Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18820 del 14/11/2012


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 18820 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Losurdo Pietro, nato a Bari il 07/04/1963

avverso la sentenza della Corte di appello di Bari dell’11/10/2011

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Giuseppe Volpe, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della
sentenza impugnata, limitatamente alla quantificazione della pena;
udito per il ricorrente l’Avv. Monica Schipani, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso e l’annullamento della sentenza impugnata

RITENUTO IN FATTO

1. Con la pronuncia indicata in epigrafe, la Corte di appello di Bari riformava
parzialmente la sentenza emessa il 21/04/2010 dal G.u.p. del Tribunale della

Data Udienza: 14/11/2012

stessa città, in forza della quale Pietro Losurdo era stato condannato alla pena di
anni 10 di reclusione, all’esito di rito abbreviato, quale concorrente nell’omicidio
di Michele Bux, occorso in Bitonto il 12/05/1996; la Corte territoriale riduceva la
pena inflitta al Losurdo ad anni 8 di reclusione, nel contempo assolvendo per non
aver commesso il fatto l’ulteriore appellante Emanuele Sicolo, in primo grado
condannato ad anni 20.
Per quanto oggi di interesse, la Corte di appello riteneva fondata la doglianza
proposta dalla difesa del Losurdo in ordine al computo adottato dal giudice di
l’impugnazione non aveva comunque riguardato il presupposto tema della
declaratoria di penale responsabilità dell’imputato), in ciò muovendo dal rilievo
che il G.u.p. del Tribunale di Bari aveva riconosciuto in favore dello stesso
Losurdo sia le circostanze attenuanti generiche, equivalenti alla contestata
premeditazione, che la diminuente prevista dall’art. 8 d.l. n. 152 del 1991.
Tuttavia, quale pena base era stata indicata quella dell’ergastolo, in ragione
dell’anzidetta premeditazione, con successiva riduzione ad anni 15 per effetto
dell’attenuante speciale appena ricordata, e quindi ad anni 10 per la scelta del
rito: pena base che la Corte reputava erronea, atteso che all’ergastolo avrebbe
dovuto essere sostituita la reclusione non inferiore a 21 anni (né superiore a 24,
visti i limiti generali fissati dall’art. 23 cod. pen.) già in virtù del giudizio di
equivalenza delle attenuanti generiche rispetto all’aggravante

ex art. 577,

comma primo, n. 3 cod. pen.
Perciò, la successiva riduzione ai sensi del ricordato art. 8 dl. n. 152 – il cui
riconoscimento aveva comunque precluso di tenere conto dell’ulteriore
aggravante disciplinata dal precedente art. 7, anche se formalmente contestata avrebbe dovuto calcolarsi sulla pena così determinata, in misura compresa fra un
terzo e la metà, e non invece su quella dell’ergastolo; ad avviso dei giudici di
appello, pena base congrua doveva ritenersi quella di anni 24, mentre la
diminuzione per l’attenuante della dissociazione poteva indicarsi nella misura
massima, pervenendo così ad anni 12. Stante l’opzione per il rito abbreviato
esercitata dal Losurdo, con conseguente riduzione di un ulteriore terzo ex art.
442, comma 2, cod. proc. pen., il trattamento 1 sanzionatorio veniva quindi
rideterminato in anni 8 di reclusione.
La Corte territoriale non accoglieva invece il motivo di appello con cui erano
stati sollecitati un giudizio di prevalenza delle attenuanti di cui all’art. 62 bis cod.

pen. sulle aggravanti in rubrica, nonché una determinazione della pena nel
minimo edittale, richiamando la oggettiva gravità del fatto e la necessità di
formulare una valutazione negativa della personalità dell’imputato, in quanto
gravato da numerosi precedenti penali.

