Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18808 del 15/02/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 18808 Anno 2018
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: CALASELICE BARBARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

CHIARELLO MARIO nato a Palermo il 25/12/1960

avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo del 15/05/2017

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Barbara Calaselice;
udito il pubblico ministero nella persona del Sostituto Procuratore generale
Giovanni Di Leo, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore, avv.to Alessandro Martorana, in sostituzione del difensore di
fiducia, avv. Giuseppe Gennaro, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del
ricorso.

Data Udienza: 15/02/2018

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Palermo in riforma della sentenza del 4 luglio 2014
del Tribunale di Termini Imerese, ha concesso le attenuanti generiche a Mario
Chiariello e lo ha condannato, per il reato di cui agli artt. 110, 610 cod. pen., alla
pena di giorni venti di reclusione, revocando le statuizioni civilistiche adottate,

2. Avverso l’indicata sentenza ha proposto tempestivo ricorso per cassazione
l’imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo i vizi di seguito indicati.
2.1. Con il primo motivo si denuncia vizio di motivazione, per aver fondato
la condanna sulle dichiarazioni della parte lesa e della figlia del suo compagno, in
assenza di adeguata motivazione sull’attendibilità del dichiarante ed in assenza
di riscontri.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 530, comma 2,
cod. proc. pen., nonché la contraddittorietà della motivazione che non considera
le dichiarazioni dei testi D’Angelo Giovanna e Giglio Giovanna, le quali
sconfessano gli altri testi esaminati, nonché la parte lesa, mentre corroborano la
versione difensiva dell’imputato.
2.3. Con il terzo motivo si denuncia violazione dell’art. 610 cod. pen. posto
che, nella specie, manca il presupposto della violenza privata, tenuto conto che
la persona offesa non aveva mai avuto il possesso delle chiavi del cancello e,
quindi, si è trattato di mera condotta omissiva, cioè quella della mancata
consegna delle chiavi, che peraltro non aveva impedito l’accesso ai luoghi,
tenuto conto che vi era, comunque, un cancelletto che permetteva alla persona
l’accesso tramite varco pedonale.
2.4. Si denuncia, inoltre, violazione di legge quanto alla sussistenza del
delitto tentato, tenuto conto che l’evento non si è verificato posto che, pur
essendo l’azione idonea a limitare la libertà del soggetto, non è stata adottata
dal soggetto passivo la condotta cui la violenza o minaccia era indirizzata.
2.5. Infine si contesta la violazione dell’art. 133 cod. pen., tenuto conto che,
pur avendo concesso le generiche, la Corte territoriale non ha irrogato il minimo
edittale nonostante specifica doglianza devoluta con i motivi di appello, rimasta
priva di motivazione.

3. Il Sostituto procuratore generale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità
del ricorso.

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confermando nel resto la pronuncia.

CONSIDERAZIONI IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

2. Il primo ed in secondo motivo denunciano, in modo del tutto generico, il
vizio di motivazione ed investono l’attendibilità della persona offesa attraverso la
deduzione della violazione dell’art. 192 cod. proc. pen.

Corte regolatrice secondo il quale, in tema di valutazione della prova
dichiarativa, l’attendibilità della persona offesa dal reato è questione di fatto, che
ha la sua chiave di lettura nell’insieme di una motivazione logica, che non può
essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in
manifeste contraddizioni (Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota e altro,
Rv. 262575) che non si rinvengono nella specie.
Infatti le dichiarazioni della parte lesa sono state reputate dalla Corte
territoriale, conformi alla deposizione di due testi Glaviano e Vita, tra loro del
tutto convergenti, ridimensionando peraltro, con un ragionamento logico ed
immune da censure rilevabili in questa sede, le dichiarazioni di Giovanna Giglio,
moglie del coimputato D’Aingelo, la quale aveva effettivamente esposto che la
parte lesa non era in possesso delle chiavi del cancello, ma soltanto per quanto
fosse a sua conoscenza, quindi riportando la circostanza non in termini di
certezza. La Corte territoriale, dunque, ha correttamente motivato circa la critica
mossa con il gravame sul punto, offrendo una motivazione non censurabile in
questa sede sotto il profilo prospettato con il secondo motivo di ricorso. Peraltro
si osserva che questa critica è del tutto sovrapponibile al motivo di gravame, né
si confronta in modo specifico con la motivazione offerta dalla Corte territoriale.
2.1. Con riferimento al terzo motivo questa Corte osserva che è noto
l’orientamento ermeneutico anche più recente, senz’altro condivisibile, che
considera sufficiente, ai fini di integrare il delitto di violenza privata, non una
minaccia verbale o esplicita, ma qualsiasi comportamento, sia verso il soggetto
passivo, sia verso altri, idoneo ad incutere timore ed a suscitare la
preoccupazione di subire un danno ingiusto, finalizzato ad ottenere che,
mediante tale intimidazione, il soggetto passivo sia indotto a fare, tollerare od
omettere qualcosa (Sez. 5, n. 29261 del 24/02/2017, S., Rv. 270869). E’ stato,
infatti, osservato che il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo
idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di

