Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18764 del 09/02/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 18764 Anno 2018
Presidente: DIOTALLEVI GIOVANNI
Relatore: DI PAOLA SERGIO

Data Udienza: 09/02/2018

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
MALINCONICO ANIELLO nato il 23/12/1971 a PALMA CAMPANIA
FERRANTE ALESSANDRO nato il 10/12/1968
GALEOTALANZA SAVERIO nato il 06/02/1959

avverso l’ordinanza del 17/10/2017 della Corte d’appello di Napoli
sentita la relazione svolta dal Consigliere Sergio Di Paola;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale Giovanni Di Leo, che ha
concluso chiedendo dichiarasi l’inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 16 ottobre 2017 la Corte di Appello di Napoli rigettava
l’istanza di ricusazione proposta da Aniello Malinconico, Alessandro Ferrante e
Saverio Galeotalanza nei confronti di Anna Imparato, Giovanna Di Petti e Anna
Tirone, giudici del Collegio penale B del Tribunale di Nola, che stava giudicando i
predetti imputati; l’istanza era stata presentata sul presupposto dell’intervenuta
incompatibilità del collegio giudicante per aver emesso, il 6 ottobre 2017, nello
stesso procedimento che era poi proseguito nei confronti degli imputati Aniello
Malinconico, Alessandro Ferrante e Saverio Galeotalanza e di altri coimputati,
sentenza di immediata declaratoria di improcedibilità per una serie di reati,
estinti per prescrizione, compresa la partecipazione di alcuni imputati al delitto di

P

associazione per delinquere, disponendo la prosecuzione del giudizio per la
residua imputazione relativa al delitto di associazione per delinquere a carico
degli odierni ricorrenti, nella veste di capi e promotori, nel cui ambito erano stati
commessi i reati dichiarati estinti.
2.

La Corte d’Appello aveva dichiarato l’inammissibilità dell’istanza,

osservando che la giurisprudenza costituzionale e di legittimità avevano da
sempre escluso la possibilità del realizzarsi di situazioni di incompatibilità per
pregresse valutazioni compiute dal giudice legittimamente investito del merito

finale del giudizio.
3.

Hanno proposto ricorso per cassazione le difese degli imputati, deducendo

la violazione della legge processuale in relazione al disposto degli artt. 34, 37, e
178, comma 1, lett. a) cod. proc. pen., oltre ché la violazione degli artt. 11 Cost.
e 6 Cedu; i ricorrenti censurano la motivazione dell’ordinanza che si era diffusa
sulla questione della pregressa valutazione del merito del medesimo fatto nei
confronti dello stesso imputato, mentre la questione sollevata con l’istanza di
ricusazione era quella del pregiudizio derivante dalla precedente pronuncia di
una sentenza avente ad oggetto differenti posizioni soggettive (concorrenti
necessari nel delitto associativo) incidenti sulle posizioni degli imputati ancora da
giudicare; ritenevano che la giurisprudenza evocata dall’ordinanza della Corte
d’Appello non fosse pertinente rispetto al caso di specie, ritenendo invece che
dovesse trovare applicazione il principio di diritto enunciato dalla decisione a
Sezioni unite (n. 36847/2014) secondo il quale l’ipotesi di incompatibilità del
giudice derivante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 371 del 1996 – che
aveva dichiarato l’ incostituzionalità dell’art. 34, 2 0 comma, c.p.p. («nella parte
in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio nei confronti di un
imputato il giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare una
precedente sentenza nei confronti di altri soggetti, nella quale la posizione di
quello stesso imputato in ordine alla sua responsabilità penale sia già stata
comunque valutata») sussiste anche con riferimento alla ipotesi in cui il giudice
del dibattimento abbia, in separato procedimento, pronunciato sentenza di
applicazione della pena su richiesta nei confronti di un concorrente necessario
nello stesso reato. I medesimi difensori hanno depositato nuovi motivi di ricorso
in data 30 ottobre 2017; hanno rilevato, all’esito del deposito della motivazione
della sentenza che aveva dichiarato l’estinzione dei reati per intervenuta
prescrizione, che la decisione aveva affermato, in relazione all’ipotesi associativa
contestata anche agli odierni ricorrenti, l’insussistenza della prova evidente
dell’innocenza degli imputati, così anticipando il giudizio che rendeva
pregiudicante tale pronuncia, richiamando come elemento di prova il verbale

2

del processo e sulla base degli stessi elementi posti a fondamento della decisione

della testimonianza di un ufficiale di p.g. che aveva ampiamente riferito sulle
caratteristiche del sodalizio indicando gli imputati quali promotori
dell’associazione oggetto dell’imputazione.
4.

