Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18753 del 31/01/2017


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 18753 Anno 2017
Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: TUTINELLI VINCENZO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GRANDE ARACRI FRANCESCO nato il 21/02/1954 a CUTRO
PUCCI SANTINA nato il 01/02/1959 a CUTRO
PASSAFARO CARMELINA nato il 28/10/1982 a CROTONE

avverso il decreto del 07/06/2016 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
sentita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO TUTINELLI;
lette/septite le conclusioni del PG

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Data Udienza: 31/01/2017

RITENUTO IN FATTO
1. Con il decreto in epigrafe, la Corte di appello di Bologna ha confermato la
misura patrimoniale della confisca di prevenzione a carico di GRANDE ARACRI
Francesco (proposto), Santina PUCCI e Carmelina PASSAFARO (terze
interessate) limitatamente ai beni ivi meglio indicati.
2.

Avverso tale provvedimento propongono ricorso per cassazione il

proposto e i terzi interessati.
3. GRANDE ARACRI Francesco e Santina PUCCI articolano i seguenti motivi.

legislativo 6 settembre 2011 numero 159 in relazione ai beni acquistati prima
dell’anno 2000.
Afferma il ricorrente che i beni immobili acquistati dalla moglie del proposto,
PUCCI Santina, riguardano un periodo assai precedente alla manifestazione di
pericolosità accertata dalla sentenza di condanna del proposto per appartenenza
ad un’associazione mafiosa, posto che i fatti oggetto di tale sentenza andavano
tra il 2001 e il 2003 e gli acquisti sono stati effettuati intorno al 1990. Afferma
ancora che in tal senso non potrebbero essere utilizzati gli elementi idonei a
dimostrare una sproporzione tra beni posseduti e entrate patrimoniali accertate
posto che l’accertamento dell’inizio del periodo temporale della pericolosità deve
precedere la valutazione della sproporzione reddituale, con la conseguenza che
la sperequazione con i redditi non può assurgere ad elemento indiziario della
appartenenza ad associazione mafiosa ovvero della pericolosità.
3.2. Mancanza di motivazione sulla pericolosità del proposto nel periodo
precedente al 2001 e conseguente violazione di legge.
Osserva il ricorrente che la sentenza della Corte di appello di Bologna del 19
aprile 2007 – che ha condannato il proposto per il reato associativo di stampo
mafioso accertato dal 2001 al 2003 – non contiene alcun elemento indiziario che
possa far ritenere che il proposto medesimo fosse partecipe fin dalla sua
costituzione dell’associazione “condotta” dal fratello Nicolino, il che
dimostrerebbe il carattere apodittico dell’affermazione di pericolosità sociale
precedente al 2001 operato dalla Corte territoriale nel presente giudizio.
3. Violazione di legge in relazione all’asserita fittizia intestazione degli
immobili di via Pirandello.
Afferma il ricorrente che la confisca degli immobili intestati alla moglie del
proposto sarebbe derivata dalla presunzione di cui all’articolo 26 del decreto
legislativo 159 del 2011 e che tale presunzione sarebbe stata applicata al di fuori
dei presupposti previsti dalla legge, posto che l’operatività sarebbe limitata ai
due anni precedenti alla proposta della misura di prevenzione mentre gli
immobili sarebbero stati acquistati nel ’91.
2

3.1. Violazione di legge in relazione agli articoli 16 e seguenti del decreto

3.4. Mancanza di motivazione sull’asserita fittizia intestazione degli immobili
intestati alla moglie del proposto.
Afferma il ricorrente che l’onere della prova della fittizia intestazione spetta
all’autorità giudiziaria e che il provvedimento impugnato su questa circostanza
sarebbe privo di qualsiasi motivazione.
4. Carmelina PASSAFARO, terza interessata, propone i seguenti motivi di
ricorso.
4.1. Erronea applicazione della legge penale sul concetto di disponibilità da

