Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18788 del 25/01/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 18788 Anno 2018
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BRIOSCHI MARCO BENIAMINO nato il 20/09/1967 a VARESE

avverso la sentenza del 10/10/2016 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ROSA PEZZULLO
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PASQUALE
FIMIANI
che ha concluso per

Il Proc. Gen. conclude per il rigetto
Udito il difensore
L’avvocato Pesavento dopo aver richiamato i motivi di ricorso ne chiede
l’accoglimento.

Data Udienza: 25/01/2018

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 10.10.2016 la Corte d’appello di Torino ha dichiarato non doversi
procedere nei confronti di Brioschi Marco Beniamino per intervenuta prescrizione, quanto ai
reati di cui ai capi b) e c) (artt. 166 D.Lgvo n. 58/98 e 640 c.p.)- reati fine rispetto il reato
associativo di cui al capo a)- per il quale è stata confermata la responsabilità del predetto
imputato e rideterminata la pena in anni quattro e mesi sei di reclusione.
1.1. Il Brioschi, in particolare, è stato riconosciuto promotore di un’associazione per

con il defunto Hilton John Arnold e con altre persone non identificate, operando attraverso lo
schermo della Company Finance Sun Bank, banca inesistente, ma con asserita sede legale alle
isole Cayman e filiale europea in Ginevra, quest’ultima dotata di uffici, personale e attrezzature
messi a disposizioni dall’Hilton attraverso la società Sofintra.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l’imputato, affidato a due motivi, con i quali
lamenta:
-con il primo motivo, la ricorrenza del vizio di cui all’art. 606, primo comma, lett. e) c.p.p., per
carenza e vizio logico di motivazione, non avendo la Corte territoriale argomentato in relazione
al mancato accoglimento delle doglianze presenti nell’atto di appello; in particolare, sono state
completamente disattese le richieste di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, senza
alcuna motivazione; prive di risposta, inoltre, risultano le doglianze in merito alla carenza
dell’elemento soggettivo ed oggettivo del reato di cui all’art. 416 c.p. e, comunque, dei
presupposti per la configurabilità del delitto in questione, essendo due gli associati ed il
riferimento ad altre persone non identificate non appare sufficiente a dar conto di tali
presupposti; la Corte territoriale, poi, non ha considerato neppure le indicazioni dell’imputato
circa il suo ruolo nella Banca: dipendente e al più collaboratore, in uno al fatto che dopo le sue
dimissioni, avvenute nel dicembre 2003, la Banca ha continuato a lavorare anche senza di lui,
da ciò deducendosi la prova circa la sua posizione di mero dipendente nell’ambito della Banca
stessa; il preteso contratto di domiciliazione, reca una firma ictu oculi falsa dell’imputato e la
circostanza che l’Hilton avrebbe versato una somma pari a C 500.000,00 al ricorrente Brioschi
in contarti appare inverosimile in relazione alla mancata pretesa da parte di costui di una
quietanza o di una ricevuta; inoltre, il deducente non ha mai raccolto denaro direttamente,
provvedendo a ciò una terza persona; anche in ordine alla determinazione della pena, la Corte
d’Appello si è limitata esclusivamente a sottrarre la pena relativa alle truffe prescritte,
mantenendo la pena prevista ex art. 416 c.p., senza riconsiderare, né motivare la decisione in
tal senso,;
-con il secondo motivo, l’erronea mancata applicazione della prescrizione ex art. 157 c.p., in
quanto, trattandosi di reato commesso nel 2004 andava dichiarata appunto la prescrizione del
reato.

Considerato in diritto
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delinquere, dedita a truffe in danno di risparmiatori e ad abusivismo finanziario, associandosi

Il ricorso è inammissibile, siccome manifestamente infondato.
1. Con il primo motivo, contenente plurime censure, risulta innanzitutto dedotta
dall’imputato la carenza di motivazione della sentenza impugnata in relazione alle richieste di
rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.

