Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 188 del 25/11/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 188 Anno 2017
Presidente: DIOTALLEVI GIOVANNI
Relatore: PACILLI GIUSEPPINA ANNA ROSARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SCALZO GIUSEPPA n. a San Cataldo il 15.10.1968,
avverso la sentenza n. 1035/2014 della Corte d’Appello di Caltanissetta del
25.11.2014
Visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
Udita nella pubblica udienza del 25.11.2016 la relazione fatta dal Consigliere
Giuseppina Anna Rosaria Pacilli;
Udito il Sostituto Procuratore Generale in persona di Maria Giuseppina Fodaroni, che
ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
Udito il difensore avv. Rossana Lania, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 25 novembre 2014 la Corte d’appello di Caltanissetta ha
confermato la sentenza emessa in data 29.5.2012 dai Tribunale di Nicosia, che aveva
dichiarato l’imputata, in atti generalizzata, colpevole del reato di cui agli artt. 56, 633
e 639 bis c.p., in relazione ad un appartamento di proprietà dello I.A.C.P. di Enna.
Avverso la sentenza di appello l’imputata ha proposto ricorso per cassazione,
deducendo, ai sensi dell’art. 606 lett. b) ed e) c.p.p., l’erronea applicazione della
legge penale nonché la manifesta contraddittorietà e l’illogicità della motivazione, per
avere la Corte d’appello valorizzato solo parte delle dichiarazioni del teste Eugenio

Data Udienza: 25/11/2016

Lanna e non anche le altre prove (e specificamente le testimonianze del brigadiere
Franco e dell’ispettore Rubulotta nonché le dichiarazioni del menzionato agente
Lanna, nella parte in cui questi aveva dichiarato di aver visto “il proprietario
dell’abitazione in discussione con delle persone nel pianerottolo di ingresso
dell’abitazione”), da cui emergeva l’estraneità dell’imputata ai fatti, essendosi la
stessa, ignara delle intenzioni della figlia (nel cui interesse l’occupazione era stata
ideata), limitata a portare una torcia a quest’ultima, che gliene aveva fatto richiesto._
per poter visionare l’appartamento; attività questa non integrante un atto idoneo e

Con la memoria depositata il 18 novembre 2016 il difensore dell’imputata ha
ribadito l’asserita inidoneità degli unici elementi accertati (presenza dell’imputata e
l’aver portato una torcia) al fine della configurabilità del reato contestato; ha chiesto
l’esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131 bis
c.p., da applicarsi di ufficio, essendo tale norma stata introdotta dopo la sentenza
della Corte d’appello; ha eccepito la prescrizione del reato.
All’odierna udienza pubblica è stata verificata la regolarità degli avvisi di rito;
all’esito, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe e questa Corte, riunita in
camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato mediante lettura
in pubblica udienza.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile, perché assolutamente privo di specificità in tutte le
sue articolazioni (reiterando, più o meno pedissequamente, censure già dedotte in
appello e già non accolte: Sez. IV, sentenza n. 15497 del 22 febbraio – 24 aprile
2002, CED Cass. n. 221693; Sez. VI, sentenza n. 34521 del 27 giugno – 8 agosto
2013, CED Cass. n. 256133), del tutto assertivo e, comunque, manifestamente
infondato, a fronte dei rilievi con i quali la Corte di appello – con argomentazioni
giuridicamente corrette, nonché esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto,
esenti da vizi rilevabili in questa sede – ha motivato l’affermazione di responsabilità
della ricorrente.
La Corte territoriale, difatti, ha valorizzato le dichiarazioni dei testi (brigadiere
Franco Vincenzo e appuntato Lanna Eugenio nonché Spitaleri Graziella, legittima

assegnataria dell’alloggio popolare, Spitaleri Lucia, sorella della predetta persona
offesa, e Maggio Giovanna, indicata dalla difesa di altra coimputata), da cui emergeva
“che gli imputati, dopo aver rotto la serratura della porta di ingresso, erano penetrati
nell’alloggio in questione ove avevano già riposto parte delle masserizie (cuscini,
coperte, un lettino da campeggio, candele, ecc.) mentre la residua parte era rimasta
sul pianerottolo del terzo piano In attesa del completamento del trasloco”.

diretto in modo non equivoco a voler occupare un’abitazione.