Con autonomo ricorso depositato il 24 ottobre 2017, l’Avv. Raffaele

Bizzarro nell’interesse degli imputati Malinconico e Ferrante ha dedotto la
violazione degli art. 34, 36 e 37 cod. proc. pen. nonché dell’art. 6 CEDU; il
ricorrente replica gli argomenti relativi alla peculiare natura della pronuncia
emessa, relativa ad un reato a concorso necessario, che implica logicamente e

le condizioni per la pronuncia di estinzione del reato, avendo altresì riguardo al
momento in cui la pronuncia è intervenuta (all’esito di una corposa istruttoria e
poco prima che si giungesse alla fase della discussione).
5.

Con ulteriore motivo di ricorso ha dedotto la violazione della norma

processuale di cui all’art. 41 cod. proc. pen., per avere dichiarato la Corte
d’Appello l’inammissibilità dell’istanza a fronte di una questione che non poteva
°
dirsi manifestamente infondata, con le pregideievoli conseguenze della
decisione assunta de plano e non nel contraddittorio delle parti.
6.

Con un ultimo motivo di ricorso ha denunciato il vizio del provvedimento

impugnato per esser la relativa motivazione apparente e, quindi, mancante;
lamenta il ricorrente che la Corte d’Appello non abbia dato risposta alle questioni
sollevate con l’istanza di ricusazione, relativamente alla natura del delitto di
associazione per delinquere (reato a concorso necessario), rispetto al quale era
stata pronunciata la sentenza declaratoria di estinzione del reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono inammissibili.
2. Deve essere in primo luogo esaminata la questione preliminare, sollevata
con il ricorso proposto dall’Avv. Bizzarro in data 24 ottobre 2017, relativa
all’illegittima

declaratoria

di

inammissibilità

dell’istanza

di

ricusazione

pronunciata de plano, in assenza dei presupposti richiesti dall’art. 41 cod. proc.
pen. Ritiene il ricorrente che la Corte d’appello abbia ignorato l’insegnamento di
legittimità, che ha più volte affermato l’illegittimità dell’ordinanza di
inammissibilità adottata all’esito di procedura camerale, ai sensi dell’art. 41,
comma 1, cod. proc. pen., quando i motivi addotti concernano questioni
controverse nella giurisprudenza (cfr. Sez. 3, n. 18147 del 29/05/2015, dep.
2016, Pomilio, Rv. 266576, relativa alla questione della

dichiarazione di

ricusazione dei componenti di un collegio, incaricato della trattazione di
impugnazione avverso misura di prevenzione; Sez. 1, n. 1634 del 16/12/2014 –

3

necessariamente anche la valutazione degli imputati per i quali non ricorrevano

dep. 14/01/2015, Arena, Rv. 262001, sempre in tema di ammissibilità della
dichiarazione di ricusazione dei componenti di un collegio incaricato della
trattazione di un procedimento per l’applicazione di misure prevenzione).
Come sarà specificato nell’esaminare il merito dei ricorsi proposti, l’oggetto
dell’istanza non concerneva affatto una questione oggetto di dibattute
interpretazioni giurisprudenziali, bensì la prospettazione formulata dai ricorrenti
circa la prevalenza, nell’individuazione della situazione processuale avente potere
pregiudicante, delle caratteristiche dell’imputazione oggetto del processo. La

