Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18815 del 25/01/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 18815 Anno 2018
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: ZAZA CARLO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
ALVARO CARMINE nato il 16/06/1953 a SINOPOLI
ALVARO DOMENICO nato il 25/08/1977 a PALMI
ALVARO GRAZIA nato il 14/02/1978 a TAURIANOVA
BARCA MARIA GIUSEPPA nato il 02/02/1955 a OPPIDO MAMERTINA
LABOZZETTA GIUSEPPA nato il 11/03/1958 a SINOPOLI
CUTRI’ ROCCO nato il 10/07/1947 a SINOPOLI

CUTRI MARIA CARMELA nato il 23/06/1930 a OPPIDO MAMERTINA

avverso il decreto del 16/06/2016 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA

Data Udienza: 25/01/2018

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Carlo Zaza;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Francesco Mauro Iacoviello, che ha concluso per la rimessione dei
ricorsi alle Sezioni Unite sulla definizione del concetto di «motivazione
apparente», e in subordine per l’annullamento con rinvio del provvedimento
impugnato, limitatamente alla confisca degli immobili intestati a Domenico Cutrì

RITENUTO IN FATTO

1. Carmine Alvaro, Domenico Alvaro, Grazia Alvaro, Giuseppina Barca,
Giuseppa Labozzetta, Rocco Cutrì e Maria Carmela Cutrì ricorrono avverso il
decreto del 16 giugno 2016 con il quale la Corte di Appello di Reggio Calabria
rigettava l’appello proposto avverso il decreto del Tribunale di Reggio Calabria
del 9 giugno 2011, dispositivo dell’aggravamento, per la durata di un anno, della
misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza applicata
nei confronti di Carmine Alvaro in quanto indiziato di appartenenza ad
un’associazione mafiosa, e della confisca di beni, anche intestati a terzi, ritenuti
allo stesso riconducibili.

2. I ricorrenti Carmine Alvaro, Domenico Alvaro, Grazia Alvaro quale erede
di Domenico Cutrì, Giuseppina Barca e Giuseppa Labozzetta deducono violazione
di legge sui presupposti dell’aggravamento della durata della misura di
prevenzione personale e dell’applicazione delle misure patrimoniali, lamentando
in particolare, per il primo aspetto, la mancanza di elementi per l’aggravamento
nell’ultima condanna del proposto per i reati di partecipazione ad associazione
per delinquere e riciclaggio, considerato che all’epoca in cui si svolgeva il giudizio
di primo grado del relativo procedimento l’Alvaro non aveva iniziato a subire
l’esecuzione della misura in quanto ristretto in carcere. Per il resto i ricorrenti
denunciano il carattere meramente apparente della motivazione del
provvedimento impugnato, osservando che i beni intestati a Italo Repaci e Guido
Repaci erano ritenuti nella disponibilità di Carmine Alvaro e della moglie
Giuseppa Labozzetta, in quanto estorti ai legittimi proprietari, in base ad
elementi privi di significatività, essendo altresì la pericolosità di Carmine Alvaro
insorta in epoca successiva all’inizio della gestione dei terreni da parte di
Giuseppe Alvaro; che la sottrazione con metodo mafioso dei beni intestati alla
famiglia Capua era ritenuta omettendo di indicare le modalità con le quali detto
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e Maria Carmela Cutrì, e per l’inammissibilità dei ricorsi nel resto;

metodo si sarebbe manifestato; che l’acquisto del terreno intestato a Domenico
Alvaro con denaro proveniente dai contributi comunitari erogati per la
coltivazione dei terreni intestati ai Repaci e ai Capua era ritenuta in base ad
un’intercettazione non dimostrativa di ciò ed all’illogica affermazione per la quale
Domenico Alvaro non avrebbe avuto disponibilità sufficienti per l’acquisto del
bene; che la disponibilità in capo a Carmine Alvaro dei beni intestati a Maria
Carmela Cutrì e Domenico Cutrì era ritenuta in base ad elementi dei quali il
ricorrente contesta singolarmente l’efficacia indiziante, lamentando l’omessa

sarebbe stata superata la dimostrazione documentale della capacità economica
degli intestatari, offerta dalla difesa; e che le somme accantonate nel deposito a
risparmio intestato a Nicola Alvaro e Giuseppa Labozzetta erano ritenute
illecitamente acquisite da Carmine Alvaro in mancanza di indagini sulla loro
provenienza e non considerando le regolari entrate di Nicola Alvaro.

