Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18799 del 06/12/2012


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 18799 Anno 2013
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: FIDELBO GIORGIO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:
1) Mario Emanuele Florio, nato a San Severo (FG) il 15.5.1941;
2) Salvatore Florio, nato a Torino il 21.12.1973;
3) Monica Florio, nata a Torino il 10.5.1971;
4)

Maria Attianese, nata a Castellamare di Stabia (NA) il 24.8.1963;

Data Udienza: 06/12/2012

avverso la sentenza del 17 gennaio 2011 emessa dalla Corte di appello di
Milano;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del consigliere dott. Giorgio Fidelbo;
udito il Sostituto Procuratore generale, dott. Tindari Baglione, che ha concluso
chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata,

tua laiodt,tki i o_ A. «A «>£14‘r’r-a –

udito l’avvocato Roberto Di Luzio, anche in sostituzione dell’avvocato Vincenzo
Iafisco, che ha insistito per raccoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con decisione del 17 gennaio 2011 la Corte d’appello di Milano, in
parziale riforma della sentenza emessa il 18 gennaio 2010 dal G.u.p. del
Tribunale di Milano in sede di giudizio abbreviato ed appellata da Maria
Attianese, Mario Florio, Monica Florio e Salvatore Florio, dichiarava non

ai capi 5) e 7) per intervenuta prescrizione limitatamente ai fatti commessi
entro il 16.7.2003 – per le altre condotte i giudici ritenevano che le spontanee
dichiarazioni rese dal coindagato Dario Vizzotto in data 19.11.2005 avessero
determinato l’interruzione della prescrizione – e, conseguentemente,
riducevano le pene inflitte agli imputati sopra menzionati con riferimento al
reato associativo di cui al capo 1) e per gli altri residui reati, confermando le
confische disposte e la condanna al risarcimento dei danni in favore delle parti
civili costituite.

2. Con sentenza del 12 settembre 2011 la Corte di cassazione dichiarava
inammissibili i ricorsi presentati dagli stessi imputati sopra indicati avverso la
decisione di secondo grado.

3. Contro la sentenza della Corte di cassazione Maria Attianese, Mario
Florio, Monica Florio e Salvatore Florio proponevano ricorso straordinario ai
sensi dell’art. 625-bis c.p.p., assumendo che il giudice di legittimità fosse
incorso in un errore di fatto avente ad oggetto la decisione di secondo grado
sul punto riguardante la confisca.

4. Con decisione del 21 giugno 2012 la Corte di Cassazione ha dichiarato
ammissibile il ricorso per errore di fatto, annullando la decisione impugnata e
rinviando per la trattazione del ricorso straordinario.
In particolare, è stato ritenuto che la precedente sentenza del 12
settembre 2011 abbia basato la sua decisione su un presupposto inesistente,
frutto di un errore di fatto, per avere considerato che i giudici d’appello
avessero riferito la confisca anche al reato di associazione per delinquere,
laddove la misura di sicurezza risultava applicata solo in relazione ai reati di
truffa e di corruzione, entrambi dichiarati estinti per prescrizione, richiamando

doversi procedere nei loro confronti per i reati di corruzione e truffa contestati

quell’orientamento giurisprudenziale che consente di mantenere la misura di
sicurezza patrimoniale anche in relazione alle fattispecie dichiarate estinte a
seguito di prescrizione.
Tale errata percezione ha determinato la Corte di legittimità a considerare
che la confisca non fosse stata oggetto di impugnazione, dichiarando
inammissibili i ricorsi.

proposti nei ricorsi da Mario Emanuele Florio, Monica Fiori°, Salvatore Fiori° e
Maria Attianese con riferimento alle confische disposte per i reati di truffa e
corruzione dichiarati prescritti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