La Corte territoriale, contrariamente a quanto

sostenuto dal ricorrente, ha compiutamente dato conto delle

richieste di integrazione

probatoria avanzate dall’imputato (acquisizione di lettere anonime, accertamenti sul
nominativo del dipendente della Security Express addetto alla raccolta del denaro contante,
perizia calligrafica per il contratto relativo alla Sossai), evidenziando come nessuna di esse

tutto inconferenti, in base a quanto prospettato dal difensore, non avrebbero potuto essere
acquisite od utilizzate, a norma dell’art. 240 c.p.p. Sul punto, è sufficiente evidenziare come
alla rinnovazione dell’istruzione nel giudizio di appello, di cui all’art. 603, comma primo, cod.
proc. pen., possa ricorrersi solo quando il giudice ritenga “di non poter decidere allo stato degli
atti”, sussistendo tale impossibilità unicamente quando i dati probatori già acquisiti siano
incerti, nonché quando l’incombente richiesto sia decisivo, nel senso che o possa eliminare le
eventuali incertezze ovvero sia di per sé oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra
risultanza (Sez. 6,n. 20095 del 26/02/2013). Inoltre, in tema di ricorso per cassazione, può
essere censurata la mancata rinnovazione in appello dell’istruttoria dibattimentale qualora si
dimostri l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di
lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti
punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi
all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello
(Sez. 6, n. 1400 del 22/10/2014).
2.1 G enerica e , comunque, manifestamente infondata si presenta la deduzione circa la
insussistenza del reato associativo per carenza del numero minimo di membri. Sul punto, la
Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi di legittimità, secondo cui, in tema
di associazione per delinquere, il numero minimo degli associati previsto dalla legge per la
configurabilità del reato deve essere valutato in senso oggettivo, ossia come componente
effettiva ed esistente del sodalizio e non con riferimento al numero degli imputati presenti nel
processo. Ne consegue che vale ad integrare il reato anche la partecipazione degli individui
rimasti ignoti o giudicati a parte o deceduti, e che è possibile dedurre l’esistenza della realtà
associativa, anche sotto il profilo numerico, dalle attività svolte, dalle quali può risultare in
concreto una distribuzione di compiti necessariamente estesa a più di due persone (Sez. 5,
n.39223del 23/09/2010; Sez. 6, li. 12845 del 24/02/2005).
2.1.1. In linea con i suddetti principi i giudici d’appello hanno ritenuto che l’integrazione del
reato associativo in questione non poteva essere esclusa dal fatto che il compartecipe al
sodalizio, Hilton John Arnold, era deceduto durante il processo, ovvero che gli altri partecipanti
dell’associazione non erano stati identificati. Ciò in considerazione del fatto che ciò che conta è
l’effettiva ed oggettiva partecipazione di più soggetti -almeno tre -all’associazione al precipuo
2

fosse necessaria ai fini della decisione ed, in particolare, le lettere anonime, oltre ad essere del

e congiunto scopo di realizzare i reati fine. In proposito, la Corte territoriale con motivazione
congrua immune da censure, ha evidenziato come la complessa macchina organizzativa
architettata dall’imputato e dagli altri partecipanti all’associazione per realizzare le truffecreando dal nulla una apparente banca d’affari CFSB, con una sede di prestigio, beni
strumentali, personale, un sito web, software gestionali, nonché un complesso simulacro di
operazioni finanziarie, pagamenti, report e fatture, idoneo a trarre in inganno anche
professionisti qualificati (avvocati, commercialisti ecc.) che si sono affidati alla finta banca e
hanno investito ingenti somme – non poteva che essere attuata mediante più persone, oltre