3. I ricorrenti Rocco Cutrì e Maria Carmela Cutrì deducono violazione di
legge lamentando che la riconducibilità a Carmine Alvaro dei beni intestati a
Domenico Cutrì e Maria Carmela Cutrì era oggetto nel provvedimento impugnato
di una motivazione apparente, ravvisata in particolare dal ricorrente Rocco Cutrì
nel riferimento ad elementi privi di efficacia indiziante e nell’omessa valutazione
di elementi contrari anche con riguardo alla capacità economica degli intestatari.
La ricorrente Maria Carmela Cutrì denuncia l’apoditticità della ritenuta
insufficienza dei redditi della famiglia di Domenico Cutrì a fronte di quanto
documentato dalla difesa, l’illogicità della valutazione, a dimostrazione del
compimento di attività illecite da parte di Domenico Cutrì per conto di Carmine
Alvaro, di un’intercettazione ritenuta irrilevante nel procedimento di merito, e
l’omessa considerazione delle circostanze per le quali i beni venivano acquistati
in epoca precedente all’instaurazione dei procedimenti penali nei confronti del
proposto ed erano intestati a soggetti che non facevano parte del nucleo
familiare dello stesso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il motivo dedotto dal ricorrente Carmine Alvaro sui presupposti
dell’aggravamento della durata della misura di prevenzione personale è
inammissibile.
Posto che non è in discussione quanto osservato nel provvedimento
impugnato in ordine alla condanna dell’Alvaro, con sentenza del Giudice
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considerazione di circostanze di segno contrario e la superficialità con la quale

dell’udienza preliminare del Tribunale di Reggio Calabria del 7 aprile 2010 da
ultimo confermata dalla Corte di appello di Reggio Calabria in sede di rinvio dalla
cassazione con sentenza del 25 giugno 2015, per i reati di associazione di tipo
mafioso e riciclaggio e, in particolare, per aver capeggiato l’omonima famiglia
mafiosa, il ricorso è generico nel mero richiamo alla circostanza per la quale
all’epoca in cui si svolgeva il giudizio di primo grado del relativo procedimento il
proposto era ristretto in carcere, della quale non viene indicata la rilevanza a
fronte delle argomentazioni della Corte territoriale sulla significatività dell’ultima

della posizione dell’Alvaro, anche in considerazione del fatto che le condotte
risultavano commesse in un periodo di prolungata latitanza del predetto;
argomentazioni che non sono oggetto di specifiche censure del ricorrente.

2. I motivi dedotti da tutti i ricorrenti sui presupposti per l’applicazione delle
misure patrimoniali, che in quanto tali possono essere trattati congiuntamente,
sono anch’essi inammissibili.
2.1. Va in primo luogo rilevato che, dei ricorsi proposti dai terzi, quelli
relativi alle posizioni di Domenico Alvaro, Grazia Alvaro, Giuseppina Barca e
Giuseppe Labozzetta risultano presentati da difensori privi delle necessarie
procure speciali, la cui allegazione ai ricorsi è oggetto di una mera affermazione
dei ricorrenti a cui non corrisponde l’effettiva presenza di tali documenti agli atti.
Occorre altresì osservare che, quanto ai beni intestati a Domenico Cutrì e
Maria Carmela Cutrì, dei terzi ricorrenti i soli interessati a dolersi della confisca di
detti beni sono per l’appunto Maria Carmela Cutrì e Grazia Alvaro, quest’ultima
quale erede di Domenico Cutrì; che Grazia Alvaro, non essendo intestataria di
alcuno degli altri beni confiscati, non ha interesse a ricorrere con riguardo agli
stessi, e neppure siffatto interesse è ravvisabile per Giuseppina Barca, la quale
non risulta titolare di alcuno dei beni in discussione; e che Carmine Alvaro non
ha infine interesse ad impugnare, in quanto proposto, le disposizioni relative alla
confisca di beni intestati a terzi, nel momento in cui il predetto assume
l’insussistenza della fittizia intestazione e mira pertanto, con il ricorso, a far
valere l’effettiva ed esclusiva titolarità dei beni in capo ai terzi (Sez. 5, n. 8922
del 26/10/2015, dep. 2016, Poli, Rv. 266141; Sez. 6, n. 48274 del 01/12/2015,
Vicario, Rv. 265767; Sez. 2, n. 17935 del 10/04/2014, Tassone, Rv. 259259).
2.2. Anche a voler prescindere dalle considerazioni appena svolte, i ricorsi
sono comunque manifestamente infondati ove deducono il carattere meramente
apparente della motivazione del provvedimento impugnato, che in quanto tale
darebbe luogo al vizio di violazione di legge per il quale solo è consentito il
ricorso per cassazione in materia.

