Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18756 del 06/04/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 18756 Anno 2018
Presidente: DIOTALLEVI GIOVANNI
Relatore: AIELLI LUCIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Pascucci Rosario nato a Lamezia Terme il 12/9/1979
avverso la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro del 12/7/2016
visti gli atti , la sentenza ed il ricorso;
udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere dott. Lucia Aielli;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Elisabetta Ceniccola che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

1

Data Udienza: 06/04/2018

Premesso in fatto

1. Con sentenza del 12/7/2016 la Corte d’Appello di Catanzaro in riforma della sentenza di
assoluzione emessa dal Tribunale di Lamezia Terme il 5/6/2014 nei confronti di Pascucci
Rosario, condannava l’odierno ricorrente alla pena ritenuta di giustizia in ordine al delitto di
rapina posto in essere nei confronti di Mete Maria.
Il giudice di secondo grado, ritenuta la decisività delle dichiarazioni della p.o. : Mete Maria ,

giudice di primo grado, ritenuta la Mete pienamente attendibile, giungeva alla affermazione di
penale responsabilità del Pascucci.
2 Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione Pascucci Rosario, per mezzo del suo
difensore il quale con ricorso per la maggior parte riproduttivo delle sentenze di primo e
secondo grado, ivi testualmente riportate, nella parte finale, deduce vizi di legittimità per
violazione di legge ( in relazione agli artt. 530 e 533 c.p.p.) ed illogicità e carenza della
motivazione avuto riguardo agli elementi valorizzati dal primo giudice, a suo avviso del tutto
pretermessi dalla Corte d’appello, in virtù dei quali permaneva quel “ragionevole dubbio” che
aveva condotto il giudice di primo grado ad assolvere l’imputato in ossequio al dettato di cui
all’art. 533 comma primo c.p.p.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato .
2.

Va preliminarmente osservato che la Corte d’appello conformemente alla lezione

interpretativa fornita dalla Suprema Corte nel suo più autorevole consesso , ha proceduto alla
rinnovazione istruttoria mediante l’ assunzione diretta della prova dichiarativa ritenuta
decisiva, addivenendo all’affermazione di penale responsabilità con motivazione congrua,
esaustiva e corretta in diritto (Sez. U. n.27620/2016, Rv. 267487).
2.1. La p.o. dichiarava infatti di aver potuto riconoscere tranquillamente il suo aggressore che
conosceva da tempo, giustificando la mancata indicazione dello stesso nell’immediatezza del
fatto, per la paura che l’uomo le incuteva ed ha aggiunto che egli sapeva che la donna
riponeva nel reggiseno somme di denaro e per questa ragione, dopo averle strappato la
catenina, le frugava nell’indumento intimo per cercare il denaro .
2.2. La Corte d’appello ha poi evidenziato che non vi erano motivi di astio tra la p.o. ed il
Pascucci che potessero inficiare il suo racconto, ma semmai uno stato di soggezione della
prima verso il secondo, inoltre la Mete non si era nemmeno costituita parte civile dimostrando
così di non nutrire intenti risarcitori verso il ricorrente.
3. Ciò posto deve affermarsi che la versione alternativa fornita dalla difesa alla stregua di
elementi valorizzati dal giudice di primo grado, considerati non dirimenti dal Giudice di secondo
grado a fronte delle decisività delle dichiarazioni della p.o., non introduce alcun ragionevole
2

,

procedeva all’assunzione della sua deposizione e, contrariamente a quanto sostenuto dal

dubbio in grado di scardinare il ragionamento seguito dal giudice di appello, dovendosi’ in
questa sede ribadire che il canone del ” ragionevole dubbio” , inserito nel comma 1 dell’art.
533 c.p.p. ad opera della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (ma già individuato dalla
giurisprudenza quale inderogabile regola di giudizio: v. Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002,
Franzese, Rv. 222139), come sottolineato di recente dal Supremo Collegio ( S.Unite n.27620
del 28/04/2016; Rv. 267492), impone nel caso di sentenza d’appello che riformi una pronuncia
assolutoria addivenendo in mancanza di elementi sopravvenuti, ad una mera diversa