ponesse al di là della concreta situazione processuale che aveva dato origine alla
pronuncia da cui si intendeva far discendere il dato dell’anticipazione del giudizio,
costituente motivo ineludibile del dovere di astensione e, conseguentemente,
della legittima richiesta di ricusazione. Corretta, dunque, l’adozione del modulo
processuale indicato dall’art. 41, 1 comma, da adottare ogni qual volta la
richiesta di ricusazione risulti manifestamente infondata (Sez. 4, n. 42024 del
06/07/2017, Ventrici, Rv. 270770), situazione che si apprezza attraverso una
sommaria delibazione «che si arresta “in limine” rispetto all’ambito peculiare
dello scrutinio di merito e che consiste in una verifica esterna di corrispondenza
al modello legale, concernendo il sindacato del giudice la mera plausibilità,
risultante “ictu oculi”, dei motivi che sorreggono l’atto» (Sez. 6, n. 37112 del
05/04/2012, Iannuzzi, Rv. 253462).
3. Passando all’esame della questione principale posta a fondamento del
ricorso, come sopra riassunta, va osservato che la decisione adottata dalla Corte
partenopea è corretta e coerente con la specifica situazione processuale
determinatasi nel corso del giudizio. E’ dato incontestato, infatti, che nel corso
del medesimo processo il Collegio del Tribunale, composto dai magistrati indicati
in premessa, ha pronunciato sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’art.
129 cod. proc. pen., per intervenuta estinzione dei reati di partecipazione ad
un’associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati di truffa in
danno di compagnie assicurative, di falsità materiale ed ideologica in
certificazioni mediche, nonché dei corrispondenti reati fine; ha disposto la
prosecuzione del giudizio nei confronti degli odierni ricorrenti, chiamati a
rispondere del delitto di promozione e organizzazione della medesima
associazione per delinquere (delitto per il quale non era maturato al momento
della pronuncia il termine massimo di prescrizione).
La pronuncia emessa dal Tribunale di Nola si colloca nell’ambito del
medesimo procedimento (poiché solo per ragioni di carattere pratico e
amministrativo si è proceduto al c.d. “stralcio” delle posizioni degli odierni
ricorrenti, formando un autonomo fascicolo processuale, non ricorrendo alcuna

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Corte, con giudizio • condivisibile, ha ritenuto che la questione così posta si

delle ipotesi di separazione dei processi di cui all’art. 18 cod. proc. pen.) e,
pertanto, rispetto ad essa non può logicamente ipotizzarsi che le stesse persone
fisiche che componevano (e comporranno) il Collegio chiamato a decidere
abbiano espresso un giudizio in grado di incidere su future decisioni da assumere
nel merito dei medesimi temi di accusa. Tale snodo processuale è di
fondamentale importanza, poiché da esso deriva l’impossibilità logica di
ipotizzare l’esistenza di situazioni omologabili a quelle di precedenti giudizi,
espressi in diverse ed autonome sedi processuali, suscettibili di determinare

La specifica vicenda processuale non è nuova, poiché in un caso identico
(ricordato dalla decisione della Corte d’appello) la Corte di legittimità ha
enunciato il principio di diritto secondo cui «non versa in situazione di
incompatibilità il giudice che, dopo l’apertura del dibattimento, dichiari con
sentenza l’estinzione per prescrizione di alcuni reati per cui procede, disponendo
contestualmente il prosieguo del dibattimento in relazione agli altri» (Sez. 6, n.
34517 del 04/07/2012, Copertino, Rv. 253436); nella motivazione di quel
precedente è stato precisato che « tutta la giurisprudenza, anche costituzionale,
che ha via via allargato il raggio d’azione dell’incompatibilità per pregressa
valutazione sul merito dello stesso fatto e nei confronti dello stesso soggetto, si è
sempre riferita a situazioni relative a procedimenti, gradi, fasi o materiale
cognitivo diversi rispetto al procedimento avente specificamente ad oggetto quel
fatto a carico del medesimo soggetto. La stessa Corte ha invece sempre escluso
che situazioni d’incompatibilità potessero verificarsi in conseguenza di valutazioni
operate dal giudice già legittimamente investito, nella sede propria, del merito,
sulla base degli stessi elementi destinati a essere posti a base della decisione
finale (Corte cost, n. 448 del 1995; n. 177 del 1996): e ciò perché in questi casi
la valutazione non costituisce anticipazione di un giudizio che deve essere
instaurato, ma, al contrario, si inserisce nel giudizio del quale il giudice è già
correttamente investito senza che ne possa essere spogliato: anzi è la
competenza ad adottare il provvedimento dal quale si vorrebbe far derivare
l’incompatibilità che presuppone la competenza per il giudizio di merito e si
giustifica in ragione di essa».
4. La tesi dei ricorrenti, esposta reiteratamente in ciascuno dei ricorsi
proposti, si fonda al contrario sulla rilevanza del tema d’accusa ossia, l’aver
promosso e organizzato i ricorrenti quella stessa associazione per delinquere
rispetto alla quale, con la sentenza dichiarativa della prescrizione, il collegio
aveva già espresso il giudizio sull’insussistenza di elementi idonei per una
pronuncia di Proscioglimento nel merito. In particolare, i ricorrenti hanno
richiamato la statuizione delle Sezioni unite che ha affermato il seguente

