Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18776 del 27/11/2017


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 18776 Anno 2018
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Esposito Massimo, nato a Lecce il 23/01/1964

avverso la sentenza emessa 1’08/07/2016 dalla Corte di appello di Lecce

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa
Paola Filippi, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
uditi per il ricorrente gli Avv.ti Carlo Federico Grosso e Francesco Fasano, i quali
hanno concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso e l’annullamento della
sentenza impugnata

Data Udienza: 27/11/2017

RITENUTO IN FATTO

1. Con la pronuncia in epigrafe, la Corte di appello di Lecce riformava
parzialmente la sentenza emessa in data 13/04/2011, dal Tribunale della stessa
città, nei confronti di Massimo Esposito, imputato di reati ex artt. 216 e 223 del
r.d. n. 267/1942 in relazione al fallimento della “Forma” s.r.I., dichiarato
nell’ottobre 2006 (società della quale l’imputato era stato amministratore unico a

pena ritenuta di giustizia per ipotesi delittuose di bancarotta fraudolenta
documentale e patrimoniale, otteneva una decisione liberatoria quanto alla
presunta distrazione di disponibilità costituenti il conto cassa alla data del
31/12/2003.

La declaratoria di penale responsabilità trovava invece conferma

quanto alla bancarotta documentale: secondo il tenore del capo d’imputazione,
l’imputato aveva – con lo scopo di procurarsi un ingiusto profitto ed in frode ai
creditori – omesso di aggiornare i libri e le scritture contabili (il libro giornale ed
il registro fatture emesse risultavano aggiornati sino al 21/12/2003, il libro
inventari sino al 31/12/2002, il registro acquisti sino al 30/09/2003), e
comunque li aveva tenuti in modo da non rendere possibile la ricostruzione del
patrimonio e del movimento degli affari; inoltre, non aveva curato il deposito dei
bilanci successivi all’esercizio 2001.
La parziale assoluzione, con la conseguente esclusione della circostanza
aggravante di cui all’art. 219, comma secondo, n. 1 legge fall., comportava una
modifica in me/ius del trattamento sanzionatorio, rideterminato in anni 3 di
reclusione.

2. Avverso la sentenza emessa dalla Corte territoriale propone ricorso la
difesa dell’imputato, che articola il proprio atto di impugnazione in tre motivi di
doglianza.
2.1 Con un primo motivo, nell’interesse del ricorrente si lamenta
l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, dal momento che nella
fattispecie concreta non potrebbero dirsi ravvisabili gli elementi costitutivi del
delitto contestato: al contrario, ed a tutto voler concedere, la condotta realmente
emersa dall’istruttoria dibattimentale avrebbe dovuto essere qualificata nei
termini della meno grave fattispecie della bancarotta documentale semplice, ai
sensi dell’art. 217 legge fall. (da considerare oramai estinta per prescrizione).
La stessa relazione del curatore fallimentare, infatti, aveva evidenziato come
la “Forma” s.r.l. fosse rimasta totalmente inattiva dal 2003 al 2005: se è vero
che la società non tenne le scritture obbligatorie e non depositò i relativi bilanci,

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far data dal 23/04/2003). L’Esposito, condannato dai giudici di primo grado a

è nel contempo pacifico che non effettuò alcuna operazione commerciale, fatta
eccezione per l’acquisto di una fornitura di semilavorati di alluminio nei primi
mesi del 2005. Relativamente a tale materiale, il fornitore – la “Hydro Building
System” s.p.a. – aveva emesso regolare fattura per un importo di poco
superiore a 90.000,00 euro, rinvenuta presso la fallita; in seguito, la stessa
merce era stata venduta ad altra società, la “Montaggi System”, per circa
160.000,00 euro, ma senza che il corrispettivo fosse mai stato pagato (tra la
documentazione recuperata dagli organi della procedura concorsuale si rinvenne

