Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18803 del 15/02/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 18803 Anno 2018
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: SCARLINI ENRICO VITTORIO STANISLAO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
dalla parte civile BUSCIALA’ ROBERTO DARIO nato il 21/08/1964 a
ALESSANDRIA
nel procedimento a carico di:
GRASSO COSTANTINO nato il 22/03/1968 a ALESSANDRIA

avverso la sentenza del 06/12/2016 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ENRICO VITTORIO SCARLINI
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIOVANNI DI
LEO, ha concluso per l’annullamento senza rinvio con trasmissione atti alla Corte
di Appello civile.
Uditi i difensori:
per la parte civile ricorrente, l’avvocato LUIGI MATTEO del Foro di Roma, il quale
si riporta al ricorso;
per l’imputato Grasso Costantino, avv. MONICA BATTAGLIA del Foro di Roma,
che chiede l’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 15/02/2018

RITENUTO IN FATTO

1 – Con sentenza del 6 dicembre 2016, la Corte di appello di Torino, in
riforma della sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale di Alessandria,
assolveva Costantino Grasso dalle imputazioni ascrittegli ai sensi dell’art. 485
cod. pen. perché il fatto non era più previsto dalla legge come reato e, così,
revocava le statuizioni civili già disposte a favore di Roberto Buscialà.
Al Grasso era stato contestato, ai sensi dell’art. 483 cod. pen., di avere

(denominati F 24), di essere stato autorizzato dal Buscialà a portare in
compensazione dei crediti fiscali da questi vantati, a titolo di IVA, con i propri
debiti fiscali per imposte non versate, nell’anno 2004 per euro 6.873,00 (il
modello F 24 era del 28 febbraio 2007) e, nell’anno 2005, per euro 7.426,88
(modello F 24 del 22 maggio 2008).
Il primo giudice aveva ritenuto corretta la qualificazione della condotta,
aveva prosciolto l’imputato per il modello presentato nel 2007, per l’intervenuta
prescrizione del reato, e l’aveva ritenuto responsabile per il fatto compiuto nel
2008.
La Corte territoriale, come si è detto, aveva riqualificato il fatto, del 2008,
come falso in scrittura privata e, in considerazione dell’intervenuta
depenalizzazione della condotta, aveva assolto il Grasso.
2 – Propone ricorso la parte civile Roberto Dario Buscialà, a mezzo del
proprio difensore, deducendo, con l’unico motivo, la violazione di legge in ordine
all’errata qualificazione giuridica della condotta.
Non vi era innanzitutto dubbio che il modello F24 fosse stato compilato
dall’imputato e che egli stesso avesse attestato, falsamente, di essere stato
autorizzato dal ricorrente a portare in compensazione dei suoi debiti i crediti del
medesimo.
Che poi il modello F24 costituisca un atto di fede privilegiata, trattandosi di
atto che attesta il pagamento avvenuto alla presenza del dipendente della banca
delegata adempiendo così l’obbligazione tributaria con efficacia liberatoria, è
opinione costante della Suprema Corte (da ultimo Cass. sez. 5 nn. 18488/2016 e
50569/2013). Ne discende che l’attestazione dell’imputato era destinata ad
essere trasfusa in un atto pubblico così che il relativo falso ideologico era
punibile ai sensi dell’art. 483 cod. pen., come, in origine, correttamente
contestato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1

falsamente attestato, in due modelli di pagamento unificato delle imposte

Il ricorso promosso nell’interesse della parte civile Roberto Dario Buscialà è
fondato.
1 – L’ormai prevalente orientamento di questa Corte è nel senso che i
modelli F 24, di versamento di somme a titolo di imposta presso gli sportelli delle
banche delegate a tale incasso, costituiscano degli atti pubblici.
Così affermano le pronunce Sez. 5, n. 50569 del 10/10/2013, Merola, Rv.
258036; Sez. 6, n. 15571 del 01/03/2011, Malisan, Rv. 250035; Sez. 5, n. 2569
del 24/11/2003, Canese, Rv. 227779; Sez. 5, n. 5584 del 10/11/1999, Cerretti,