5

l’incompatibilità del Giudice nell’esprimere un nuovo giudizio.

principio di diritto: «L’ipotesi di incompatibilità del giudice derivante dalla
sentenza della Corte costituzionale n. 371 del 1996 – che ha dichiarato la
incostituzionalità dell’art. 34, comma secondo, cod. proc. pen., “nella parte in cui
non prevede che non possa partecipare al giudizio nei confronti di un imputato il
giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare una precedente sentenza
nei confronti di altri soggetti, nella quale la posizione di quello stesso imputato in
ordine alla sua responsabilità penale sia già stata comunque valutata” – sussiste
anche con riferimento alla ipotesi in cui il giudice del dibattimento abbia, in

richiesta nei confronti di un concorrente necessario nello stesso reato. (Sez.
Unite, n. 36847 del 26/06/2014, Della Gatta, Rv. 260093)
Occorre, però, tenere conto che il principio di diritto enunciato dalle Sezioni
unite trova applicazione nelle fattispecie in cui sia acquisito, dall’esame degli atti
processuali e, in particolare, dal tenore della motivazione della sentenza emessa
nel processo che si assume “pregiudicante”, che l’oggetto del precedente giudizio
espresso sia non già, e non solo, l’esistenza dell’ipotizzata associazione per
delinquere, ma esattamente la partecipazione (nel caso sottoposto al presente
giudizio, con i ruoli di promotori e organizzatori) dell’imputato o degli imputati,
che debbano essere successivamente giudicati dal medesimo giudice, a quella
specifica associazione per delinquere. Era stato già efficacemente sottolineato, al
riguardo, che «anche dopo la sentenza n. 371 del 1996 della Corte
costituzionale, non sussiste incompatibilità del giudice che abbia concorso alla
pronuncia di condanna per associazione per delinquere (nella specie, di tipo
mafioso) a giudicare successivamente della partecipazione ad essa di un
imputato rimasto estraneo, a seguito di provvedimento di separazione, al
processo per il reato associativo» (Sez. 1, n. 35628 del 09/10/2002, Pellegrino,
Rv. 222334), osservando che «indefettibile presupposto della incompatibilità del
giudice e quindi della sua eventuale ricusazione, [è] la valutazione della
posizione di un terzo che, rimasto estraneo al primo processo per motivi di
carattere rituale – la separazione dei giudizi – sia stata comunque (e quindi, non
solo a seguito di un puntuale ed esauriente esame delle prove raccolte a suo
carico, ma anche quando abbia formato oggetto di una delibazione di merito
superficiale e sommaria) considerata e apprezzata; ma ciò deve intendersi alla
stregua del tipo di imputazione formulato. Nel caso di reato associativo, il
pregiudizio deve attenere non alla affermazione della esistenza dell’associazione,
ma a quella della partecipazione alla stessa da parte del singolo imputato – sia
questi giudicato prima o dopo». Significativamente, anche la decisione a Sezioni
unite invocata dai ricorrenti a sostegno della fondatezza del ricorso, dopo avere
enunciato il principio di diritto su riportato, nel decidere il ricorso sottoposto al