Afferma la ricorrente che la prova del pagamento dell’immobile de quo è la
prova che il canone della locazione dell’immobile veniva accreditato sul proprio
conto corrente dovrebbero ritenersi sufficienti al fine di escludere la sussistenza
di un intestazione fittizia. Tra l’altro, afferma la ricorrente essere stato applicato
il disposto dell’articolo 24 del decreto legislativo 159/2011 che, tuttavia, non può
essere applicato nei confronti dei terzi ma esclusivamente nei confronti del
proposto.
5. Il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, in persona del
dottor Luigi Birritteri, ha depositato conclusioni scritte chiedendo dichiararsi
l’inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Quanto al ricorso proposto da GRANDE ARACRI Francesco e da PUCCI
Santina, deve rilevarsi come la motivazione del provvedimento impugnato,
conformemente a quanto già affermato dal giudice di primo grado, vada ben
oltre la valutazione della pura e semplice condanna del ricorrente per la
partecipazione all’associazione mafiosa capeggiata dal fratello, in quanto, oltre
agli elementi che emergono da tale condanna, richiama la presenza di un
ulteriore processo, relativo alla medesima ‘ndrina, in cui si evidenziano condotte
di reimpiego dei proventi dell’associazione in società immobiliari di Reggio Emilia
fra cui vi sono imprese facenti capo al proposto e richiama sul punto il dettato
della sentenza n. 4880 di questa Corte a sezioni unite in cui si evidenzia che, nel
caso di pericolosità sociale qualificata, il giudice dovrà accertare l’intero percorso
esistenziale del proposto al fine di stabilire se siano suscettibili di ablazione tutti
bene riconducibile al proposto ovvero soltanto quelli ricadenti nel periodo
temporale individuato.
Vi sono poi una serie di elementi che avevano guidato già il giudizio del
giudice di primo grado: la presenza di vincoli familiari assai stretti con il capo
della ‘ndrina; l’accertamento successivo della partecipazione del proposto alla
associazione medesima; la presenza di una attività economica precedente del

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parte del proposto di beni che risultano intestati alla ricorrente.

tutto sproporzionata ai redditi illeciti individuabili – spesso inferiori – su base
annua, alla soglia di povertà; la mancanza di alcuna disponibilità precedente che
possa spiegare tale attività economica; il carattere assolutamente oscuro degli
spostamenti delle quote societarie (peraltro nemmeno riscontrati da
movimentazioni sottostanti) anche successivamente al periodo interessato; la
costante presenza del proposto nelle attività in cui risultava essere formale
titolare la moglie; l’utilizzo di vere e proprie operazioni finanziarie oscure e
oblique quali pratiche di loan back, smurfing, back to back, puntualmente

Tali elementi avevano permesso di affermare già in primo grado che vi
erano indici per ritenere che l’attività illecita oggetto della condanna non era
limitata al periodo successivo al 2001 ma vedeva le sue radici in epoca ben
precedente e che investivano l’intero ambito temporale oggetto della perizia
contabile. Non solo, gli stessi elementi hanno permesso di affermare che il
proposto, odierno ricorrente, aveva di fatto la disponibilità esclusiva dei beni la
cui titolarità talvolta tentava di nascondere tramite intestazione fittizia a prossimi
congiunti.
La Corte ha valutato inoltre, fermo restando il richiamo ai criteri utilizzati dal
giudice di primo grado, il ruolo svolto dal proposto nel contesto dell’associazione
(richiamando testualmente l’imputazione a pagina 21 della sentenza di condanna
e poi le pagine 97-98-118 della motivazione della sentenza medesima).
Tale ruolo era quello di sovrintendere e dirigere l’attività dei correi, dirimere
le controversie insorte, garantire intervento in caso di illeciti commessi ai danni
di

