Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18821 del 28/11/2012


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 18821 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Piro Gianfranco, nato il 14.2.1962 a Rovereto, avverso la sentenza
pronunciata dalla corte di appello di Trieste il 13.12.2011;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Gabriele Mazzotta, che ha concluso per il rigetto del
ricorso.

Data Udienza: 28/11/2012

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza pronunciata il 13.12.2011 la corte di appello di
Trieste, in parziale riforma della sentenza con cui il tribunale di
Gorizia aveva condannato Piro Gianfranco, imputato dei reati di
cui agli art-t. 216, co. 1, n. 1) e 223, co. 1 (capo a) e 217, co. 1,
rappresentante della “Fingestioni – Divisione Arrredamenti Navali
a.r.I., alle pene, principale ed accessoria, ritenute di giustizia,
rideterminava il trattamento sanzionatorio in senso più favorevole
all’imputato, previo riconoscimento in suo favore della circostanza
attenuante di cui all’art. 219, ultimo comma, I. fall., ritenuta
prevalente sulla circostanza aggravante di cui all’art. 219, co. 2,
n. 1), I. fall., confermando nel resto la sentenza di primo grado.
Avverso la decisione della corte territoriale, di cui chiede
l’annullamento, ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato, a
mezzo del suo difensore, articolando un unico motivo di ricorso,
con cui viene dedotta la manifesta illogicità ovvero la
contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell’art. 606, co. 1,
lett. e), c.p.p.
Ad avviso del ricorrente non sussistono, nel caso in esame, gli
elementi costitutivi dei reati per i quali il Piro ha riportato
condanna, in quanto, con riferimento alla bancarotta fraudolenta
patrimoniale per distrazione della somma di 8602,30 euro,
importo pari al residuo di cassa al momento della dichiarazione di
fallimento della società da lui amministrata, va rilevato che
l’imputato vantava compensi per prestazioni lavorative effettuate,
in favore della società fallita, che devono intendersi compensati
(sia pure per difetto) con la percezione della somma innanzi

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n. 4) e 224, n. 1), r.d. 16 marzo 1942, n. 267, in qualità di legale

indicata; in relazione, invece, all’ipotesi di bancarotta semplice
rileva il ricorrente che non è stata fornita alcuna
prova circa l’esistenza di un aggravamento del dissesto per un
ritardo dal 2003 al 2005 nella richiesta di fallimento presentata

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso proposto nell’interesse di Piro Gianfranco è inammissibile
sotto un duplice motivo.
Ed invero va rilevato che è inammissibile, ai sensi del combinato
disposto degli artt. 581, co. 1 , lett. c), e 591, co. 1, lett. c), il
ricorso per Cessazione fondato, come nel caso in esame, su
motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute
infondate dai giudici del gravame, dovendosi gli stessi considerare
non specifici, ed anzi, meramente apparenti, in quanto non
assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza
oggetto di ricorso.
La mancanza di specificità del motivo, infatti, deve essere
apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza,
ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni
argomentate della decisione impugnata e quelle poste a
fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le
esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di
mancanza di specificità, conducente, a norma dell’art. 591, co. 1,
lett. c), c.p.p., all’inammissibilità (cfr. Cass., sez. IV, 18.9.1997 13.1.1998, n. 256, rv. 210157; Cass., sez. V, 27.1.2005 –

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dall’amministratore.

25.3.2005, n. 11933, rv. 231708; Cass., sez. V, 12.12.1996, n.
3608, p.m. in proc. Tizzani e altri, rv. 207389).
Nel caso in esame, con il ricorso per Cassazione il ricorrente,
come si evince dal testo della sentenza di secondo grado, ha
riproposto, anche da un punto di vista grafico, le stesse censure
in fatto, cui la corte territoriale ha fornito puntuale risposta (cfr,

Tali censure, inoltre, si risolvono in una ripetuta rilettura degli
elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata,
sulla base di diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei
fatti, preclusa in sede di giudizio di cassazione (cfr. Cass., sez. I,
16.11.2006, n. 42369, De Vita, rv. 235507; Cass., sez. VI,
3.10.2006, n. 36546, Bruzzese, rv. 235510; Cass., sez. III,
27.9.2006, n. 37006, Piras, rv. 235508).
Ed invero non può non rilevarsi come il controllo del giudice di
legittimità, pur dopo la novella dell’art. 606, c.p.p., ad opera della
I. n. 46 del 2006, si dispiega, pur a fronte di una pluralità di
deduzioni connesse a diversi atti del processo, e di una correlata
pluralità di motivi di ricorso, in una valutazione necessariamente
unitaria e globale, che attiene alla reale esistenza della
motivazione ed alla resistenza logica del ragionamento del
giudice di merito, essendo preclusa al giudice di legittimità la
rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione
o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione
e valutazione dei fatti (cfr. Cass., sez. VI, 26.4.2006, n. 22256,
Bosco, rv. 234148).
Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso proposto
nell’interesse di Piro Gianfranco va, dunque, dichiarato
inammissibile, con condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616,

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pp. 5 e 6; 7 ed 8 della sentenza impugnata).

c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento, nonché in
favore della cassa delle ammende di una somma a titolo di
sanzione pecuniaria, che appare equo fissare in euro 1000,00,
tenuto conto della evidente inammissibilità, alla luce degli
orientamenti da tempo affermatisi nella giurisprudenza di
legittimità, di tutte le questioni prospettate, circostanza facilmente

ritenersi immune da colpa nella determinazione delle evidenziate
ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del
13.6.2000).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro
1000,00 a favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 28.11.2012

verificabile dal difensore del ricorrente, che, quindi, non può

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