l’inadempimento della società acquirente aveva comportato l’insolvenza della
“Forma” che, non in grado di onorare il pagamento verso la fornitrice, fu
dichiarata fallita su istanza della “Hydro Building System”, poi insinuatasi al
passivo per la somma corrispondente.
In definitiva, ci si trova dinanzi a due operazioni annotate e documentate
dalle relative fatture, senza dunque che il curatore abbia incontrato alcuna
difficoltà nella ricostruzione del compendio patrimoniale societario e del
movimento degli affari. La difesa argomenta altresì che, per potersi configurare
la bancarotta fraudolenta documentale, non è sufficiente una mera irregolarità
od incompletezza nella tenuta delle scritture contabili: il delitto, al contrario,
richiede modalità di tenuta indicative della coscienza e volontà dell’imprenditore
di impedire la ricostruzione anzidetta. A riguardo, nel corpo del ricorso si
invocano plurimi riferimenti giurisprudenziali di legittimità.
2.2 Con il secondo motivo, la difesa dell’Esposito deduce carenze
motivazionali della sentenza impugnata in ordine alla ritenuta sussistenza del
dolo.
Nel ricostruire la vicenda, la Corte di appello si sarebbe limitata ad un
sommario esame – nonostante la specifica obiezione avanzata, in sede di motivi
di gravame, alle identiche considerazioni dei giudici di primo grado – di alcune
equivoche dichiarazioni del curatore fallimentare, lamentatosi di non aver potuto
enucleare adeguatamente il patrimonio aziendale e il volume degli affari:
dichiarazioni che, sempre secondo la Corte territoriale, avrebbero trovato
conferma nella documentazione acquisita al fascicolo per il dibattimento.
Tuttavia, fra i documenti in atti, vi erano le fatture e bolle di accompagnamento
già ricordate, senz’altro sufficienti per escludere che gli organi della procedura si
fossero trovati dinanzi a soverchie difficoltà.
La tesi difensiva è che la prova dell’elemento psicologico del delitto di
bancarotta fraudolenta documentale, come già segnalato con il primo motivo,
non possa derivare dalla mera presa d’atto della mancanza od irregolarità delle
scritture, ma dalla consapevolezza che l’irregolare tenuta delle scritture renda

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anche la fattura di vendita, con tanto di bolla di accompagnamento). Proprio

impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell’imprenditore,
generalmente desumibile da indicatori precisi, quali la consistenza del materiale
documentale tenuto in violazione di legge, oppure la correlazione di tale condotta
con una parallela attività distrattiva che il disordine contabile appaia destinato a
celare, indicatori cui la sentenza impugnata non fa alcun riferimento.
2.3 Infine, lamenta il ricorrente difetto di motivazione in ordine al mancato
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62-bis cod. pen.,
che la Corte di appello nega in ragione della già avvenuta opzione per una pena

che giustifichino l’applicazione della norma, dei precedenti penali dell’Esposito e
della necessità di inserire le condotte dello stesso imputato in una più ampia
ideazione criminosa.
La difesa, a riguardo, segnala che la scelta del minimo edittale non
impedisce di intravedere nel fatto o nella personalità del reo ulteriori elementi di
positiva valutazione: fra l’altro, i giudici di merito non avrebbero tenuto conto
delle dichiarazioni spontanee rese dal prevenuto, ammissive di responsabilità e
dunque indici di positivo comportamento processuale, né dell’assoluzione
dell’Esposito dagli ulteriori addebiti. Inoltre, non potrebbe attribuirsi valenza
ostativa a precedenti penali riferiti a condanne molto risalenti, concernenti
financo pene soggette a benefici (i relativi reati, pertanto, dovrebbero ormai
considerarsi estinti). Poco comprensibile, alla luce dell’intero compendio
motivazionale, è infine l’affermazione che vorrebbe la condotta in rubrica inserita
in un più ampio contesto, stante la decisione liberatoria intervenuta proprio per
quei delitti che, in ipotesi, la fraudolenta tenuta della contabilità avrebbe inteso
celare.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve reputarsi inammissibile.

2. Le doglianze della difesa dell’Esposito, infatti, si rivelano aspecifiche ove
poste in relazione con l’impianto motivazionale della decisione impugnata,
giacché il ricorso non si confronta con le argomentazioni ivi esposte in ordine
all’impossibilità di ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della
società fallita.
Sotto un primo profilo, a pag. 2 della motivazione della Corte di appello di
Lecce non si segnala solamente che le scritture della “Forma” s.r.l. erano state
aggiornate fino al 2003 (in parte, al 2004), ma anche che «non risultavano
/
„—–) ,,–7,, -7 , /