persone protette dal clan, dare disposizioni in ordine allo svolgimento

dell’attività di falsa fatturazione anche agli imprenditori “amici”.
La Corte evidenzia ancora le modalità di realizzazione del delitto da parte
della ‘ndrina cui apparteneva il proposto ed evidenzia come lo svolgimento di
attività economica fosse un elemento centrale, in gran parte gestito dallo stesso
proposto. Evidenzia infine come mai vi siano stati atteggiamenti o condotte
sintomatiche di un recesso dal sodalizio criminoso.
Con specifico riferimento al periodo precedente al 2001, evidenzia il fatto
che la ‘ndrina di appartenenza era diretta conseguenza di preesistente cosca
calabrese che poneva in essere gli stessi reati estorsivi in danno di imprenditori
commessi dalla cosca madre, aveva organizzato un sistema di false fatturazioni
per supportare le illecite dazioni di denaro, vedeva non solo come esponente di
spicco il fratello del proposto ma anche persone stabilmente frequentate dal
proposto medesimo che si sarebbe trovato a rilevare il posto del fratello quando
costui sarebbe stato arrestato.

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indicate le pagine 17 e 18 del provvedimento impugnato.

Indica ancora come il proposto sia stato condannato per estorsione
commessa il 12 luglio 1991 con modalità assolutamente vicine a quelle dell’agire
della ‘ndrina di cui si è accertata successivamente all’appartenenza.
In questo contesto, risulta qualificata e non mera applicazione di una
presunzione la mancanza di spiegazione “lecita” alle disponibilità e alle attività
imprenditoriali del proposto e dei prossimi congiunti tanto che l’unica spiegazione
che permette di dare un senso a questo insieme di indizi è il fatto che vi sia una
provenienza illecita delle somme.

giudice di primo che il giudice di secondo grado evidenziano la posizione di
assoluta mancanza di autonomia patrimoniale (e decisionale) della donna che
riceve danaro di provenienza sconosciuta e verosimilmente illecita o mutui
ipotecari del tutto inspiegabili.
Deve quindi evidenziarsi come vi sia una motivazione ampia, approfondita,
specifica, logica, coerente, particolarmente dettagliata che viene a delineare una
situazione indiziaria assolutamente univoca nel senso di ritenere la pericolosità
sociale del proposto e il carattere fittizio delle intestazioni alla moglie, l’odierna
ricorrente PUCCI Santina.
Rispetto agli elementi utilizzati in tale motivazione, la difesa del proposto e
della moglie qualificatasi terza interessata si limita a prendere posizione su
elementi non decisivi, nemmeno contestando gli articolati profili indiziari indicati,
le considerazioni logiche connesse alla valutazione dell’operatività della cosca, le
dichiarazioni dei collaboratori di giustizia richiamate nella motivazione, le
considerazioni attinenti ai profili di contiguità precedenti al 2000, le valutazioni
sul ruolo svolto dal proposto, il riferimento fatto dalla sentenza di secondo grado
alla presenza di una condanna per estorsione risalente al 1991 .
4. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso proposto da Francesco GRANDE
ARACRI e da PUCCI Santina in quanto del tutto aspecifico rispetto alla effettiva
portata dell’accertamento contenuto nel provvedimento impugnato, in gran parte
ignorata, e in quanto articolato in censure parziali, non idonee a evidenziare
alcun profilo di violazione di legge sia con riferimento alla estensione temporale
della ritenuta pericolosità sociale, sia con riferimento alla applicazione di
presunzioni, la cui operatività è stata peraltro esclusa dalla stessa Corte nel
provvedimento impugnato, stante un accertamento diretto in ordine alla
interposizione fittizia. Come detto, non emerge nemmeno alcun profilo di omessa
o apparente motivazione in ragione dell’articolato accertamento dell’articolate
valutazioni presenti nel provvedimento stesso.
7. Alla declaratoria d’inammissibilità consegue, per il disposto dell’art. 616
c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché

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3. Anche con riferimento alla moglie del proposto, PUCCI Santina, sia il

al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e
valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in C
1.500,00.
P. Q. M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro millecinquecento ciascuno a favore della
Cassa delle ammende.

/Manda 2-Ira Cancelier-

per gli adempimenti di cui-atar~p_A11 – c4 11.1

Il Consigl . rì estensore

Irepidente

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2017

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