Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18800 del 15/02/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 18800 Anno 2018
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MASSI DARIO nato il 14/05/1954 a ACQUASANTA TERME

avverso la sentenza del 18/06/2015 della CORTE APPELLO di ANCONA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ANTONIO SETTEMBRE
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIOVANNI DI
LEO, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.
Udito per la parte civile l’avvocato CONTI MASSIMO del foro di FIRENZE il quale
chiede la conferma della sentenza come da conclusioni che deposita unitamente
a nota spese.
Udito il difensore presente per il ricorrente avv. ALESSANDRO CIARROCCHI del
Foro di Fermo che si riporta ai motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Ancona ha, con la sentenza impugnata, confermato il
giudizio di responsabilità formulato dal giudice di prima cura a carico di Massi
Dario per il delitto di cui agli artt. 624 e 625 cod. pen. e d dichiarata la
prescrizione del reato, nel frattempo intervenuta, ha confermato le statuizioni
civili.

1

Data Udienza: 15/02/2018

2. Secondo la ricostruzione operata dai giudici del merito l’imputato – coerede,
insieme ai fratelli Marcello ed Elvio, di Massi Dante – aveva effettuato con
costoro, dopo la morte del genitore, una divisione “bonaria” del compendio
ereditario, con assegnazione: a) a Dario dell’abitazione sita in frazione
Caseduna; b) a Marcello lo stabile sito in frazione San Martino, n. 3; c) ad Elvio
altra abitazione sita anch’essa in frazione San Martino, ma al civico 23.

3. La sentenza precisa che lo stabile della frazione San Martino, n. 3, era

cui è processo, era in uso esclusivo a Marcello, nonché di un altro appartamento,
sito al piano terreno, e di una soffitta. Nello stesso stabile vi era anche un bagno
che, dice il giudicante, era “posto a disposizione di Massi Dario”. L’acqua a tale
bagno affluiva, “evidentemente” (sic), da un serbatoio posto nella soffitta dianzi
indicata. Tutti i consumi idrici dello stabile erano registrati da un unico contatore.
La fornitura dell’acqua era sempre avvenuta a nome del defunto Massi Dante che aveva stipulato l’originario contratto – anche dopo il decesso di quest’ultimo,
occorso nel 1999, anche se le bollette venivano pagate dal solo Marcello.
Senonché, a causa dell’eccessivo consumo di acqua da parte di Massi Dante,
nell’agosto del 2005 “al precedente contratto di utenza è subentrato altro
contratto, intestato non più a Massi Dante bensì a Massi Marcello”. Quest’ultimo,
ad agosto del 2005, aveva anche “apposto una stecca al galleggiante” (sembra
di capire: aveva operato sul galleggiante del serbatoio sopra specificato per
impedire l’afflusso di acqua allo stesso). A fronte di tanto, l’imputato aveva
reagito cambiando la serratura della soffitta (fatto accertato da Massi Marcello a
dicembre del 2005) e, nell’estate del 2006, aveva “rotto il galleggiante” (secondo
il giudice di primo grado, si era anche allacciato alla condotta idrica “mediante un
tubo collegato nel contatore del fratello Marcello”); il tutto per approvvigionarsi
di acqua, utilizzata anche per lavare i pullman di sua proprietà. Pertanto,
conclude il giudicante, posto che lo stabile era in uso esclusivo a Massi Marcello
(in virtù della divisione bonaria effettuata in precedenza), vi è stata, da parte
dell’imputato, “violenza sulle cose…per appropriarsi di acqua ai danni del fratello,
possessore dì buona parte dell’immobile, titolare dell’utenza e colui che pagava il
dovuto”. Peraltro, aggiunge la Corte d’appello, anche a voler dar credito alla tesi
difensiva (imperniata sull’esistenza di una comunione ereditaria, che autorizzava
l’imputato a prelevare l’acqua necessaria ai suoi bisogni), “verrebbe, comunque e
quantomeno, in rilievo la fattispecie di cui all’art. 627 c.p.”, procedibile a
querela, al pari di quella contestata.