che si erano recate presso la CFSB a Ginevra. Basti considerare tal Mouneron, il Lopez, il
Ricciarelli, il Ramon e il Nardi che con l’imputato si comportavano come funzionari che
parlavano in diverse lingue e si occupavano di mercati diversi, oltre alle segretarie. Tali
soggetti, poi, come messo in risalto dai giudici di merito, senza idonee smentite, risultavano
essere ben consapevoli della mise en scene, anche perché il denaro raccolto dai clienti tratti in
inganno non era investito nel mercato, ma indebitamente trattenuto; essi in concreto
fingevano di compiere operazioni del tutto inesistenti e insieme al Brioschi e all’Hilton fornivano
ai clienti l’apparente immagine di funzionalità di una SIM inesistente. Inoltre, il numero di
truffe è stato ampio e verso investitori qualificati, per somme rilevanti e per diversi anni,
senza che nessuna delle persone offese sospettasse del minimo inganno.
In tale contesto, dunque, risulta adeguatamente dimostrata anche la necessaria
consapevolezza di ciascun associato di far parte del sodalizio criminale e di partecipare con il
proprio contributo causale alla realizzazione di un programma criminale duraturo, per la
realizzazione del quale è stata predisposta la struttura con i mezzi necessari al raggiungimento
degli scopi illeciti (ex multis Sez 1, sentenza del 22 settembre 2006, n. 34043, Rv. 234800 e
Sez. 3, Sentenza n. 20921 del 14/03/2013, Rv. 255776). All’uopo l’art. 416 c.p. non richiede
una puntuale definizione delle identità dei singoli partecipanti, ma unicamente la delineazione
dell’effettiva e consapevole partecipazione di più soggetti, coordinatamente volta alla
commissione dei reati (sul punto la giurisprudenza di questa Corte è granitica: Sez. 5,
Sentenza n. 39223 del 23/09/2010, Rv. 248882; Sez. 6, Sentenza n. 12845 del 24/02/2005,
Rv. 231237; Sez. 2, Sentenza n. 7437 del 30/04/1999, Rv. 21384).
Pertanto, nella fattispecie in esame, la ricostruzione dei giudici di merito appare certamente
sufficiente a configurare in capo al Brioschi il reato di associazione per delinquere, anche se
l’Hilton è venuto meno e gli altri soggetti non sono stati identificati.
2.2. Del tutto generica si presenta, poi, la deduzione del ricorrente circa la mancata
considerazione da parte della Corte territoriale del suo ruolo di mero dipendente
“inconsapevole” della banca e di mero esecutore di ordini. Tale deduzione non si confronta con
tutto quanto evidenziato dai giudici di merito circa il ruolo di “comparse” dei soggetti operanti
nella sede della CFSB e con il fatto che le affermazioni del ricorrente sono rimaste sfornite di
qualsivoglia elemento a conforto della sussistenza di rapporto di lavoro subordinato.
3

all’imputato e al defunto Hilton, aventi ruoli specifici come chiaramente riferito dalle persone

2.3. Le ulteriori deduzioni del ricorrente, circa il contratto di domiciliazione con una
sottoscrizione falsa ed il pagamento di una somma di 500.000 euro da parte dell’ Hilton nei
confronti del ricorrente, si traducono in mere deduzioni in fatto, inammissibili in questa sede di
legittimità
2.4. Le doglianze in merito al trattamento sanzionatorio si presentano anch’esse del

tutto

generiche, avendo la Corte territoriale dato compiutamente conto delle ragioni per le quali
fosse da ritenere del tutto congrua la pena base fissata dal primo giudice e da condividere la
scelta di non concedere le circostanze attenuanti generiche, in mancanza di elementi di segno

3.

Il secondo motivo di ricorso, attinente alla mancata dichiarazione dell’intervenuta

prescrizione del reato, è manifestamente infondato, atteso che nei confronti dell’imputato
risulta contestata e ritenuta la recidiva specifica infraquinquennale ex art. 99/4 c.p. e
considerato il termine ex art. 157/2 c.p. (a decorrere dal 28.2.2004, di anni 11 e 8 mesi),
nonché di cui all’art. 161/2 c.p. (pari ad ulteriori 6 anni ex art. 99/6 c.p. in base al cumulo
delle pene risultanti dal certificato penale) , il termine massimo di prescrizione andrà a cadere
in data 21.11.2018.
4. Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile ed il ricorrente va condannato al pagamento
delle spese processuali, nonché, trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile a colpa del
ricorrente al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene
equo e congruo determinare in Euro 2000,00, ai sensi dell’art. 616 c.p.p.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali,
nonché al versamento di euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 25.1.2018
Il Consigliere estensore

Il Presidente

Rosa Pegzullo

Maria Vessichelli

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Depositato in Cancelleria • u
Roma, lì

positivo.

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