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condanna, in quanto sopravvenuta ad altra precedente, ai fini dell’aggravamento

La nozione di apparenza della motivazione è stata definita dalla consolidata
giurisprudenza di legittimità in termini la cui chiarezza e univocità rendono
insussistenti i presupposti per la rimessione della questione alle Sezioni Unite di
questa Suprema Corte, richiesta in via principale dal Procuratore generale. E’
apparente, secondo tali principi, la motivazione completamente avulsa dalle
risultanze processuali ovvero articolata in argomentazioni generiche, asserzioni
apodittiche o proposizioni prive di efficacia dimostrativa, tali da rendere fittizio, e
quindi sostanzialmente inesistente, il ragionamento espresso dal giudice a

Vassallo, Rv. 263100; Sez. 5, n. 24862 del 19/05/2010, Mastrogiovanni, Rv.
247682).
Queste condizioni non sono all’evidenza ravvisabili nell’ordinanza impugnata,
con la quale si osservava, quanto ai fondi agricoli intestati a Guido Repaci e Italo
Repaci, che Giuseppa Labozzetta, moglie di Carmine Alvaro, aveva
ininterrottamente percepito contributi comunitari relativi ai terreni, senza alcun
titolo per quelli intestati a Italo Repaci e, per quelli intestati a Guido Repaci, in
base ad una scrittura privata di affitto risalente al 2004 e riportante un
corrispettivo esiguo, sproporzionato e del quale non risultava peraltro il
pagamento, essendosi d’altra parte la Labozzetta dichiarata proprietaria di altri
fondi formalmente intestati ai Repaci e confiscati in un diverso procedimento a
carico di Giuseppe Alvaro, fratello di Carmine Alvaro, in quanto estorti ai legittimi
titolari; quanto ai fondi agricoli intestati ai Capua, che per gli stessi Carmine
Alvaro e la Labozzetta non si munivano neppure di un titolo formale, risultando
da altro procedimento che Giuseppe Alvaro si era appropriato con modalità
intimidatorie di ulteriori terreni dei Capua; quanto al terreno acquistato in Roma
da Domenico Alvaro, figlio di Carmine Alvaro, che in una conversazione
intercettata il 23 febbraio 2007 Domenico Alvaro parlava con lo zio Giuseppe
Alvaro dell’acquisto di quel terreno con le integrazioni dei contributi relativi ai
fondi agricoli, esprimendosi al plurale in termini indicativi della riferibilità
dell’acquisto alla famiglia nella quale all’epoca ancora conviveva, e che peraltro il
reddito dichiarato da Domenico Alvaro nell’anno precedente era inferiore al
prezzo di acquisto del terreno; e, quanto alle somme accantonate sul deposito a
risparmio intestato a Nicola Alvaro e Giuseppe Labozzetta, che la loro
provenienza dalla pensione di Carmine Alvaro era oggetto di un’indimostrata
allegazione difensiva. Su questi aspetti, i ricorrenti propongono censure
meramente motivazionali e comunque di merito, e per altro verso lamentano la
mancata valutazione di rilievi difensivi viceversa esaminati e motivatamente
disattesi dalla Corte territoriale, ove la stessa sottolineava, con riguardo in
particolare alla conversazione intercettata fra Domenico Alvaro e Giuseppe
5

