Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1878 del 24/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 1878 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: IZZO FAUSTO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:

DI GIOVANNI Enrico Maria, n. a Civitanova Marche il
11\10\1968

avverso la sentenza della Corte di Appello di Ancona del
16\11\2012 (n. 272\2012);

udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Fausto Izzo ;
udite le conclusioni del Procuratore Generale dr. Francesco
Aldo Policastro, che ha chiesto l’annullamento della
sentenza, limitatamente alla mancata sostituzione della
pena;
udite le conclusioni dell’Avv. Mario Pinelli, che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso;

Data Udienza: 24/10/2013

RITENUTO in FATTO

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato,
lamentando :
2.1. la erronea applicazione della legge per avere il giudice di merito confermato la
condanna sulla base del solo esito dell’alcoltest, peraltro inattendibile, tenuto conto
che uno degli scontrini portava l’annotazione “volume insufficiente”, ed in assenza di
dati sintomatici, non essendovi prova che l’imputato avesse provocato l’incidente, né
che altrimenti manifestasse una alterazione psicofisica.
2.2. La erronea applicazione della legge ove la Corte di merito aveva negato la
sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità, in ragione del fatto che
l’imputato era stato “coinvolto” in un incidente stradale, ma senza motivare sul punto
che fosse stato lui a provocarlo.
CONSIDERATO in DIRITTO
3. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
3.1. Il ricorrente ha lamentato l’assenza di prova che si trovasse in stato di ebbrezza
e, quindi in una situazione di alterazione psicofisica dovuta alla assunzione di alcol. Va
ricordato che l’ordinamento, in particolare l’art. 186 C.d.S., correla la prova
dell’ebbrezza al superamento della soglia del tasso alcolemico di g\I 50. Inoltre
determina tre fasce percentuali per valutare il disvalore del fatto e punirlo solo
amministrativamente (fascia “a”), ovvero penalmente, con diversa entità della pena, a
seconda della entità del tasso (fascia “b” e “c”).
In tale contesto, il superamento del limite integra una presunzione assoluta di stato di
ebbrezza che non ammette prova contraria (ad es. la capacità
meglio sopportare
l’alcol rispetto ad altri), il che si giustifica con il fatto che tale contravvenzione ha
natura di reato ostativo, rispetto a più gravi delitti contro la integrità fisica e la vita
della persona umana che lo stato di ebbrezza agevola nella consumazione.
Quanto alla circostanza che uno degli scontrini contenesse l’indicazione “volume
insufficiente”, questa Corte di legittimità, in un caso analogo, ha già avuto modo di
affermare che, premessa la volontarietà della condotta necessaria ai fini del controllo,
la mancata adeguata espirazione, cui consegue emissione di scontrino indicante la
dicitura “volume insufficiente” (ma con indicazione del tasso alcolemico), in assenza,
come nella specie, di fattori condizionanti l’emissione di aria (quali patologie atte a
incidere sulle capacità respiratorie del soggetto), non può essere ritenuta tale da
rendere l’esito dell’esame di alcoltest inattendibile. Ne consegue che nella descritta
situazione, alternativamente, o gli esiti dell’esame sono ritenuti idonei a fondare il
giudizio di responsabilità per il reato contestato, secondo l’esito del test effettuato, o
conducono a ritenere configurabile il reato di cui all’art. 186 comma 7, in ragione della
dimostrata indisponibilità del soggetto a sottoporsi validamente all’accertamento (cfr.

o

Cass. IV, 11\3\2013, n. 11499).

Consegue da quanto detto la infondatezza delle censure formulate.

1. Con sentenza del 16\11\2012 la Corte di Appello di Ancona confermava la
pronuncia di primo grado con la quale Di Giovanni Enrico Maria era stato condannato
per la contravvenzione di cui all’art. 186, lett. c), C.d.S. per guida in stato di ebbrezza
di un’auto Audi Q7, con tasso alcolemico rilevato di g\I 1,67 e 1,63 (acc. in
Cupramarittima il 7\6\2009). Veniva anche confermata la pena irrogata di mesi 3 di
arresto ed € 1.800= di ammenda; nonché la sospensione della patente di guida per
un anno. Il giudice di appello revocava la confisca dell’auto, trovandosi nella
disponibilità del Di Giovanni in ragione di un contratto di leasing.

