Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18755 del 31/01/2017


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 18755 Anno 2017
Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: TUTINELLI VINCENZO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FURINA PASQUALE nato il 27/11/1949 a SINOPOLI
PAPALIA LUCIA nato il 08/05/1952 a SINOPOLI

avverso il decreto del 06/05/2016 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
sentita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO TUTINELLI;
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lette/sentite le conclusioni del PG i Cto il’
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Udit i difensor Avv.;

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Data Udienza: 31/01/2017

RITENUTO IN FATTO
1. Con il decreto in epigrafe, la Corte di appello di Reggio Calabria -sezione
misure di prevenzione- ha rigettato l’istanza di revoca della confisca emessa dal
Tribunale di Reggio Calabria in data 1 ottobre 2014.
2. Avverso tale provvedimento propongono ricorso per cassazione FURINA
Francesco in qualità di soggetto sottoposto alla confisca e PAPALIA Lucia in
qualità di terza interessata articolando i seguenti motivi.
2.1 Violazione di legge con riferimento all’articolo 7 legge numero 1423 del

quanto avvenuta in tempo non correlabile alla accertata pericolosità sociale.
Afferma il ricorrente che, nel giudizio di merito, egli stesso aveva
dimenticato di rilevare che – in periodo prossimo all’acquisizione dei beni – vi era
stata una proposta di applicazione della misura di prevenzione personale a suo
carico e il Tribunale di Reggio Calabria aveva rigettato la proposta in 28 luglio
1979. Secondo l’assunto difensivo, in tale fascicolo, vi sarebbe la prova della
mancanza di pericolosità sociale al momento dell’acquisto dei beni sottoposti a
confisca e, per altro verso, risulterebbe giustificata l’acquisizione
dell’appartamento da parte del FURINA.
3.

Il Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di cassazione,

dottoressa Paola Filippi, ha depositato conclusioni scritte concludendo per la
dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
4. Con memoria 25 gennaio 2017, il ricorrente ha replicato alle conclusioni
del PG insistendo per l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il Furina, odierno ricorrente, condannato – tra l’altro – per il reato di
associazione a delinquere di stampo mafioso (nel contesto della c.d. cosca
Alvaro) desume – in sede di richiesta di revoca della confisca di prevenzione
divenuta definitiva – l’impossibilità di ritenere sussistente la pericolosità sociale
all’atto dell’acquisto del bene oggetto di confisca (avvenuta nel 1979) e la liceità
delle somme utilizzate per l’acquisto e la costruzione del bene stesso sulla base
dei documenti e degli atti istruttori che avevano fondato il rigetto della misura di
prevenzione disposto dal Tribunale di Reggio Calabria in epoca di poco
successiva. Tale prospettazione è priva di fondamento e porta alla dichiarazione
di inammissibilità della richiesta di revoca.
2.

Quanto ai profili attinenti alla sussistenza della pericolosità sociale

all’epoca dell’acquisto, deve rilevarsi che non sono indicati nel contesto del
ricorso i profili che positivamente dovrebbero escludere la pericolosità sociale che
si deve intendere essere stata ritenuta nel provvedimento oggetto
dell’impugnazione straordinaria. Ciò che avrebbe potuto legittimare il ricorrente
2

1956 in conseguenza della acquisizione lecita di parte dei beni del proposto in

ad ottenere la revoca sarebbe stato la prospettazione di elementi che
positivamente avessero escluso la retrodatazione di tale pericolosità.
3. In tal senso non appare rilevante l’enunciazione di una valutazione,
seppure giudiziale, che non sia accompagnata dalla allegazione di fatti storici,
documenti, o atti istruttori che permettano di verificare l’incidenza di tali
elementi pretermessi rispetto al giudizio articolato nella sentenza oggetto di
impugnazione straordinaria. Infatti, se si escludono valutazioni e citazioni
giurisprudenziali, nel ricorso non è possibile individuare alcuna indicazione né di

elementi pretermessi che possano essere ritenuti qualificanti in tal senso. Per
altro, vi sono elementi in atti per cui emerge che la contestazione del ricorrente
riguarda una valutazione giudiziale che deve intendersi ampiamente superata
sulla scorta del sopravvenuto compendio istruttorio su cui si è fondato il
successivo procedimento di prevenzione, posto che, successivamente, vi si indica
una serie di condanne per fatti di estrema gravità che legittimano una ampia
rilettura dei profili personali e storici del proposto al fine di verificare se vi sia
effettivamente un limite alla pericolosità sociale per come accertata. Il semplice
riferimento al giudizio di sproporzione effettuato nella precedente sede dal
Tribunale risulta assolutamente irrilevante. Va infatti segnalato, in particolare,
che il fondamento del provvedimento di rigetto della proposta del 1979
riguardava essenzialmente la pericolosità sociale e che il profilo relativo alla
sproporzione veniva dismesso puramente e semplicemente considerando la
presenza di cambiali che – di fatto – nulla dicono né in ordine alla provenienza
del denaro né in ordine alla presenza di denaro in ragione rimanendo tali titoli
una mera promessa di pagamento.
4. Da tali considerazioni deriva la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
5. Alla declaratoria d’inammissibilità consegue, per il disposto dell’art. 616
c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché
al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e
valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in C
1.500,00.
P. Q. M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro millecinquecento ciascuno a favore della
Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2017

passaggi della decisione che esplichino una qualsivoglia violazione di legge nè di

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