sostegno della decisione adottata (Sez. 5, n. 9677 del 14/07/2014, dep. 2015,

Alvaro sull’acquisto del terreno in Roma, che quanto segnalato dalla difesa sul
riferimento dell’ultima parte della conversazione all’intenzione di utilizzare il
denaro proveniente dai contributi per il matrimonio della sorella Grazia atteneva
ad una circostanza marginale nel complesso del colloquio, ed evidenziava per
altro profilo che la riconducibilità al proposto dei fondi agricoli intestati ai Repaci
era ritenuta principalmente in base all’ingiustificata percezione dei contributi
relativi a detti fondi da parte della Labozzetta, essendo mero elemento di
contorno la circostanza dell’estorsione di altri fondi dei Repaci.

motivazione del provvedimento impugnato con riguardo ai terreni acquistati in
Roma nel 1993 da Domenico Cutrì, divenuto genero di Carmine Alvaro nel 1997
e deceduto del 1999, e da Maria Carmela Cutrì, nonna di Domenico Cutrì, la cui
appartenenza di fatto a Carmine Alvaro era invece analiticamente argomentata
in base ad una pluralità di elementi indizianti; segnatamente, la già citata
conversazione intercettata nella quale Domenico Alvaro diceva che «si erano
comprati la terra a Roma», l’ulteriore conversazione del 9 gennaio 1997, in cui
Stefano Alvaro indicava Domenico Cutrì quale soggetto a cui in beni dovevano
essere fittiziamente intestati, e l’illogicità dell’acquisto da parte di Domenico
Cutrì, ventenne residente in Sinopoli e privo di redditi propri, di un terreno sito
in Roma, ove egli non aveva interessi viceversa esistenti in capo alla famiglia
dell’Alvaro. Anche in questo caso, i ricorrenti deducono profili motivazionali e di
merito, e lamentano la mancata valutazione di argomenti difensivi invece
esaminati dalla Corte di appello. In particolare, quanto osservato dalla difesa
sulla distanza temporale di quattro anni fra la conversazione intercettata il 9
gennaio 1997 e l’acquisto dei terreni, e sulla ritenuta insufficienza probatoria di
detta conversazione nel procedimento di merito a carico del Cutrì, trovava
risposta nella diversa prospettiva del procedimento di prevenzione, in cui la
conversazione evidenziava una situazione attuale, e nel riferimento del
provvedimento impugnato ai rapporti di frequentazione di Domenico Cutrì con
Carmine Alvaro ed ai controlli di polizia che nel 1993 avevano rilevato in almeno
sei occasioni la compresenza dei predetti negli stessi luoghi. La tesi difensiva
dell’acquisto dei terreni con disponibilità provenienti dai redditi dei genitori Rocco
Cutrì e Maria Giuseppina Barca e della nonna Maria Grazia Cutrì era disattesa in
quanto fondata su allegazioni inidonee, in considerazione dell’adeguatezza dei
redditi stipendiali di Rocco Cutrì al mero mantenimento di una famiglia di quattro
persone, alla destinazione ad altre finalità dei contributi per le coltivazioni
agricole ed alla risalenza dei redditi della nonna, derivanti dalla locazione di un
immobile, a diversi anni prima dell’acquisto dei terreni. Ed anche la consulenza
della difesa, che contestava il valore di euro 1.980.000 attribuito dagli
6

Altrettanto manifestamente infondata è la censura di apparenza della

amministratori

giudiziari

al

fabbricato

realizzato

su

uno

dei

terreni

quantificandone i costi di realizzazione in euro 178.000 circa, era valutata come
infondata per l’inspiegabile dimensione della differenza fra i due importi, e in
ogni caso come irrilevante nel momento in cui anche i costi indicati dalla difesa
risultavano eccessivi rispetto alle disponibilità dei formali intestatari dei beni.
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei
ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della
Cassa delle Ammende che, valutata l’entità della vicenda processuale, appare

P. Q. M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 2000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 25/01/2018

equo determinare in euro 2000.

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