Il motivo di tale conclusione risiede nella constatazione che il modello F 24,
compilato dal privato e completato dagli addetti agli istituti di credito delegati per
la riscossione delle imposte, funge, per la normativa di settore, da attestazione
del pagamento delle stesse, avvenuto alla presenza del dipendente della banca
delegata, e costituisce la prova documentale dell’adempimento dell’obbligazione
tributaria, con efficacia pienamente liberatoria del contribuente.
Difatti, l’art. 19 d. Igs. 9 luglio 1997, n. 241, che disciplina le modalità di
versamento delle imposte mediante delega, regolando i rapporti fra gli istituti di
credito delegati e l’Amministrazione finanziaria (come ricorda la pronuncia delle
Sezioni unite civili, n. 9567 del 05/05/2014, Agenzia Entrate contro Banca
Sviluppo Cooperazione Credito Spa, Rv. 630875 – 01), così recita, ai primi tre
commi, tuttora vigenti:
1. I versamenti delle imposte, dei contributi, dei premi previdenziali ed
assistenziali e delle altre somme, al netto della compensazione, sono eseguiti
mediante delega irrevocabile ad una banca convenzionata ai sensi del comma 5.
2. La banca rilascia al contribuente un’attestazione conforme al modello
approvato con decreto del Ministro delle finanze, recante l’indicazione dei dati
identificativi del soggetto che effettua il versamento, la data, la causale e gli
importi dell’ordine di pagamento, nonchè l’impegno ad effettuare il pagamento
agli enti destinatari per conto del delegante. L’attestazione deve recare altresì
l’indicazione dei crediti per i quali il contribuente si è avvalso della facoltà di
compensazione.
3. La delega deve essere conferita dal contribuente anche nell’ipotesi in cui
le somme dovute risultano totalmente compensate ai sensi dell’articolo 17. La
parte di credito che non ha trovato capienza nella compensazione è utilizzata in
occasione del primo versamento successivo.”.
Da tale disciplina si deduce che l’Amministrazione finanziaria delega agli
istituti bancari l’incasso delle somme dovute a titolo di imposta, attribuendo così
alle medesime, ed ai dipendenti che per esse operano e che materialmente
eseguono l’operazione, i medesimi poteri attestativi che hanno i propri
2

Rv. 216110.

dipendenti, così che l’atto di versamento e di ricevuta rilasciato assume la
medesima efficacia probatoria di quello che sarebbe stato formato dai funzionari
pubblici, e di conseguenza, anche la medesima efficacia liberatoria
dall’obbligazione tributaria.
Non possono pertanto essere condivise le diverse conclusioni a cui sono
pervenute alcune, isolate, pronunce di questa Corte circa il fatto che il modello F
24 costituisca o solo un attestato del contenuto di altri atti (e sia, quindi, punibile
ai sensi dell’art. 478 cod. pen.), come afferma la sentenza Sez. 5, n. 36687 del

conclude la sentenza Sez. 2, n. 9146 del 13/02/2008, Cavalca, Rv. 239551.
Quanto al primo arresto, infatti, si è visto come il modello F 24 non possa
essere considerato un’attestazione del contenuto di un altro e diverso atto ma
costituisca esso stesso l’atto di pagamento dell’imposta, visto che, con la sua
sottoscrizione e la consegna alla banca delegata, il contribuente incarica (con
delega irrevocabile) la banca a corrispondere all’Amministrazione finanziaria la
somma contestualmente versata (o a disposizione del contribuente presso il
medesimo istituto).
Quanto alla seconda pronuncia, identica a quella adottata nella sentenza
impugnata, che sostiene come il modello F 24 costituisca solo una scrittura
privata, è di tutta evidenza che la stessa muova da un’incompleta considerazione
della natura e della funzione dell’atto che non consiste nella sola dichiarazione di
volontà del contribuente di versare le imposte dovute ma che, come si è già
ricordato, costituisce anche la prova del pagamento delle stesse, pagamento
avvenuto alla presenza del dipendente della banca delegata dall’amministrazione
finanziaria a riscuoterle.
2 – Se, dunque, il modello F 24 è un atto pubblico ne deriva che
l’attestazione fatta a chi partecipa alla sua redazione – il dipendente della banca
delegato all’incasso della somma versata a titolo di imposta, nel caso di specie
consistita nell’essere stato, il contribuente Costantino Grasso, autorizzato a
dedurre dal proprio debito fiscale il corrispettivo credito di altro soggetto configura proprio il delitto in origine contestato, previsto e punito dall’art. 483
cod. pen., la falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico.
La riqualificazione della condotta operata dalla Corte di appello di Torino è
pertanto errata e la sentenza impugnata va conseguentemente annullata. Solo in
riferimento alle sanzioni civili, non essendovi impugnazione da parte della
pubblica accusa (e peraltro il reato sarebbe estinto per prescrizione).
Il rinvio va pertanto fatto, ai sensi dell’art. 622 cod. proc. pen., al giudice
civile competente per valore in grado di appello.

3

13/06/2008, Di Pasquale, Rv. 241427, o solo una scrittura privata, come

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente in
grado di appello per valore.
Così deciso in Roma il 15 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria
Roma, lì …..

Il Presidente

Il Consigliere estensore

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