero, come appunto
nel caso di specie, nel quale, nelle fotografie allegate alla D.I.A., era chiaramente
raffigurato il reale stato dei luoghi.

2. Nel ricorso proposto ai soli effetti civili (a mezzo del proprio difensore di
fiducia e procuratore speciale), la parte civile Franco Muzi chiede l’annullamento
del provvedimento lamentando la mancanza, l’illogicità e la contraddittorietà
della motivazione in relazione alla sussistenza di un giudicato giurisdizionale
amministrativo irrevocabile ed alla ritenuta insussistenza del dolo intenzionale.

323 cod. pen. per qualificare il dolo, presupponga che il reato possa ritenersi

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e deve, pertanto, essere disatteso.

2. Non coglie nel segno il primo motivo col quale il ricorrente denuncia il
vizio di motivazione per avere la Corte omesso di considerare che, in ordine alla
integrazione degli abusi edilizi,

risulta ormai

intervenuto il giudicato

amministrativo.

confrontarsi con il compendio argomentativo svolto dal giudice del gravame in
risposta (il che già di per sé riverbera nella inammissibilità del motivo; v. Sez. 6,
n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e altri, Rv. 243838), il ricorrente omette di
considerare come il giudizio liberatorio – pronunciato in primo ed in secondo
grado – poggi sulla ritenuta insussistenza, non dell’elemento oggettivo, bensì
dell’elemento soggettivo, di tal che – rispetto a tale profilo – si appalesa influente
che, all’esito del giudizio celebrato dinanzi al giudice amministrativo, sia stata
riconosciuta l’illegittimità delle pratiche di condono edilizio.

3. E’ destituita di fondamento anche la deduzione concernente l’elemento
soggettivo.
3.1. Come questa Corte ha avuto modo di chiarire, l’affermazione del dolo
intenzionale che qualifica la fattispecie dell’abuso d’ufficio non richiede la prova
diretta dell’accordo collusivo con la persona che si intende favorire, ben potendo
esso essere desunto anche da altri elementi quali, ad esempio, la macroscopica
illegittimità dell’atto (Sez. 6, n. 31594 del 19/04/2017, Pazzaglia, Rv. 270460).
La prova del dolo intenzionale dell’abuso d’ufficio può, invero, essere desunta
anche da una serie di indici fattuali, tra i quali assumono rilievo l’evidenza,
reiterazione e gravità delle violazioni, la competenza dell’agente, i rapporti fra
agente e soggetto favorito, l’intento di sanare le illegittimità con successive
violazioni di legge (Sez. 3, n. 35577 del 06/04/2016, Cella, Rv. 267633).
Principio di diritto condivisibile e perfettamente in linea con le regole nel
nostro sistema processuale in tema di valutazione della prova, che rimettono al
prudente apprezzamento del giudice il sindacato degli elementi conoscitivi
acquisiti al processo, consentendo espressamente – giusta previsione dell’art.
192, comma 2, cod. proc. pen. – che una circostanza di fatto possa essere
provata anche sulla base di indizi, a condizione che siano connotati da gravità,
precisione e concordanza.
3.2. Sotto diverso aspetto, va rammentare come il nostro processo penale
sia governato dal principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio”, codificato nella
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2.1. Oltre a riprodurre una deduzione già mossa in appello senza

norma di cui all’art. 533, comma 1, cod. proc. pen. che, su di una linea di
continuità con il disposto dell’art. 530, comma 2, stesso codice, impone il
giudizio liberatorio in tutti i casi in cui il materiale probatorio acquisito non
consenta di affermare la colpevolezza dell’imputato in termini di assoluta
certezza, cioè in tutti i casi in cui sussista un dubbio sulla responsabilità e non
possa essere superato. Nella valutazione degli elementi di prova, dunque, è lo
stretto collegamento fra la regola del “ragionevole dubbio” e il principio
costituzionale della presunzione di innocenza ad imporre al giudice la pronuncia