/
7

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ancorata ai minimi edittali, della presunta inesistenza di ragioni obiettive positive

registrati in contabilità alcuni debiti, scoperti successivamente con l’insinuazione
al passivo di altri creditori»: con l’ulteriore specificazione che le dichiarazioni del
curatore fallimentare, a proposito dell’essere stato in grado di redigere la
situazione patrimoniale sulla base di dati incompleti, avevano trovato «ampia
conferma nella documentazione acquisita al fascicolo del dibattimento». In
merito a tali rilievi, la difesa obietta che, in realtà, la “Forma” rimase inattiva per
un lungo periodo, già prima della procedura concorsuale; ergo, nulla vi sarebbe
stato da ricostruire, salvo un’operazione relativa a merci acquistate da A e poi

fallimento), di cui esistevano comunque regolari fatture e bolle di
accompagnamento. In definitiva, all’assunto dei giudici di merito – già la
sentenza di primo grado, a pag. 3, dava contezza di «creditori insinuati al
passivo per operazioni non registrate in contabilità» – i difensori del ricorrente
replicano solo in parte, riferendo di una quasi completa inattività della società
fallita che era (e resta) però smentita dal riferimento degli organi della procedura
ad altri crediti emersi in seguito. Riferimento che il ricorso liquida
assertivamente come frutto di dichiarazioni errate e non univoche dello stesso
curatore, senza tuttavia evidenziare (vuoi ora, vuoi all’atto della redazione dei
motivi di appello) con riguardo a quali soggetti e per quali ragioni si sarebbe
trattato di crediti irrilevanti od inesistenti; né viene illustrato, in ipotesi, che al
momento della deposizione del curatore – avvenuta nella pienezza del
contraddittorio, come si evince dalle pagg. 1 e 2 della pronuncia del Tribunale la difesa fece in qualche modo emergere l’erroneità o l’inaffidabilità della
relazione depositata ex art. 33 legge fall., almeno in ordine ai presunti crediti
ulteriori.
Inoltre, e soprattutto, nell’interesse del ricorrente si rappresenta la assoluta
fisiologia dell’operazione di acquisto di semilavorati di alluminio, risalente al 2005
e dedotta come unica nell’ultimo triennio di vita della società: a fronte di quella
fornitura, si sarebbe registrato un normale – per quanto grave, avendo causato
l’insolvenza della “Forma” verso il primo venditore A – inadempimento del
destinatario finale B. Le cose, tuttavia, non andarono così, come puntualmente
segnalato da entrambe le sentenze di merito, visto che la “Montaggi System ”
s.p.a. (vale a dire il suddetto B) era una società:
avente identico oggetto e medesimo amministratore della “Forma” s.r.I.,
ovvero l’odierno imputato;
– che risultava l’unico debitore della “Forma”, atteso che quest’ultima (priva
di dipendenti e personale amministrativo, malgrado fosse stata costituita
per svolgere attività di assemblaggio di componenti di alluminio per
infissi) si limitava ad acquistare il materiale che poi forniva

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rivendute a B (non pagate da B, con il risultato che fu proprio A ad instare per il

esclusivamente alla stessa “Montaggi System”, ricevendone in seguito
pagamenti «sempre e solo per contanti» (v. pag. 5 della sentenza
impugnata);

già in stato di decozione (v. ancora pag. 5) all’epoca della fornitura

de

qua e dichiarata fallita nello stesso 2005 (v. pag. 6 della sentenza di
primo grado);

da ritenere, in definitiva, l’unica azienda tra le due ad essere produttiva,
tanto da doversi concludere che «la Forma s.r.l. servisse esclusivamente