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prime cure per la determinazione del trattamento sanzionatorio (dando atto che

2. Propone ricorso per Cassazione, articolato in due motivi, il difensore del
Losurdo.
2.1 Con il primo, lamenta violazione degli artt. 63, comma terzo, e 69,
comma quarto, cod. pen., nonché dell’art. 8 d.l. n. 152 del 1991: sostiene infatti
la difesa che
– in base al suddetto art. 8, la pena dell’ergastolo astrattamente prevista per il
delitto contestato avrebbe dovuto essere immediatamente sostituita con quella
premeditazione non già all’esito di un giudizio di equivalenza rispetto alle
attenuanti generiche, bensì dinanzi alla doverosa applicazione della diminuente
prevista dalla legislazione speciale in tema di criminalità organizzata;
– a quel punto, individuata una pena base fra anni 12 ed anni 20 di reclusione,
avrebbe dovuto operarsi la riduzione ex art. 62-bis cod. pen., giacché malgrado l’apparente giudizio di equivalenza rispetto a circostanze di segno
contrario – non vi era più alcuna aggravante su CéSttuare un bilanciamento,
essendo venute meno sia quella di cui all’art. 7 del d.l. n. 152 (in virtù della
ravvisata dissociazione), sia quella della premeditazione (all’atto di determinare
la pena base);
– infine, sarebbe stata doverosa un’ulteriore riduzione di un terzo della pena
risultante, in virtù del rito speciale.
Nel ricorso vengono effettuati plurimi richiami alla giurisprudenza di
legittimità, in cui sarebbero già stati affermati principi in linea alle tesi sostenute
nell’interesse dell’imputato.
2.2 Con il secondo motivo, il difensore del Losurdo deduce carenza e
contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, nonché violazione
degli artt. 132 e 133 cod. pen., per non essere stato formulato un espresso
giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche ed in punto di
determinazione della pena base. Il ricorrente evidenzia che la Corte territoriale
si sarebbe limitata, per escludere il sollecitato giudizio di prevalenza, alla
apodittica menzione della negativa personalità dell’imputato, e dopo avere
ampiamente dato atto della rilevanza del contributo offerto dal Losurdo agli
inquirenti a seguito dell’intervenuta dissociazione, peraltro conseguente ad una
scelta spontanea.
3. Con atto depositato il 07/11/2012 nella Cancelleria di questa Corte, il
difensore dell’imputato ha presentato una memoria, sviluppando ulteriormente i
due motivi di ricorso. La difesa rileva in particolare che con la previsione della
circostanza ad effetto speciale di cui al più volte ricordato art. 8 il legislatore ha

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della reclusione da 12 a 20 anni, travolgendosi così l’aggravante della

manifestato il primario intento «di offrire un incentivo concreto e non meramente
eventuale al collaboratore di giustizia. Diversamente opinando, si giungerebbe
infatti alla conclusione che, a seguito del giudizio di bilanciamento, un soggetto
– cui pure è stata riconosciuta l’attenuante della collaborazione […] – potrebbe
vedersi dichiarare prevalenti le aggravanti, con conseguente condanna, in caso
di omicidio, all’ergastolo». Nella memoria vengono quindi ribaditi i riferimenti
agli arresti giurisprudenziali da cui sarebbe possibile ricavare i principi che si
invocano anche nel caso in esame.
di una valutazione positiva della personalità del Losurdo – che egli risulta l’unico
soggetto condannato in ordine all’omicidio del Bux (visti il decesso di un primo
coimputato, e l’assoluzione in appello del Sicolo), vicenda sulla quale il prevenuto
ammise le proprie responsabilità come concorrente morale ed in cui svolse
pertanto un ruolo da intendere marginale: tuttavia, se le dichiarazioni del
Losurdo non sono state ritenute sufficienti quanto alla chiamata in correità del
Sicolo, sarebbe stato allora ragionevole considerarle inattendibili anche quanto al
contenuto auto-accusatorio; ed in ogni caso, qualora debbano meritare credito in
punto di ammissioni di responsabilità, ne dovrebbe derivare un giudizio
assolutamente positivo della personalità del ricorrente, che fornì un contributo
decisivo alle indagini scegliendo di intraprendere un percorso di collaborazione
con la giustizia.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non può trovare accoglimento.
1.1 In ordine al computo della pena, va innanzi tutto ricordato che secondo il
costante orientamento della giurisprudenza di legittimità il riconoscimento
dell’attenuante di cui all’art. 8 d.l. n. 152 del 1991 ha come effetto l’elisione
automatica della circostanza aggravante di cui all’art. 7 del medesimo d.I.: il
principio viene espressamente affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella
sentenza n. 10713 del 25/02/2010 (ric. Contaido), su cui si dovrà tornare, ed è
stato ribadito anche per rilevare l’impossibilità di tenere conto di detta
aggravante, ai fini del calcolo dei termini di prescrizione, una volta riconosciuta
l’attenuante prevista dall’articolo successivo (v. Cass., Sez. I, n. 26826 del
05/05/2011, Greco).
Ciò posto, nella fattispecie concreta la Corte di appello si trovava dinanzi ad
una residua circostanza aggravante (quella della premeditazione) e a due
attenuanti (quella di cui al citato art. 8, nonché le generiche), con un giudizio di