Per quanto riguarda la specifica posizione dell’odierna ricorrente, la medesima
Corte ha puntualizzato che anch’ella fu trovata dall’appuntato Lanna all’interno
dell’appartamento e che, anche a voler accedere alla tesi difensiva della stessa,
“secondo cui si era limitata a fornire alla figlia Di Bella, nel cui interesse l’invasione
era stata ideata e in parte attuata, una torcia elettrica perché l’appartamento era
privo di energia elettrica, tale condotta costituisce già di per sé senz’altro un
contributo efficiente da un punto di vista causale alla realizzazione del fatto criminoso,
poiché con quella torcia i tre poterono illuminare l’abitazione ed introdurvi parte delle

Siffatta linea argomentativa non presta il fianco a censure, rendendo
adeguatamente conto delle ragioni della decisione adottata, rispetto alle quali la
ricorrente si è limitata sostanzialmente a riproporre la propria diversa “lettura” delle
risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture, senza
documentare nei modi di rito eventuali travisamenti della prova.
2. Quanto alla memoria difensiva del 18 novembre 2016, va osservato che essa,
da una parte, reitera le doglianze sull’affermazione della responsabilità della
ricorrente, alle quali, come detto, la Corte territoriale ha dato risposta con
argomentazioni esenti da vizi censurabili in questa sede; dall’altra, sollecitando anche
la rilevabilità di ufficio ai sensi dell’art. 609, comma 2, c.p.p., chiede l’applicazione
dell’istituto di cui all’art. 131 bis c.p., introdotto con il D.L.gs. 16 marzo 2015, n. 28,
successivamente alla pronuncia della sentenza di appello del 25 novembre 2014.
A tal riguardo, va ricordato che questa Corte (Sez. U. n. 13681 del 25.2.2016, Rv
266590) ha affermato che l’istituto della non punibilità per particolare tenuità del
fatto, previsto dall’art. 131 bis c.p., avendo natura sostanziale, è applicabile, per i
fatti commessi prima dell’entrata in vigore del d.igs. 16 marzo 2015, n. 28, anche ai
procedimenti pendenti davanti alla Corte di cassazione e per solo questi ultimi la
relativa questione, in applicazione degli artt. 2, comma quarto, c.p. e 129 c.p.p. è
deducibile e rilevabile di ufficio ex art. 609, comma 2, c.p.p. anche nel caso di ricorso
inammissibile. Quando, invece, non si discute dell’applicazione della sopravvenuta
legge più favorevole, l’inammissibilità del ricorso preclude la deducibilità e la
rilevabilità di ufficio della questione.

Questa Corte, nella pronuncia sopra richiamata, ha altresì precisato che, quando la
sentenza impugnata sia anteriore alla novella, l’applicazione dell’istituto nel giudizio di
legittimità va ritenuta o esclusa, senza che si debba rinviare il processo nella sede di
merito.
Assodata, dunque, nel caso di specie, la deducibilità della questione in esame,
essendo la sentenza impugnata anteriore al D. Lgs n. 28 del 2015, rileva il Collegio
che, tuttavia, la medesima questione appare manifestamente infondata.

sopra indicate masserizie”.

E’ assorbente, difatti, osservare – sulla base di quanto accertato in sede di merito e
desumibile dalle relative sentenze – che l’offesa al bene giuridico protetto non può
ritenersi di particolare tenuità, avuto riguardo sia alle modalità della condotta, posta
in essere in concorso con altre persone, di notte e al fine di agevolare una dei
concorrenti, che all’epoca era, comunque, beneficiaria di un alloggio, seppure di
dimensioni ridotte e condiviso con altre persone, sia alla personalità della ricorrente,
che aveva già riportato condanna per i delitti di cui agli artt. 56, 610, 81 e 612 c.p..
3. Il ricorso è, dunque, totalmente inammissibile, sicché non può porsi in questa

novembre 2016 e maturata dopo la sentenza d’appello. La giurisprudenza di questa
Corte ha, infatti, più volte chiarito che l’inammissibilità del ricorso per cassazione
«non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude,
pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma
dell’art. 129 c.p.p.» (Sez. un., n. 32 del 22 novembre 2000, CED Cass. n. 217266;
conformi, Sez. un., n. 23428 del 2 marzo 2005, CED Cass. n. 231164, e Sez. un., n.
19601 del 28 febbraio 2008, CED Cass. n. 239400).
4. La declaratoria di inammissibilità totale del ricorso comporta, ai sensi dell’art.
616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché
– apparendo evidente che ella ha proposto il ricorso determinando la causa di
inammissibilità per colpa (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) e tenuto conto della
rilevante entità di detta colpa – della somma di euro millecinquecento in favore della
Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali ed al versamento della somma di millecinquecento euro alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, udienza pubblica del 25 novembre 201
Il Pn. .-nte

Il Consigliere estensore

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Giuseppina A. R. Pacilli

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sede la questione della declaratoria della prescrizione, eccepita nella memoria del 18

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