Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18778 del 19/01/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 18778 Anno 2018
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
AMBROSINO MARCO nato il 12/01/1966 a NAPOLI

avverso la sentenza del 28/01/2016 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ALFREDO GUARDIANO
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PERLA LORI
che ha concluso per

Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’

Udito il difensore

cuu- • t- . lex.IZCLI.A.A.„‘

il difensore presente espone alla Corte i motivi di gravame e insiste per
l’accoglimento del ricorso

Data Udienza: 19/01/2018

FATTO E DIRITTO
1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Milano
confermava la sentenza con cui il tribunale di Milano, in data 21.6.2016,
aveva condannato Ambrosino Marco alle pene, principale ed accessorie,

documentale, allo stesso in rubrica ascritto, in qualità di amministratore
unico pro-tempore della “Colonna s.r.l.”, dichiarata fallita con sentenza
del tribunale di Milano del 19.1.2006.
2. Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto tempestivo
ricorso per cassazione l’Ambrosino, lamentando: 1) difetto di
motivazione, in relazione all’art. 125, co. 3, c.p.p., in punto di
affermazione della penale responsabilità dell’Ambrosino, avendo la corte
territoriale totalmente omesso di indicare su quale basi si fonda la
ritenuta responsabilità dell’Ambrosino relativamente all’occultamento
della documentazione e non ha nemmeno esposto le ragioni
giustificative comprovanti l’infondatezza delle specifiche censure
articolate nell’atto di appello, anche con riferimento agli elementi a
discarico, in esso richiamati, con particolare riguardo alla testimonianza
di Marra Giuseppa, la cui attendibilità non è stata messa in discussione,
che ha escluso radicalmente la possibilità di ascrivere il fatto per cui si è
proceduto all’imputato; 2) erronea applicazione della legge penale in
relazione all’art. 216 comma 1, n. 2 r.d. 267/1942, in quanto la corte
territoriale ha ritenuto la sussistenza della fattispecie di bancarotta
fraudolenta documentale in mancanza di quel “quid pluris” previsto dalla
norma incriminatrice, incentrato sull’elemento psicologico del reato,
difettando un adeguato accertamento sulla configurabilità dell’elemento
soggettivo proprio e caratteristico della variante fraudolenta della
bancarotta documentale, che non consente di comprendere perché il
fatto sia stato qualificato in termini di bancarotta fraudolenta
documentale, laddove tale ultima qualificazione avrebbe imposto la
dichiarazione di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
3. Il ricorso non può essere accolto, per le seguenti ragioni.

ritenuta di giustizia, in relazione al reato di bancarotta fraudolenta

4. La corte territoriale ha puntualmente preso in considerazione i rilievi
difensivi formulati con l’atto di appello, ripercorrendo analiticamente e
criticamente l’intero percorso argomentativo seguito dal giudice di primo
grado, proprio sulla base dei rilievi formulati dalla difesa dell’imputato.

amministratore unico svolto dall’Ambrosino nell’ultimo periodo di
gestione, quando si era evidenziato lo stato -decozione dell’impresa, è il
contenuto delle dichiarazioni della Marra Giuseppa in ordine alla regolare
tenuta della contabilità, avendo, al riguardo, la teste non rappresentato
un dato oggettivo certo e verificabile, ma formulato una personale
valutazione, che, in quanto tale, non avrebbe nemmeno potuto formare
oggetto di testimonianza.
Tali dichiarazioni, dunque, non richiedevano una confutazione specifica
da parte della corte territoriale, avendo quest’ultima aderito ad una
ricostruzione dei fatti, incompatibile con il significato che il ricorrente
pretende di attribuire al contenuto della deposizione della Marra.
Anche l’ipotesi formulata dalla difesa, sempre valorizzando le
dichiarazioni della Marra, secondo cui a rispondere della mancata tenuta
delle scritture contabili in addebito avrebbe dovuto essere il Mancinelli,
al quale le scritture contabili sarebbero state consegnate, è stata
disattesa con logico argomentare dalla corte di appello.
Al riguardo il giudice di secondo grado ha rilevato come il suddetto
Mancinelli, in considerazione, sia della nomina ad amministratore della
società intervenuta in data (30.12.2005) molto prossima alla
dichiarazione di fallimento, sia del suo stato di invalido, che non gli
consentiva di uscire di casa (e che, comunque, aveva fatto pervenire al
curatore fallimentare documentazione del tutto inadeguata a consentire
la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della
società), debba considerarsi una mera “testa di legno”, coinvolta
formalmente dall’Ambrosino nella gestione della fallita per un periodo
talmente breve da non consentirgli di incidere in alcun modo
significativo sulla vita della società, proprio nell’estremo tentativo di
andare esente da responsabilità per avere omesso di tenere le scritture

Inidoneo a scardinare l’assunto accusatorio, fondato sul ruolo di

contabili, rendendo vano ogni controllo sul suo operato da parte degli
organi del fallimento, che, effettivamente, non hanno potuto reperire
attività adeguate al soddisfacimento dei crediti della massa.
La decisione della corte territoriale, in ultima analisi, si inserisce nel

secondo cui in tema di reati fallimentari l’amministratore di diritto
risponde del reato di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione
o per omessa tenuta, in frode ai creditori, delle scritture contabili, anche
laddove sia investito solo formalmente dell’amministrazione della società
fallita (cosiddetta testa di legno), in quanto sussiste il diretto e
personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le
predette scritture, purché sia fornita la dimostrazione della effettiva e
concreta consapevolezza del loro stato, tale da impedire la ricostruzione
del movimento degli affari (cfr., ex plurimis, Cass., sez. V, 19.2.2010, n.
19049, rv. 247251; Cass., sez. V, 30.10.2013, n. 642, rv. 257950).
Si è peraltro costantemente precisato, ai fini dell’individuazione
dell’elemento soggettivo (profilo che pure ha formato oggetto di censura
da parte del ricorrente) come l’omessa tenuta della contabilità interna
integri gli estremi del reato di bancarotta documentale fraudolenta solo
qualora si accerti che scopo dell’omissione sia quello di recare
pregiudizio ai creditori (cfr. Cass., sez. V, 27/03/2013, n. 20999; Cass.,
Cass., sez. V, 11/04/2012, n. 25432, rv. 252992), finalità che, nel caso
in esame, la corte territoriale desume dalla circostanza che l’omessa
tenuta della contabilità aveva impedito al curatore di “valutare il
movimento degli affari, di ricostruire il valore effettivo del magazzino, di
verificare l’esigibilità dei crediti”, con la conseguenza che “i creditori si
erano trovati, una volta fallita la società, nella condizione di non potersi
rivalere sui beni sociali in assenza di attivo”, dall’inerzia dimostrata
dall’imputato in ordine alla redazione del bilancio, allo sciglimento ed
alla messa in liquidazione della società e dalle manovre volte a
“scaricare” la propria responsabilità sul Mancinelli.
D’altro canto il ricorso, sul punto, è generico, essendosi limitato il
ricorrente a denunciare, per l’appunto genericamente, l’inadeguatezza

3

solco del tradizionale e costante insegnamento di questa Suprema Corte,

della motivazione della corte territoriale sull’elemento soggettivo del
reato.
5. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso di cui in premessa va,
dunque, rigettato, con condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616,

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma il 19.1.2018
Il Consigliere Estensore

Il Presi dente

Depositato in Canoe!
W1a,
Roma, lì

c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.

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