Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18756 del 31/01/2017


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 18756 Anno 2017
Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: TUTINELLI VINCENZO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MANTI CARMELO nato il 03/09/1954 a CONDOFURI

avverso il decreto del 16/10/2015 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
sentita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO TUTINELLI;
.
,
lette/sentite le conclusioni del PG HA

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 31/01/2017

RITENUTO IN FATTO.
1. Con il decreto in epigrafe, la Corte di appello di Reggio Calabria -sezione
misure di prevenzione- ha rigettato la richiesta di applicazione di misura di
prevenzione patrimoniale a carico di MANTI Carmelo confermando la misura di
prevenzione personale.
2. Avverso tale provvedimento propone ricorso per cassazione il proposto
articolando i seguenti motivi2.1 violazione dell’articolo 2 della legge 575/1965 nonché degli articoli 1 – 3

sussistenza della pericolosità sociale del ricorrente.
Afferma il ricorrente che la Corte territoriale, per giustificare l’applicazione
della misura, avrebbe “ripreso” sic et simpliciter le ipotesi formulate in
precedenza dal Tribunale, senza ancorare tali ipotesi così espresse ad alcuna
situazione obiettivamente accertata. In sostanza, la motivazione si risolverebbe
in una prospettazione del tutto generica in quanto basata più su una convinzione
personale che su una concreta pericolosità riconducibile all’effettiva realtà dei
fatti perché, a parte un mero excursus storico sulla presunta carriera criminale
del ricorrente, non verrebbe addotto alcun elemento concreto idoneo a
dimostrare l’effettiva sussistenza della pericolosità sociale, fermo restando che il
coinvolgimento del proposto nel procedimento in cui ha riportato condanna si
arresta ad epoca pregressa rispetto a quella corrente e appare ragionevolmente
non rilevante in quanto la relativa condotta non aveva caratteri di abitualità
come confermato della breve estensione temporale (maggio 2006-aprile 2007),
di fatto irrilevante rimanendo il precedente penale del MANTI relativo al reato di
omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali.
2.2. Erronea applicazione dell’articolo 2 della legge 575/1965 e degli articoli
1 – 3 legge numero 123/1956.
Afferma il ricorrente che, se la pericolosità – pur in precedenza esistente- è
cessata, non vi è nulla da prevenire e pertanto non occorre alcuno specifico
controllo. Di conseguenza, la misura non avrebbe ragione d’essere e, se
applicata, andrebbe revocata ex tunc.
Ribadisce esservi precedenti penali lontani nel tempo e di mere congetture
della Corte d’appello; rileva che il proposto è stato sottoposto agli arresti
domiciliari negli ultimi cinque anni rimanendo sorvegliato e sotto costante
controllo tanto da non poter ritenere ipotizzabile ad oggi alcun collegamento con
il gruppo criminale di appartenenza rispetto a cui svolgeva comunque ruolo di
secondo piano.

2

della legge 1423/1956 nonché illogicità della motivazione in ordine alla

4. Il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, Dottor Roberto
Aniello, ha depositato conclusioni scritte chiedendo dichiararsi inammissibile il
ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2.

Deve preliminarmente rilevarsi che la mancanza della pagina 3 del

decreto impugnato della pagina 2 della copia del decreto di primo grado dedotta
dal Procuratore Generale nelle proprie conclusioni risulta essere irrilevante ai fini

ricorso.
3. Va al proposito rilevato che, risultando in atti una condanna per la
partecipazione ad associazione a delinquere di stampo mafioso (peraltro
divenuta definitiva in epoca assai recente all’esito della sentenza di questa Corte
numero 44704/2015) la valutazione della pericolosità sociale risulta conseguente
alla partecipazione a tale associazione, senza che sia necessaria alcuna
particolare motivazione in punto attuale pericolosità, sempre che non sussistano
elementi positivi dai quali ragionevolmente desumere che sia venuto meno, per
effetto di un manifestato recesso, il legame con l’associazione d’appartenenza, in
nulla rilevando, sotto questo aspetto, il decorso del tempo (Sez. 2, sentenza n.
8106 del 21 gennaio 2016).
In atti non viene nemmeno dedotta alcuna positiva condotta effettivamente
espressiva del recesso dell’imputato dall’associazione di stampo mafioso.
4.

Ciò premesso, ai fini dell’applicazione di misure di prevenzione nei

confronti di appartenenti ad associazioni di tipo mafioso, non è necessaria alcuna
particolare motivazione in punto di attuale pericolosità, una volta che
l’appartenenza risulti adeguatamente dimostrata e non sussistano elementi dai
quali ragionevolmente desumere che essa sia venuta meno per effetto del
recesso personale, non essendo dirimente a tal fine il mero decorso del tempo
dall’adesione al gruppo o dalla concreta partecipazione alle attività associative.
Ne consegue che – anche ritenendo che il proposto rivestisse posizione “non
centrale” nell’ambito dell’associazione – nè il corretto comportamento in carcere
(Sez. 5, Sentenza n. 51735 del 12/10/2016 Rv. 268849) né il trascorrere del
tempo (Sez. 2, Sentenza n. 8106 del 21/01/2016 Rv. 266155) risultano
sufficienti a vincere la presunzione di appartenza, in difetto di atteggiamenti
dissociativi chiari ed espliciti.
5. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso.
6. Alla declaratoria d’inammissibilità consegue, per il disposto dell’art. 616
c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché
al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e

3

della compiuta comprensione della portata della decisione oggetto dell’odierno

valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in C
1.500,00.
P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro millecinquecento a favore della Cassa
delle ammende.
Roma, il 31 gennaio 2017

Il Consig ere estensore

Il Pre5id5énte

Così deciso

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