5. I ricorsi sono fondati.

5.1. Il primo giudice, con riferimento ai reati di corruzione e truffa
contestati ai capi 5) e 7), aveva disposto ai sensi degli artt. 322-ter e 640-

quater c.p. la confisca di beni mobili, immobili e crediti fino all’ammontare di
euro 670.701 per Mario Emanuele Fiori°, di euro 191.641 per Monica e
Salvatore Florio ed euro 666.824 per Maria Attianese.
La Corte d’appello ha confermato la sentenza su questo punto,
nonostante l’intervenuta prescrizione del reato, richiamando l’orientamento
giurisprudenziale secondo cui, in caso di estinzione del reato, il giudice
dispone di poteri di accertamento sul fatto-reato, sicché può ordinare la
confisca non solo delle cose oggettivamente criminose per loro intrinseca
natura, ma anche di quelle che sono considerate tali dal legislatore per il loro
collegamento con uno specifico fatto-reato.
Tuttavia, sul punto la motivazione della sentenza è piuttosto ellittica sia
sul tipo di confisca – potendo solo indirettamente desumersi che si tratti di
confisca di valore -, sia sulla quantificazione, in quanto non sembra prendere
in considerazione quanto dedotto da alcuni ricorrenti circa parziali restituzioni
di somme.
Ma, soprattutto, la decisione impugnata segue acriticamente
l’orientamento che ammette la confiscabilità di beni anche in presenza di reati

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Pertanto, in questa sede devono essere esaminati gli originari motivi

estinti per dichiarata prescrizione, senza considerare che nella specie si è
trattato di una confisca per equivalente.
Le decisioni citate dai giudici d’appello (Sez. II, 25 maggio 2010, n.
32273, Pastore e Sez. I, 4 dicembre 2008, n. 2453, Squillante, cui può
aggiungersi anche Sez. II, 5 ottobre 2011, n. 39756, Ciancimino) hanno ad
oggetto la confisca obbligatoria prevista dall’art. 240 c.p., cioè una misura di

confisca è stata ritenuta applicabile anche in caso di estinzione del reato per
prescrizione.
Si tratta di un indirizzo interpretativo che riconosce la possibilità di
applicazione della confisca obbligatoria a norma dell’art. 240 comma 2 n. 1)
c.p. (alcune pronunce si riferiscono anche all’art. 12-sexies d.l. n. 306 del
1992) nell’ipotesi di estinzione del reato facendo leva sul combinato disposto
degli artt. 210 e 236 c.p., cioè su norme specificamente dedicate alle misure
di sicurezza e che, in relazione alla confisca, prevedono una deroga al
principio stabilito dal citato art. 210 c.p. secondo cui l’estinzione del reato
impedisce l’applicazione delle misure di sicurezza. Invero, le ragioni in base
alle quali le decisioni citate giustificano il ricorso alla confisca nonostante
l’intervenuta estinzione del reato sono più articolate, insistendo, da un lato,
sul fatto che la misura di sicurezza della confisca obbligatoria risponde ad una
duplice finalità, cioè “colpire il soggetto che ha acquisito i beni illecitamente”
ed “eliminare in maniera definitiva dal mondo giuridico e dai traffici
commerciali valori patrimoniali la cui origine risale all’attività criminale posta
in essere, essendo il provvedimento ablativo correlato ad una precisa
connotazione obiettiva di illiceità che investe la

res determinandone la

pericolosità in sé”; dall’altro, sulla circostanza che anche la dichiarazione di
estinzione del reato può essere preceduta da una pronuncia di condanna che
riconosca la sussistenza del reato cui la confisca è collegata.
Occorre sottolineare come le decisioni citate si pongano in contrasto con
altro e contrario orientamento della giurisprudenza di questa Corte, espresso
anche dalle Sezioni unite (Sez. un., 10 luglio 2008, n. 38834, De Maio; Sez.
II, 4 marzo 2010, n. 12325, Dragone; Sez. VI, 9 febbraio 2011, n. 8382,
Ferone), secondo cui l’estinzione del reato preclude la confisca delle cose che
ne costituiscono il prezzo, prevista come obbligatoria dall’art. 240 comma 2,
n. 1 c.p., orientamento che mette in evidenza come la misura di sicurezza

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sicurezza patrimoniale ed è proprio con riferimento a tale natura che la

patrimoniale presupponga necessariamente la condanna. In altri termini,
l’estinzione del reato per prescrizione impedisce la confisca, anche se
obbligatoria, delle cose che ne costituiscono il prezzo, perché la misura
ablativa è prevista non in ragione dell’intrinseca illiceità delle stesse, bensì in
forza del loro peculiare collegamento con il reato, “il cui positivo accertamento
è necessario presupposto” (in questi termini, Sez. VI, 9 febbraio 2011, n.