colpevolezza dell’imputato. Riprendendo una condivisibile massima, la condanna
presuppone la certezza della colpevolezza, mentre l’assoluzione non presuppone
la certezza dell’innocenza ma la mera non certezza della colpevolezza (Sez. 6, n.
40159 del 3/11/2011, Galante, Rv. 251066).
3.3. A tali coordinate ermeneutiche si conforma la decisione in verifica là
dove — ferma restando la possibilità di provare il dolo intenzionale del reato di
abuso d’ufficio anche sulla base di elementi indiziari -, i Giudici di merito hanno
congruamente argomentato come, nella specie, gli elementi acquisiti al processo
non consentano di ritenere dimostrato — neanche all’esito di una valutazione ai
sensi dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. – che, nel momento in cui rilasciava
i provvedimenti in sanatoria, l’Arch. Angeli avesse piena consapevolezza e fine
intenzionale ed esclusivo di procurare un vantaggio alla società di Giampaoli, non
essendovi prova certa che il tecnico sapesse che i dieci monolocali non fossero
stati effettivamente realizzati. A conferma dell’argomentazione, la Corte ha
convincentemente evidenziato un dato contrastante sul piano logico con la
dedotta intenzionalità, rimarcando che, se veramente avesse voluto favorire la
società del Giampaoli, Angeli non avrebbe evidenziato l’esistenza delle diverse
domande di condono, né chiesto alla società di chiarire quali interventi dovessero
essere oggetto di sanatoria (v. pagina 6 della sentenza impugnata). Sulla di tali
articolate e ragionate premesse in ordine all’esistenza di una situazione di
dubbio circa l’integrazione dell’elemento soggettivo, in ossequio al disposto
dell’art. 533, comma 1, cod. proc. pen., l’assoluzione costituiva esito necessitato
del processo.

4. In ultimo, non può, ad ogni modo, omettersi di porre in rilievo che – come
bene evidenziato dalla Corte territoriale – il concorrente pubblico ufficiale Angeli
è stato assolto con sentenza irrevocabile dal reato di abuso d’ufficio.
4.1. Si versa pertanto in una situazione nella quale la sentenza di
assoluzione del pubblico ufficiale Angeli, pronunciata per difetto dell’elemento
psicologico, e quella di condanna del Giampaoli – privato beneficiario per il
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di una sentenza assolutoria in tutti i casi in cui non vi sia luminosa evidenza della

medesimo delitto di abuso d’ufficio – non potrebbero non dare luogo a contrasto
fra giudicati, rilevante ai fini dell’ammissibilità del giudizio di revisione ai sensi
dell’art. 630, comma 1 lett. a), cod. proc. pen., atteso che nella nozione di “fatti
stabiliti a fondamento della sentenza” rientrano tutti gli elementi costitutivi della
fattispecie incriminatrice, ivi compreso il dolo intenzionale del pubblico ufficiale
(Sez. 4, n. 44790 del 13/05/2014, Rullo, Rv. 260628).
Contrasto fra giudicati che non potrebbe non risolversi a favore del
Giampaoli. Ed invero, il privato beneficiario dell’ingiusto vantaggio patrimoniale

reato che, per sua struttura (reato proprio), può essere commesso
esclusivamente dal pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni e la cui
partecipazione dolosa – in termini di coscienza e volontà di violare del dovere al
medesimo facente capo – è, pertanto, essenziale affinché ricorra la lesione del
bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice correlato all’imparzialità della
Pubblica Amministrazione nei confronti dei cittadini, intesa come salvaguardia dei
poteri pubblici dall’esercizio dei medesimi da parte dei pubblici ufficiali in spregio
al diritto di uguaglianza dei consociati.
Ne discende che il reato di abuso d’ufficio non può essere ravvisato a carico
del solo privato beneficiario qualora – come appunto nel caso in oggetto – il
concorrente intraneus sia stato mandato definitivamente assolto per mancanza
del dolo intenzionale.

5. Dal rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 23 febbraio 2018

Il consigliere estensore
Alessandra Bassi

Il Pre idente
Gior

delbo

scaturito dalla condotta abusiva risponde – quale concorrente esterno – di un

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