36757/2004, Rv. 229687).

Nel caso oggetto di giudizio, il ricorrente invoca l’erronea applicazione della legge, per
non avere il giudice di merito, benché gli fosse stato richiesto, sostituito la pena
irrogata con il lavoro di pubblica utilità.
Orbene è noto che nel nostro ordinamento la irrogazione della pena risponde ad una
funzione rieducativa (art. 27 co. 3° Cost.). Pertanto deve ritenersi che quando il
legislatore ha previsto, nel comma 9 bis dell’art. 186 C.d.S., la sostituzione della pena
con il lavoro di pubblica utilità, ha inteso ancorare tale beneficio ad un ben preciso
rapporto tra pena criminale e sanzione sostituiva. Ne deriva che non è possibile
sostituire la pena se non in relazione al trattamento sanzionatorio principale previsto
dalla legge.
Se si applicasse la sostituzione, rapportandola alla pena prevista prima della riforma,
non solo si farebbe illegittima applicazione di una “terza legge”, in violazione dell’art.
2 c.p., ma si vulnererebbe la funzione rieducativa che la pena deve svolgere secondo
l’ordinamento vigente.
Consegue da quanto detto che, nell’invocare in sede di ricorso l’applicazione del
comma 9 bis, l’imputato avrebbe dovuto contestualmente condizionare la richiesta
all’applicazione del diverso trattamento sanzionatorio introdotto dalla novella 120 del
2010; richiesta questa che, invece, non è stata avanzata né in appello, né in sede di
ricorso.
L’impugnazione è pertanto infondato e deve essere rigettata, segue ai sensi dell’art.
616 c.p.p. la condanna ala pagamento delle spese processuali.

3

3.2. Quanto al diniego della sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità, va
premesso, come osservato di recente da questa Corte (sent. n. 9165\13), che la
consolidata giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di affermare come, in tema di
successione di leggi penali nel tempo, l’art. 2 c.p., comma 3, facendo riferimento alla
“disciplina piu’ favorevole”, intende riferirsi a quella che in concreto venga a risultare,
complessivamente, più favorevole per il giudicabile (Cass., Sez. 6, n. 394/1990, Rv.
186207), e che l’individuazione, tra una pluralità di disposizioni succedutesi nel tempo,
di quella più favorevole al reo, va eseguita non in astratto, sulla base della loro mera
comparazione, bensì in concreto, mediante il confronto dei risultati che deriverebbero
dall’effettiva applicazione di ciascuna di esse alla fattispecie sottoposta all’esame del
giudice (Cass., Sez. 1^, n. 40915/2003, Rv. 226475 ed altre conformi).
Nel caso di specie, occorre considerare come con la sopravvenuta legge n. 120/2010,
mentre da un lato è stato introdotto l’art. 186 C.d.S., comma 9 bis (che prevede la
pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, con l’aggiunta, in caso di esito positivo,
dell’estinzione del reato, della riduzione alla metà della sanzione della sospensione della,
patente e della revoca della confisca del veicolo sequestrato), dall’altro, è stata inasprita
la pena detentiva prevista per il reato di cui al comma 2, lett. c) della medesima
norma (nel caso di specie da applicare), con introduzione del minimo edittale di sei mesi
ed innalzamento del massimo ad un anno di arresto (ferma restando la congiunta pena
dell’ammenda da Euro 1.500,00 ad Euro 6.000,00).
Sulla base di tali elementi di valutatone, non può negarsi che, nel complesso, la nuova
disposizione, alla luce dei tanti vantaggi introdotti a fronte del contestuale
inasprimento della sanzione, là dove sia intervenuta la specifica scelta dell’imputato
(ovvero la sua mancata opposizione), divenga per quest’ultimo oggettivamente e in
concreto più favorevole rispetto a quella previgente, benché la pena-base di partenza
debba comunque essere non inferiore alle previsioni della nuova formulazione dell’art.
186 C.d.S., comma 2, lett. c), non potendo certamente realizzarsi (pena la violazione
del principio di legalità) la combinazione di frammenti normativi di leggi diverse
secondo il criterio del favor rei, con la creazione e applicazione di una terza fattispecie
di carattere intertemporale non prevista dal legislatore (cfr. Cass., Sez. 6, n.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma il 24 ottobre 2013
Il Pr

ente

Il Consigliere estensore

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