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In ordine al secondo motivo, viene rappresentato – in vista della doverosità

bilanciamento che il G.u.p. del Tribunale di Bari aveva espresso in termini di
equivalenza, e che è necessario chiarire se debba riferirsi a tutte le circostanze in
effetti ravvisate. Questa Corte, in vero, aveva già da tempo sostenuto – con
una pronuncia richiamata anche dal ricorrente – che «la circostanza attenuante
ad effetto speciale prevista dall’art. 8 d.l. 13 maggio 1991 n. 152, convertito in

legge 12 luglio 1991 n. 203 – la quale comporta una diminuzione delle pene
temporanee da un terzo alla metà e la sostituzione dell’ergastolo con la pena
della reclusione da 12 a 20 anni in favore di chi, nei reati di tipo mafioso, si
anche aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella
raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti o per l’individuazione o
la cattura degli autori dei reati – non è soggetta al giudizio di comparazione delle
circostanze previsto dall’art. 69 cod. pen., stante l’obbligatorietà
dell’attenuazione delle sanzioni allorché ricorrano le condizioni per la sua
applicazione e tenuto conto dell’intento primario perseguito dal legislatore, che è
quello di offrire un incentivo concreto e non meramente eventuale alla
dissociazione operosa dalla criminalità organizzata» (Cass. Sez. I, Sentenza n.
43241 del 07/11/2001, Alfieri, Rv 220294): in seguito, non sono tuttavia
mancati contrasti interpretativi.
Nel 2006 si ritenne, andando di contrario avviso, che «la circostanza
attenuante speciale della dissociazione attuosa, prevista per i delitti di cui
all’articolo 416-bis cod. pen. e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni
previste dal predetto articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle
associazioni di tipo mafioso, soggiace, in assenza di un’espressa deroga di legge,
alla regola generale del giudizio di comparazione con altre circostanze» (Cass.,
Sez. II, n. 34193 del 12/07/2006, Cotugno, Rv 235419), mentre nel 2009
questa stessa Sezione tornò a ribadire che la circostanza de qua «non è soggetta
al giudizio di bilanciamento previsto dall’art. 69 cod. pen., in quanto il
legislatore, in caso di sua concessione, ha fatto ricorso, in deroga ad esso, a
speciali criteri di diminuzione della pena che impongono, per i delitti puniti con
l’ergastolo, la sostituzione di quest’ultimo con una pena detentiva temporanea
compresa tra i 12 e i 20 anni di reclusione» (Cass., Sez. V, n. 4977 del
08/10/2009, Finocchiaro, Rv 245582).
Il contrasto è stato superato nel 2010 dalla ricordata sentenza delle Sezioni
Unite, Contaldo, con il definitivo avallo della tesi dell’impossibilità di assoggettare
l’attenuante ex art. 8 al giudizio di bilanciamento tra circostanze: il principio è
riportato in una delle massime ufficiali della pronuncia (Rv 245929), ma è
oltremodo significativo prendere atto che la massima immediatamente seguente
(Rv 245930) esprime un principio ulteriore, di portata decisiva per valutare la

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adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori,