Ne deriva, pertanto, che l’impossibilità di puntuale e completa ricostruzione
del patrimonio e del movimento degli affari della “Forma” fu certamente
perseguita e realizzata – attraverso le carenze documentali evidenziate dal
curatore fallimentare – nell’ambito di un piano unitario: piano che, seppure
strumentale a condotte di spoliazione avvenute nel diverso ambito societario
della “Montaggi System” (di qui la parziale assoluzione dell’Esposito quanto alla
presunta distrazione delle giacenze di cassa, da considerare certamente fittizie),
furono senz’altro animate dal dolo contestato dalla difesa. L’imputato, abbia o
meno agito – nella gestione della “Montaggi System” – avendo di mira la
prospettiva di recare pregiudizio a quei creditori, tenne comunque le scritture
della “Forma” con la volontà di non consentire che ne emergesse la reale
dimensione delle attività; volontà, in definitiva, inquadrabile in termini di dolo
generico, non dovendosi discutere nella presente fattispecie di libri contabili
sottratti, distrutti od occultati.
In ordine alla ipotesi di bancarotta documentale come descritta in rubrica,
deve infatti escludersi che essa richieda il dolo specifico; anni addietro, la
giurisprudenza di questa Corte affermava che «per la configurazione delle ipotesi
di reato di sottrazione, distruzione o falsificazione di libri e scritture contabili, per
espresso dettato dell’articolo 216, primo comma n. 2, della legge fallimentare, è
necessario il dolo specifico, consistente nello scopo di procurare a sé o ad altri un
ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, mentre per le ipotesi di
irregolare tenuta della contabilità, caratterizzate dalla tenuta delle scritture in
maniera da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del
movimento degli affari, è richiesto invece il dolo intenzionale, perché la finalità
dell’agente è riferita ad un elemento costitutivo della stessa fattispecie oggettiva
– l’impossibilità di ricostruire il patrimonio e gli affari dell’impresa – anziché a un
elemento ulteriore, non necessario per la consumazione del reato, quale è il
pregiudizio per i creditori» (Cass., Sez. V, n. 5905 del 06/12/1999, Amata, Rv
216267; v. anche, nello stesso senso, Cass., Sez. V, n. 21075 del 25/03/2004,
X.). Le pronunce degli anni successivi, ferma restando la necessità del

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a “scaricare” le passività della Montaggi System».

dolo specifico per le sole ipotesi di sottrazione o falsificazione della contabilità (v.
Cass., Sez. V, n. 21872 del 25/03/2010, Laudiero), hanno financo superato
l’orientamento secondo cui l’irregolare tenuta delle scritture, rilevante

ex art.

216, comma primo, n. 2, legge fall., presuppone il dolo intenzionale: a riguardo,
si è precisato che il reato de quo «richiede il dolo generico, costituito dalla
consapevolezza nell’agente che la confusa tenuta della contabilità potrà rendere
impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio, non essendo, per
contro, necessaria la specifica volontà di impedire quella ricostruzione» (Cass.,

stesso senso, Cass., Sez. V, n. 22109 dell’11/05/2005, Veronesi).
Quanto al trattamento sanzionatorio, deve essere qui ribadito che «la
sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell’art. 62-bis cod. pen. è
oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione
fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile
in sede di legittimità, purché non contraddittoria e congruamente motivata,
neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi
fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato» (Cass., Sez. VI, n. 42688
del 24/09/2008, Caridi, Rv 242419). Giurisprudenza altrettanto consolidata
afferma che «ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti
generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati
dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o
meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente
alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione
di esso può essere sufficiente in tal senso» (Cass., Sez. H, n. 3609 del
18/01/2011, Sermone, Rv 249163).
Il richiamo a «precedenti penali per reati di forte allarme sociale», pertanto,
fa ritenere che la Corte territoriale abbia certamente assolto al proprio obbligo
motivazionale in vista della negazione delle attenuanti in parola, tanto più che la
difesa si limita a rappresentare che tali condanne pregresse sarebbero lontane
nel tempo (senza tuttavia poter confutare il rilievo, di cui alla pag. 13 della
sentenza di primo grado, che si trattava di precedenti per truffa, ricettazione e
calunnia). Niente affatto oscuro, infine, è l’inquadramento della condotta in
rubrica in una ideazione criminosa più ampia, visto che – per le stesse ragioni
sottese all’assoluzione dell’Esposito dall’accusa di bancarotta per distrazione di
beni della “Forma”, sì da rendere tale elemento non suscettibile di positiva
valutazione – la Corte di appello spiega come la tenuta delle scritture contabili
della società fallita fu strumentale a comportamenti di penale rilievo nella
gestione di altra società.

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Sez. V, n. 5264 del 17/12/2013, Manfredini, Rv 258881; v. altresì, già nello

3. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna dell’Esposito al
pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento in favore
della Cassa delle Ammende della somma di C 2.000,00, così equitativamente
stabilita in ragione dei motivi dedotti.

P. Q. M.

spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 27/11/2017.

Il Presidente

Il Consigliere estensore
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Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

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