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Va in merito richiamato l’orientamento ermeneutico formatosi in seno alla

azione, ben potendo trattarsi di violenza fisica, propria, che si esplica
direttamente nei confronti della vittima o di violenza impropria che si attua
attraverso l’uso di mezzi anomali, diretti ad esercitare pressioni sulla volontà
altrui impedendone la libera determinazione (Sez. 5, Sentenza n. 4284 del
29/09/2015, dep. 2016, G., Rv. 266020; Sez. 5, n. 11907 del 22/01/2010,
Cavaleri, Rv. 246551, che ha ritenuto integrare violenza privata la sostituzione
della serratura della porta di accesso di un vano-caldaia, con mancata consegna
delle chiavi al condomino e inibizione dell’esercizio del diritto di servitù gravante

Né può aderirsi alla critica mossa con l’impugnazione, secondo la quale il
mancato passaggio dell’auto non ha impedito alla persona offesa di entrare,
tenuto conto che vi è passaggio pedonale, comunque fruibile, non inibito dalla
condotta dell’imputato. E’ stato infatti sostenuto da questa Corte di legittimità,
con un ragionamento che deve essere condiviso, che integra il delitto di violenza
privata anche il comportamento di chi costringa il soggetto passivo ad una
condotta diversa da quella programmata (nella specie attraverso la guida del
proprio veicolo, compiendo deliberatamente manovre tali da interferire
significativamente nella guida di altro utente della strada, oppure superando la
persona offesa, per poi sbarrarle la strada ed impedirle di andare nella direzione
desiderata, o ancora parcheggiando l’auto in maniera da ostruire l’ingresso al
garage condominiale e rifiutandosi di rimuoverla nonostante la richiesta della
persona offesa: Sez. 5, n. 33253 dei 09/03/2015, Caltabiano, Rv. 264549; Sez.
6, n. 21197 del 12/02/2013, Domenici, Rv. 256547; Sez. 5, n. 603 del
18/11/2011, dep. 2012, Lombardo, Rv. 252668),
2.2. Quanto alla dedotta violazione di legge circa la configurabilità, nella
specie, del tentativo, si osserva che tale vizio non risulta devoluto con i motivi di
gravame. In ogni caso si osserva che non può condividersi il ragionamento
difensivo, che fonda sull’esistenza di un cancelletto pedonale che avrebbe, in
ogni caso, consentito l’accesso ai luoghi, tenuto conto che il comportamento
programmato dalla parte lesa, inibito mediante il comportamento idoneo a
limitare la libertà della parte lesa, (il cambio di lucchetto), era quello di transitare
con la propria l’autovettura, non a piedi.
2.3. Infine la contestata violazione dell’art. 133 cod. pen. va reputata
infondata. La Corte territoriale ha ridotto la pena irrogata in primo grado,
concedendo le generiche, irrogando la sanzione di giorni venti di reclusione, non
molto distante, dunque, dal minimo edittale, con un ragionamento che seppure
stringato, risponde ai canoni ermeneutici dettati da questa Corte di legittimità. Il

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sul locale).

motivo proposto è inammissibile perché generico ed attinente a censure sul
merito della valutazione in ordine alla entità della pena, nonostante l’espressa
giustificazione della scelta dell’entità della sanzione da parte della Corte
territoriale.

PQM

processuali.
Così deciso il 15/02/2018

Il Presidente

Il Cons

Maurizio Fumo

Barba Calase ice

Depositato in Cancelleria
Roma, lì

O

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

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