5.2. Tuttavia, non si ritiene di dover entrare ulteriormente nello specifico
di queste sentenze, perché la fattispecie in esame presenta delle radicali
differenze dovute al fatto, già sottolineato, che la confisca applicata dalla
decisione impugnata è quella per equivalente (o di valore) prevista dagli artt.
322-ter e 640-ter c.p.
Come è noto quella per equivalente è una forma di confisca che si
inserisce nel percorso evolutivo di questo complesso istituto che si presenta
sotto specie diverse, in quanto strumento che si è rivelato particolarmente
duttile nel perseguire lo scopo politico-criminale di sottrarre gli utili derivanti
dalle attività criminose. Si tratta di un provvedimento ablativo che può avere
ad oggetto denaro, beni o altre utilità di cui l’imputato abbia la disponibilità
per un valore corrispondente al prezzo, al prodotto o al profitto del reato
previsto per alcune fattispecie di reato – tra cui i delitti in materia di
corruzione e le truffe, come nel caso in questione – per cui sia intervenuta
una sentenza di condanna o di “patteggiamento” e sia impossibile identificare
fisicamente le cose che di tali reati costituiscono effettivamente il prezzo o il
profitto.
Pertanto, la confisca per equivalente trova il suo fondamento e limite nel
vantaggio tratto dal reato e prescinde dalla pericolosità derivante dalla res, in
quanto non è commisurata né alla colpevolezza dell’autore del reato, né alla
gravità della condotta, avendo come obiettivo quello di impedire al colpevole
di garantirsi le utilità ottenute attraverso la sua condotta criminosa.
Ne consegue che nonostante la definizione codicistica dell’istituto come
misura di sicurezza patrimoniale, l’effettiva ratio di questo tipo di confisca
consista in un ampliamento oggettivo delle cose confiscabili per finalità
prevalentemente sanzionatore. Proprio l’inadeguatezza del modello
tradizionale di confisca – che deve riguardare necessariamente gli stessi beni

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8382, Ferone).

su cui ha avuto incidenza il reato e che richiede, quindi, la sussistenza del
nesso di pertinenzialità tra bene e reato – ha determinato il legislatore ad
introdurre l’ipotesi della confisca c.d. di valore, che può essere disposta solo
quando non è possibile procedere alla confisca “ordinaria”. Scopo di questo
istituto è quello di superare le angustie della confisca “tradizionale”, rispetto
alla quale si pone in un rapporto di alternatività-sussidiarietà, per la sua

coinvolti nella vicenda criminale, cioè a supplire agli ostacoli connessi alla
individuazione del bene in cui si incorpora il profitto e di consentire la confisca
anche nel caso in cui l’apprensione del prezzo o del profitto derivante dal
reato non sia più possibile in conseguenza dell’avvenuta cessione a terzi
oppure a causa di forme di occultamento o, semplicemente, perché i beni
sono stati consumati.
In questi casi la confisca per equivalente consente di aggredire
ugualmente il profitto illecito perché si riferisce al valore illecitamente
acquisito. E’ evidente, quindi, come il nesso eziologico tra i beni oggetto di
confisca e il fatto-reato dimostri una tendenza ad allentarsi fino a scomparire,
in quanto il provvedimento abiatorio colpisce i beni indipendentemente dal
loro collegamento, diretto o mediato, con il reato. Allora, la provenienza dei
beni da reato non rappresenta più oggetto di prova, dal momento che
scompare ogni relazione di tipo causale.
Ed è proprio in base a queste caratteristiche della confisca per
equivalente che la giurisprudenza – sostenuta dalla dottrina – ne valorizza la
natura sanzionatoria.
D’altra parte, a mettere in crisi l’inquadramento tradizionale della confisca
in quanto tale è stata anche la giurisprudenza della Corte europea dei diritti
dell’uomo, che in più occasioni ha riconosciuto alla confisca natura di “pena” ai
sensi dell’art. 7 della C.e.d.u., rilevando come tale misura non tenda alla
riparazione pecuniaria di un danno, ma sì ponga obiettivi preventivi e
repressivi, funzioni queste che appartengono alle sanzioni penali (cfr., Corte
eur. dir. uomo, 20 gennaio 2009, Fondi Sud s.r.l. c. Italia, nonché 1° marzo
2007, Geerings c. Paesi Bassi).
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 97 del 2009, relativa ad una
ipotesi di confisca per equivalente, richiamandosi ad un’altra pronuncia della
Corte europea dei diritti dell’uomo (sentenza n. 307A/1995, Welch c. Regno