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separato procedimento, pronunciato sentenza di applicazione della pena su

loro esame – che concerneva anche in quella fattispecie una precedente
sentenza, di applicazione della pena, nei confronti di un originario coimputato
nello stesso processo e per la medesima imputazione di partecipazione alla
stessa associazione per delinquere, decisione ipotizzata come potenzialmente
pregiudicante il nuovo giudizio nei confronti degli altri partecipi alla stessa
associazione – hanno escluso che potesse trovare applicazione il motivo di
ricusazione in quanto l’associazione, come descritta nell’imputazione,
comprendeva un numero di soggetti che non comportava necessariamente

soggetti richiesto per costituire un’associazione per delinquere; inoltre, hanno
rilevato che nella sentenza di applicazione della pena emessa nei confronti del
coimputato, assunta come atto pregiudicante, non vi era «il minimo cenno alla
posizione degli altri coimputati, e la motivazione, con riferimento all’imputato
patteggiante, si basa[va] correttamente (…) sul criterio della non ravvisabilità di
alcuna causa di proscioglimento ex art. 129, comma 1, cod. proc. pen.», sicché
in quella sentenza non era stata espressa alcuna considerazione di merito che
potesse reputarsi in concreto pregiudicante rispetto alla posizione dei correi.
5.

Ora, non v’è chi non veda che alcuno dei presupposti indicati nelle

decisioni su richiamate ricorrevano nel processo celebrato davanti al Tribunale di
Nola; il processo in cui è stata pronunciata la sentenza che si ipotizza possa
costituire ragione di compromissione dell’imparzialità dei giudici, non era un
processo separato, diverso ed autonomo da quello in cui devono essere giudicati
i ricorrenti; la sentenza pronunciata non ha espresso alcun giudizio relativo alla
posizione degli odierni ricorrenti, essendosi limitata la decisione a dare atto con
formula del tutto generica che, in riferimento alla contestazione del delitto di
partecipazione al sodalizio oggetto di imputazione, elevata nei confronti degli
altri coimputati (in numero di tre e, quindi, già sufficienti a co . stituire
un’associazione per delinquere, anche senza tenere conto della posizione degli
odierni ricorrenti) “nel caso di specie non emerge quella prova evidente della
innocenza degli imputati e ciò alla luce della deposizione testimoniale del
Maresciallo Bettini e degli altri testi escussi”.
6. Né può assumere rilievo, a tal fine, come sostenuto dai ricorrenti con il
ricorso formulato dopo il deposito della motivazione della sentenza, la
comunanza del materiale probatorio, esaminato dai giudici che hanno
pronunciato la sentenza e che costituirà la base del futuro giudizio; in ordine al
profilo della rilevanza della comune origine delle prove già valutate e di quelle da
valutare nel processo che si assume pregiudicato, la giurisprudenza di questa
Corte ha già affrontato la questione e l’ha risolta in senso negativo, rilevando che
non sussiste alcuna valida causa di ricusazione «nei confronti del giudice che

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l’inserimento dei ricorrenti tra coloro che rappresentavano il numero minimo di

abbia pronunciato o concorso a pronunciare sentenza in precedente
procedimento nei confronti di alcuni correi e che successivamente pronunci o
concorra a pronunciare altra sentenza nei confronti di altri concorrenti nello
stesso reato, ancorché nel secondo processo occorra valutare le medesime fonti
di prova già valutate nel primo processo. Infatti, l’autonomia delle posizioni di
ciascun concorrente consente, pur nella naturalistica unitarietà della fattispecie,
una scomposizione del fatto in una pluralità di condotte autonomamente
valutabili in processi distinti, senza che la decisione dell’uno possa influenzare

3840 del 24/11/1999, Musitano , Rv. 216328)
7. All’ inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al
pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i
profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal
ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento da parte di ciascuno
di essi della somma, che si ritiene equa, di euro duemila a favore della Cassa
delle ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e ciascuno al pagamento della somma di euro duemila in
favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 9/2/2018

Il Consigli
Ser.

estensore
Paola

idente
otallevi

quella dell’altro (Fattispecie in tema di associazione per delinquere)» (Sez. 6, n.

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