2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione il difensore
dell’imputato lamentando la violazione di plurime disposizioni di legge e

2

composto di un appartamento, posto al primo piano, che, all’epoca dei fatti per

l’illogicità della motivazione relativa al giudizio di responsabilità. L’esistenza di
una comunione ereditaria, non risolta dall’accordo “bonario” intercorso tra i
fratelli, esclude, deduce il ricorrente, che il prelievo dell’acqua da parte di uno dei
comunisti integri il reato di furto per il solo fatto che il costo della fornitura era
anticipato da uno dei comproprietari, subentrato, di sua iniziativa, nel contratto
ad essa relativo. Ricorda che i contratti di trasferimento della proprietà – in
questi ricompresi gli atti di scioglimento della comunione ereditaria – devono
essere redatti per iscritto, a pena di nullità assoluta, sicché è arbitraria

discute, tant’è che quest’ultimo aveva dovuto avviare, nel 2003, una causa di
divisione. Circostanze, deduce, rappresentate ai giudici di merito e da questi
illegittimamente disattese in considerazione dell’accordo sopra menzionato, a cui
non avrebbero dovuto ricollegare – conclude – alcun effetto.
Deduce che Massi Dario aveva conservato la disponibilità dell’appartamento sito
al piano terreno dello stabile e che aveva pieno diritto, in tale qualità, di
effettuare i prelievi d’acqua necessari, col solo obbligo di rimborsare i comunisti
che avessero anticipato il costo della fornitura. La motivazione esibita dalla Corte
d’appello è, pertanto, manifestamente illogica e contrastante col dettato
normativo, avendo attribuito legittimità al comportamento del coerede (che
aveva mutato l’intestazione della fornitura e impedito agii altri condomini di
servirsene) sul solo presupposto che Massi Dario aveva prelevato “a scrocco”
l’acqua di cui abbisognava. In ogni caso, aggiunge, mancava nell’imputato la
volontà di appropriarsi di un bene altrui, per cui sarebbe insussistente l’elemento
soggettivo richiesto per l’integrazione del furto.
Conclude rilevando l’intervenuta abrogazione del reato di cui all’art. 627 cod.
pen., a cui la Corte d’appello ha ricondotto, in ipotesi, la fattispecie.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è fondato. E’ acclarato che Massi Dario aveva conservato la
disponibilità di una parte dell’immobile sito in frazione San Martino, n. 3:
secondo la sentenza impugnata, di un “bagno” (pag. 6); secondo il ricorrente,
dell’appartamento sito al piano terreno. Ed è pacifico che l’intero stabile fosse
servito da un’unica utenza idrica, con annesso contatore. Ne consegue che il
prelievo dell’acqua fu effettuato – da parte dell’imputato – a buon diritto, posto
che, anche secondo il giudice, egli aveva il possesso (rilevante sotto il profilo
penale) di una parte, seppur molto limitata, dell’immobile. Il prelievo, da parte di
Massi Dario, di una quantità di acqua sproporzionata – secondo il querelante e
secondo il giudicante – al suo diritto, come pure la totale mancanza di
contribuzione alle spese della fornitura idrica, avrebbe legittimato un’azione civile

3

l’attribuzione a Massi Marcello della proprietà esclusiva dello stabile di cui si

dell’altro possessore, volta a conseguire il pagamento della quota spettante
all’imputato; non aveva reso illecita, sotto il profilo penale, la condotta di
quest’ultimo.
Sebbene non possa condividersi la parte principale del ragionamento del
ricorrente – che fa leva, essenzialmente, sulla nullità della divisione ereditaria,
siccome effettuata in via “bonaria” (senza atto scritto) – dal momento che nel
furto viene in considerazione il “possesso” del bene e non già la “proprietà”,
devesi tuttavia escludere che la sentenza impugnata, come anche quella

presupposti del furto, avendo incentrato il loro ragionamento sulla titolarità della
fornitura in capo a Massi Marcello e sul fatto che Massi Dario beneficiò “a
scrocco” dell’acqua. Tale iter argomentatìvo è stato, pur tuttavia,
sufficientemente criticato dal ricorrente, sia pure con l’improprio riferimento alla
comproprietà dello stabile, avendo – correttamente – insistito sul fatto che la
intestazione del contratto di fornitura in capo a Massi Marcello (intestazione,
peraltro, non autorizzata dall’imputato) non privò (né poteva privare) l’imputato
del diritto di servirsi, pro quota, dell’acqua (aveva pur sempre il possesso del
“bagno”) e che l’inadempimento, da parte di quest’ultimo, dell’obbligo di
contribuzione, come pure il consumo in eccesso, andavano sanzionati sotto il
profilo civile e non sotto quello penale.
La ragioni, sostanzialmente fondate, del ricorso, impongono, quindi,
l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, dovendosi escludere sulla base di quanto in essa riportato – che Massi Dario si sia reso responsabile
del reato a lui contestato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Così deciso il 15/2/2018

Il Presidente

Il Consi liere E te sore

(Anto

Depositato in CanceA
Roma, lì

(Maurizio Fumo)

confermata, abbiano fornito adeguata dimostrazione della sussistenza dei

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