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attitudine a costituire un rimedio alle difficoltà di apprensione dei beni

Unito), ha ritenuto che non abbia natura di misura di sicurezza, negando che
questo tipo di confisca potesse essere applicata in via retroattiva ai sensi
dell’art. 200 c.p. e facendo, invece, espresso riferimento agli artt. 25 Cost. e 2
c. p.
Nello stesso senso si è espressa anche la giurisprudenza della Corte di
cassazione, che ha negato l’applicazione retroattiva della confisca di valore

Minardi) e sottolineando la natura afflittiva e sanzionatoria di questo tipo di
confisca (Sez. III, 24 settembre 2008, n. 39172, Canisto; Sez. III, 24
settembre 2008, n. 39173, Tiraboschi; Sez. VI, 18 febbraio 2009, n. 13098,
Molon; Sez. V, 26 ottobre 2010, n. 11288, Natali, tutte riferite all’art. 322-ter
c.p. in materia tributaria; v., inoltre, Sez. I, 28 febbraio 2012, n. 11768,
Barilari; Sez. II, 13 maggio 2010, n. 21027, Ferretti).
D’altra parte, le Sezioni unite hanno sottolineato come con il termine
confisca il legislatore identifica misure ablative di diversa natura, in base al
contesto normativo cui si riferisce, riconoscendo la natura di sanzione
principale, autonoma e obbligatoria alla confisca prevista dall’art. 19 d.lgs.
231 del 2001 (Sez. un., 27 marzo 2008, n. 26654, Fisia Italimpinati): è vero
che la confisca a carico degli enti è espressamente qualificata come sanzione
principale dal citato art. 19, ma è interessante notare che questa decisione
valorizza la natura afflittiva della misura – in tutto simile, quanto a struttura,
all’art. 322-ter c.p., contemplando anche la forma per equivalente – e la sua
funzione di deterrenza, in vista di prevenzione generale e speciale.
Ebbene, secondo le decisioni citate la natura sanzionatoria è desumibile
dalla confiscabilità di beni che, oltre a non avere alcun rapporto con la
pericolosità individuale del reo, non hanno un collegamento diretto neppure
con il singolo reato e la cui ratio è quella di privare il reo di un qualunque
beneficio economico dell’attività criminosa, anche di fronte all’impossibilità di
aggredire l’oggetto principale, nella convinzione della capacità dissuasiva e
disincentivante di tale strumento.

5.3. Da quanto precede deriva che proprio la natura sanzionatoria
impedisce che la confisca per equivalente possa trovare applicazione anche in
relazione al prezzo o al profitto derivante da un reato estinto per prescrizione:
una volta che questo tipo di confisca viene accostata ad una sanzione di

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invocando anche l’art. 7 della C.e.d.u. (Sez. II, 29 gennaio 2009, n. 11912,

natura penale è indispensabile che sia preceduta da una pronuncia di
condanna, dovendo escludersi che possa trovare applicazione il regime sulle
misure di sicurezza patrimoniale, come gli artt. 200, 210 e 236 c.p. che, come
si è visto, derogano ai principi penalistici della irrevocabilità e della
inapplicabilità della sanzione penale in caso di estinzione del reato. Del resto
appare difficile offrire una diversa lettura delle specifiche disposizioni

quella di valore, alla condanna o all’applicazione della pena su richiesta delle
parti: la confisca per equivalente può essere applicata, al pari delle sanzioni
penali, solo a seguito dell’accertamento della responsabilità dell’autore del
reato.
In conclusione, deve affermarsi il principio che l’estinzione del reato
preclude la confisca per equivalente delle cose che ne costituiscono il prezzo
(e il profitto), prevista come obbligatoria dall’art. 322-ter c.p., richiamato
anche dall’art. 640-quater c.p.

6. Ne consegue, che la sentenza impugnata deve essere annullata con
rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano che nel nuovo giudizio,
limitato alla confisca disposta in relazione ai reati di truffa e di corruzione
dichiarati prescritti, dovrà attenersi al principio di diritto sopra enunciato.
P. Q. M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle confische disposte per
reati già prescritti e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della
Corte d’appello di Milano.
Così deciso il 6 dicembre 2012

Il Consigli re estensore

contenute nell’art. 322-ter c.p. che, appunto, subordina la confisca, anche

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