correttezza delle determinazioni adottate nel caso oggi in esame dalla Corte di
appello di Bari. Le Sezioni Unite hanno infatti già chiarito che «qualora sia
riconosciuta la circostanza attenuante ad effetto speciale della cosiddetta
“dissociazione attuosa” […] e ricorrano altre circostanze attenuanti in concorso
con circostanze aggravanti, soggette al giudizio di comparazione, va dapprima
determinata la pena effettuando tale giudizio e successivamente, sul risultato
che ne consegue, va applicata l’attenuante ad effetto speciale».
Ma questo, a ben vedere, è proprio quanto accaduto nel caso di specie: la
G.u.p., ha prima effettuato il giudizio di comparazione (confermando
l’equivalenza fra le sole circostanze su cui procedere al bilanciamento, vale a dire
le attenuanti generiche e l’aggravante della provocazione), ritornando così alla
pena edittale prevista dall’art. 575 cod. pen. e indicando la pena base in anni 24
di reclusione; in seconda battuta, ha applicato l’attenuante prevista dall’art. 8 del
d.l. n. 152, riducendo quella pena della metà; quindi, sottratto un ulteriore terzo
ai 12 anni conseguenti alla riduzione anzidetta, è pervenuta alla pena finale di
anni 8 di reclusione.
Il computo che ancora oggi la difesa sollecita (applicare prima l’attenuante
ad effetto speciale e solo dopo le circostanze residue, a quel punto con le
attenuanti ex art. 62-bis cod. pen. da non dover più bilanciare con alcunché)
sarebbe invece stato errato. Vero è che, secondo altre pronunce, «in tema di
reati di criminalità organizzata, qualora in presenza di circostanze aggravanti si
determina la pena sulla base della concessione dell’attenuante ad effetto speciale
prevista dall’art. 8 della legge n. 203 del 1991 (dissociazione attuosa), ciò
significa che si è stabilita la prevalenza di detta attenuante sulle aggravanti. Ne
deriva che l’eventuale concessione anche delle attenuanti generiche deve essere
effettuata con giudizio di prevalenza, calcolando la relativa riduzione» (Cass.,
Sez. II, n. 13928 del 29/11/2001, Barra, Rv 221933); tuttavia, si tratta di
principi oramai disattesi dall’intervento delle Sezioni Unite, ed ancora incentrati
sul non più condivisibile presupposto della necessità di ricomprendere anche
l’attenuante ex art. 8 nell’ambito del giudizio di comparazione.
La doverosa esclusione dell’attenuante in parola dal bilanciamento, peraltro,
esclude in radice la prospettiva che un imputato cui la medesima venga
riconosciuta possa comunque essere condannato all’ergastolo, come paventato
dalla difesa: nell’ipotesi che all’esito del giudizio di comparazione la pena base da
applicare debba appunto individuarsi in quella prevista dall’art. 22 cod. pen. (ad
esempio, in caso di ritenuta prevalenza delle circostanze aggravanti), dovrà pur
sempre trovare applicazione lo stesso art. 8, con la sostituzione
all’ergastolo, della pena della reclusione da 12 a 20 anni.

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ex lege,

Corte di appello, preso atto dell’obiettivo errore di computo in cui era incorso il

1.2 In ordine alla individuazione della pena base ed alla conferma del
giudizio di equivalenza, non possono parimenti condividersi le doglianze del
ricorrente.
L’omicidio del Bux, secondo la dinamica che ne caratterizzò l’elaborazione e
l’esecuzione, e considerando le finalità che attraverso il delitto si intendevano
perseguire, era certamente da considerare un reato di estrema gravità: né può
seriamente sostenersi che il presunto contributo del Losurdo alla realizzazione
dell’omicidio medesimo fu di secondario rilievo, atteso che – stando alle sue
stava collaborando con le forze di polizia e che perciò avrebbe dovuto essere
soppresso, quindi si sarebbe rivolto al capo dell’organizzazione criminale dal
quale era provenuta l’autorizzazione ad uccidere il Bux, ed anzi a fare il più
presto possibile (autorizzazione che il Losurdo aveva prontamente comunicato ai
primi due).
La presenza di plurimi e gravi precedenti legittimava altresì la Corte
territoriale – ai fini del giudizio di comparazione – ad una valutazione comunque
negativa della personalità del prevenuto, anche prescindendo dal percorso di
collaborazione già intrapreso: correttamente, infatti, del contributo offerto alle
indagini dal Losurdo risulta essersi tenuto conto operando nella misura massima
la riduzione per l’attenuante speciale più volte ricordata. Va peraltro
considerato che sono ancora le Sezioni Unite, nella già citata sentenza Contaldo
del 2010, a puntualizzare come le statuizioni relative al giudizio di comparazione
tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del
giudizio di merito, sfuggano al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di
mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente
motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione
dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza
della pena irrogata in concreto.
2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del Losurdo al pagamento delle
spese del presente giudizio di legittimità.

P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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stesse dichiarazioni – egli avrebbe raccolto da due sodali la confidenza che il Bux

Così deciso il 14/11/2012.

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