giustificare una pronuncia di colpevolezza, di ricorrere, in caso di affermazione di
responsabilità, ad una “forza persuasiva superiore”, tale da far venire meno “ogni ragionevole
dubbio” (ex plurimis, Sez. 3, n. 6817 del 27/11/2014, dep. 2015, S., Rv. 262524; Sez. 1, n.
12273 del 05/12/2013, dep. 2014, Ciaramella, Rv. 262261; Sez. 6, n. 45203 del 22/10/2013,
Paparo, Rv. 256869; Sez. 2, n. 11883 del 08/11/2012, dep. 2013, Berlingeri, Rv. 254725;
Sez. 6, n. 8705 del 24/01/2013, Farre, Rv. 254113; Sez. 6, n. 46847 del 10/07/2012, Aimone,
Rv. 253718) dato che, come incisivamente notato da Sez. 6, n. 40159 del 03/11/2011,
Galante, «la condanna presuppone la certezza della colpevolezza, mentre l’assoluzione non
presuppone la certezza dell’innocenza ma la mera non certezza della colpevolezza»
Va altresì rimarcato che la regola di giudizio compendiata nella formula ” al di là di ogni
ragionevole dubbio” , formalizzata all’art. 533 c.p.p., non esclude che si debba pronunciare
condanna quando il dato probatorio acquisito lascia fuori soltanto eventualità remote pur
astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura, ma la cui effettiva
realizzazione, risulti priva del benchè minimo riscontro nelle emergenze processuali ,
ponendosi al di fuori dell’ordine naturale della cose e della normale razionalità umana ( Sez.

1

17921/2010 , rv. 247449; Sez. 1 44324/2013, rv. 258321; Sez. 2 , 2548/2014, rv.262280) .
4. Ciò detto, nel caso di specie, alcun ragionevole dubbio nel senso sopra illustrato risulta
permanere all’esito della rinnovata istruttoria condotta dal giudice d’appello, il quale ha
poggiato il proprio ragionamento sulle dichiarazioni della p.o. ( al pari del giudice di primo
grado) adeguatamente vagliate sotto il profilo della attendibilità estrinseca e intrinseca alla
luce del costante insegnamento della Corte di legittimità ( Sez. U. 19/7/2012 n. 4146; rv.
253214), segnalando che i dubbi prospettati dal giudice di primo grado e riprodotti dal Pascucci
nell’odierno ricorso, afferenti al rapporto di inimicizia tra le famiglie dovuto ad un contenzioso
civile, al fatto che la donna aveva dapprima riferito che il rapinatore indossava il
passamontagna per poi invece dire di averlo riconosciuto dagli occhi, naso e bocca, non
resistevano alle dichiarazioni rese dalla Mete in udienza, la quale riconosceva con assoluta
certezza il rapinatore nell’odierno ricorrente.
5. La Corte ha sviluppato la motivazione della propria decisione, dando puntuale ragione delle
difformi conclusioni assunte, in ordine alla attendibilità della persona offesa, che procedeva a
riascoltare, riuscendo così a superare il ragionevole dubbio prospettato dal ricorrente che si
atteggia in realtà a lettura alternativa del fatto non consentita in questa sede di legittimità

3

valutazione del materiale probatorio già acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a

posto che tra l’altro, gli altri elementi di prova addotti dalla difesa ( testimonianze ), erano già

stati ritenuti non decisivi in primo grado e su di essi dunque non occorreva procedere a
motivazione rafforzata non essendovi necessità di confutare argomenti e considerazioni
alternative del primo giudice ( Sez. 5, n.12783/2017; Rv. 269595).
Da tutto quanto premesso discende l’inammissibilità del ricorso cui consegue a norma dell’art.
616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di
euro duemila in favore della Cassa delle ammende .

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuale
ed al versamento della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende .
Roma, 6/4/2018

Il Consigliere estensore
Lucia Aielli
1411,

p.q.m.

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