Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18786 del 26/03/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 18786 Anno 2013
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: CAPRIOGLIO PIERA MARIA SEVERINA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
REVELANT GIOVANNI N. IL 04/12/1982
avverso l’ordinanza n. 65/2011 TRIBUNALE di TOLMEZZO, del
20/07/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERA MARIA
SEVERINA CAPRIOGLIO;
lette/sdatite le conclusioni del PG Bett. cok:

Data Udienza: 26/03/2013

ritenuto in fatto

1. Con provvedimento del 20.7.2012 il Tribunale di Tolmezzo rigettava
l’opposizione interposta da REVELANT Giovanni, in relazione al provvedimento in data
21.12.2011, con cui gli era stata negata l’applicazione dell’indulto ex I. 241/2006
sulla pena risultante da un cumulo, da cui risultava che doveva scontare la pena di
anni tre , mesi due e giorni 26 di reclusione ed euro 1000 di multa , sul presupposto
che nei cinque anni dall’entrata in vigore della legge menzionata, il prevenuto aveva
in particolare la condanna inflitta con sentenza 3.11.2009 del Trib. Di Tolmezzo).
2. Avverso tale pronuncia, ha proposto ricorso per cessazione il prevenuto pel
tramite del difensore, per dedurre :
2.1 violazione ed erronea applicazione dell’art. 174 cod.pen. , in relazione
all’art. 672 cod.proc.pen. Secondo la difesa l’applicazione del beneficio dell’indulto
doveva considerarsi automatica perché non era stata esclusa dal giudice della
cognizione, che allorquando ebbe a condannare il Revelant alla pena di anni tre e
mesi due di reclusione (con la ultima sentenza suindicata) non ebbe a revocare
l’indulto concesso, con il che al giudice dell’esecuzione era precluso ogni intervento
nel senso della revoca del beneficio, operando le cause estintive immediatamente.
2.2 violazione dell’art. 174 cod. pen., in relazione agli artt. 667 e 672
cod.proc.pen. e art.1 I. 241/2006. La sentenza del Tribunale di Tolmezzo nella parte
in cui non nega il beneficio sarebbe intangibile. Solo il giudice dell’impugnazione
avrebbe potuto disporre la revoca dei benefici connessi all’applicazione della legge
241/2006 qualora fossero stati concessi e previa istanza e specifico appello da parte
della procura della Repubblica, ma tale impugnazione non vi è stata. Ne
discenderebbe quindi una preclusione derivante dal divieto del bis in idem
Viene ribadito che il giudice della cognizione, che sarebbe l’unico soggetto
competente a decidere sulla revoca del condono, nulla ebbe a provvedere sul punto,
cosicchè si sarebbe formata una preclusione per il giudice dell’esecuzione, che a sua
volta avrebbe dovuto concedere automaticamente il condono, stante la assenza del
giudizio di non meritevolezza ad opera appunto del giudice di cognizione.
3. Il Procuratore Generale ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
Considerato in diritto.

Il ricorso va dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza, così come
richiesto dal Procuratore Generale .

commesso altri delitti non colposi che avrebbero determinato la revoca del beneficio (

Il ricorrente ribadisce nel suo ricorso argomentazioni già fatte oggetto di
valutazione da parte del giudice dell’esecuzione , atteso che correttamente è stato
rilevato, quanto alla mancata concessione dell’indulto in relazione alle sentenze di cui
ai nn. 4,5,6 e 9 che il Revelant ebbe a formulare istanza di applicazione del beneficio
solo il 28.11.2011, il che significa che prima di allora nessun giudice dell’esecuzione
era stato chiamato a pronunciarsi sulla sussistenza dei presupposti per la applicabilità
del beneficio medesimo, di talchè non è sostenibile l’esistenza di alcun giudicato che

Il fatto che il giudice della cognizione (Tribunale di Tolezzo) non abbia operato
la revoca del beneficio non può certamente essere letto, come vorrebbe la difesa,
come una preclusione al giudice dell’esecuzione di operare in tale senso; infatti il
rimettere al giudice dell’esecuzione la valutazione in materia di indulto è scelta
corretta, anche perché solo il giudice dell’esecuzione ha la visione ampia e conosce
l’insieme delle condanne che attingono l’interessato e quindi è in grado di valutare in
primis se il soggetto abbia già beneficato ed in che misura del provvedimento
indulgenziale e poi se nel periodo di interesse l’istante abbia riportato condanne che
importino la revoca del beneficio medesimo.
Pertanto non si espone a censure l’operato del giudice dell’esecuzione che ha
negato l’applicazione dell’indulto, sul presupposto che in data 3.11.2009 il Revelant
ebbe a riportare condanna alla pena di anni tre e mesi due di reclusione per i reati di
tentata estorsione (per cui è prevista una pena base superiore al limite di due anni
di reclusione) e furto aggravato, commessi il 3.8.2007, quindi in epoca rientrante nel
periodo previsto dall’art. 1 c. 3 I. 241/2006 , significativo ai fini della revoca del
beneficio. Il beneficio, una volta concesso avrebbe dovuto essere revocato, ragione
per cui va condivisa la decisione impugnata, in linea con quanto affermato da questa
Corte di legittimità, con sentenza 31.3.2010, n. 15462. In detta pronuncia è stato
rilevato che “già in relazione all’indulto, concesso col D.P.R. 22 dicembre 1990, n.
394, questa Corte aveva fissato il principio di diritto secondo il quale nei casi di
indulto soggetto a revoca per successiva condanna, la già verificatasi condizione
risolutiva rende l’indulto inapplicabile anche nelle ipotesi in cui il beneficio non sia
stato ancora formalmente concesso (Sez. 1, 24 gennaio 1996, n. 467, Di Giovanni,
massima n. 204011; cui adde: Sez. 1, 1 dicembre 1993, n. 5244/1994, Lupo,
massima n. 196138 e Sez. 1, 24 febbraio 2005, n. 1146, Arrighini, massima n.
201023) e tanto per “la giuridica ed, ancor prima, logica impossibilità di dichiarare
giudizialmente l’applicazione di un condono in relazione al quale siasi già verificata
una causa di revoca del beneficio” (Sez. 1, 27 aprile 1994, n. 1877).

E’ stato

aggiunto che tale principio deve essere tenuto ben fermo anche in relazione al
condono ex L. 31 luglio 2006, n. 241, risultando evidente che sarebbe, comunque,
inutiliter data la eventuale declaratoria del condono, seguita dalla doverosa,

3

giustifichi l’obbligatorietà della concessione dell’indulto.

contestuale revoca del beneficio in presenza della condizione di legge.
Alla dichiarazione di inammissibilità segue di diritto la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la
colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186
del 2000), al versamento a favore della cassa delle ammende di sanzione pecuniaria
che pare congruo determinare in euro mille, ai sensi dello art. 616 c.p.p.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di Euro mille alla Cassa delle
ammende.
Così deciso i Roma, addì 26 Marzo 2013.

p.q.m.

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