Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18735 del 20/03/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 18735 Anno 2018
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

SENTENZA

sui ricorsi proposti rispettivamente nell’interesse di
Braidic Devit, n. a Udine il 28/01/1988, rappresentato e assistito dall’avv.
Andrea Fatello e dall’avv. Paolo Pellicini, di fiducia
Braidic Paolo, n. a Udine il 10/04/1968, rappresentato e assistito dall’avv. Paolo
Pellicini e dall’avv. Massimo Cescutti, di fiducia
Braidic Sabrina, n. a Udine il 15/03/1970, rappresentata e assistita dall’avv.
Paolo Pellicini e dall’avv. Massimo Cescutti, di fiducia
Braidic Jovanka, n. a Udine il 31/05/1985, rappresentata e assistita dall’avv.
Paolo Pellicini e dall’avv. Massimo Cescutti, di fiducia
avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Trieste, prima sezione
penale, n. 378/2016, in data 14/11/2016;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
letti i motivi aggiunti depositati dalle difese in data 02/03/2018;
udita la relazione svolta dal consigliere Andrea Pellegrino;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Felicetta
Marinelli, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio per la posizione di
Braidic Sabrina ed il rigetto degli altri ricorsi;
udito il difensore della parte civile Struna Zvonko, avv. Alessandro Feri, che ha
chiesto la conferma della sentenza impugnata, con rigetto di ogni istanza di
sospensione e/o revoca dei provvedimenti di natura cautelare reale e la

Data Udienza: 20/03/2018

condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del grado quantificate in euro
3.510,00 oltre accessori di legge;
uditi i difensori dei ricorrenti intervenuti, avv.ti Andrea Fatello, Paolo Pellicini e
Massimo Cescutti che hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei rispettivi
ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 17/11/2016, il giudice per l’udienza preliminare

Paolo, Braidic Devit, Braidic Sabrina e Braidic Jovanka responsabili dei reati di
truffa aggravata continuata in concorso (capo A d’imputazione a carico dei primi
tre) e di riciclaggio (capo B d’imputazione a carico della sola quarta),
condannandoli alle seguenti pene:
-Braidic Paolo, ad anni due, mesi sei di reclusione ed euro 600,00 di multa;
-Braidic Sabrina, ad anni due di reclusione ed euro 600,00 di multa;
– Braidic Devit, ad anni uno, mesi sei di reclusione ed euro 500,00 di multa;
– Braidic Jovanka, ad anni due, mesi otto di reclusione ed euro 2.000,00 di multa.
Gli imputati venivano altresì condannati al risarcimento dei danni subiti dalla
costituita parte civile Struna Zvonko complessivamente liquidati in euro
350.000,00.
2. A seguito di proposta impugnazione, con sentenza in data 14/11/2016, la
Corte d’appello di Trieste, in parziale riforma della pronuncia di primo grado,
previo riconoscimento a Braidic Jovanka delle circostanze attenuanti generiche,
rideterminava la pena inflitta a quest’ultima nella misura di anni uno, mesi nove,
giorni dieci di reclusione ed euro 1.400,00 di multa, concedendo la sospensione
condizionale della pena a Braidic Jovanka, a Braidic Devit e, limitatamente alla
sola pena detentiva, a Braidic Sabrina.
3. Avverso detta sentenza, nell’interesse di Braidic Devit, Braidic Paolo,
Braidic Sabrina e Braidic Jovanka, vengono proposti distinti ricorsi per
cassazione: uno a firma dell’avv. Andrea Fateli° per il solo Braidic Devit e un
altro a firma avv. Massimo Cescutti e avv. Paolo Pellicini per tutti gli imputati (in
quest’ultimo ricorso si precisa che Braidic Devit è rappresentato, oltre che
dall’avv. Fatello, dal solo avv. Pellicini).
4. Ricorso nell’interesse di Braidic Devit a firma avv. Fatello.
Lamenta il ricorrente:
-inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 192, comma 2 cod. proc.
pen. in relazione all’art. 640 cod. pen. ed insussistenza dell’elemento oggettivo

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presso il Tribunale di Udine, all’esito di giudizio abbreviato, dichiarava Braidic

del reato di truffa; riqualificazione dei fatti in insolvenza fraudolenta
improcedibile per tardività di querela (primo motivo);
– insussistenza del diritto al risarcimento del danno e conseguente
illegittimità della condanna al risarcimento nonché del disposto sequestro
conservativo; violazione dell’art. 2035 cod. civ. (secondo motivo);
– vizio di motivazione in ordine alla ritenuta attendibilità della persona offesa;
travisamento del fatto (terzo motivo);
– vizio di motivazione in ordine alla pena irrogata da ritenersi incongrua per

attenuanti generiche (quarto motivo).
4.1. In relazione al primo motivo, si censura la ricorrenza di qualsivoglia
“artifizio” asseritamente posto in essere dagli imputati al fine di ottenere somme
di denaro dalla parte offesa costituita parte civile, Struna Zvonko. Invero, stando
alle dichiarazioni di quest’ultima, lo stesso Struna, a fronte della dazione della
somma di euro 300.000,00, avrebbe dovuto ricevere, dopo un brevissimo lasso
temporale, la consistente somma di euro 700.000,00: il prestito così intervenuto
poteva semmai consentire di riqualificare i fatti nell’alveo della c.d. insolvenza
fraudolenta, peraltro non procedibile per tardività della querela, sporta solo in
data 19/12/2012, essendo i fatti stati commessi, come da contestazione, tra il
dicembre 2010 ed il gennaio 2011 e successivamente fino al febbraio 2012.
4.2. In relazione al secondo motivo, si censura la sentenza impugnata che
ha tutelato la pretesa risarcitoria dello Struna nonostante l’evidente immoralità
del contratto che lo stesso avrebbe stipulato con gli imputati.
4.3. In relazione al terzo motivo, si evidenzia come la documentazione
prodotta in atti smentisca in più parti la ricostruzione operata dalla persona
offesa, la cui attendibilità dovrà essere valutata con attenzione non solo perché
costituitasi parte civile ma anche e, soprattutto, perché la stessa ha ottenuto una
condanna al risarcimento del danno per la somma di 350.000,00 euro oltre al
sequestro conservativo in suo favore di tutti i beni di proprietà dei ricorrenti. In
subordine, alla principale richiesta di annullamento sia del provvedimento di
condanna al risarcimento del danno sia in riferimento al sequestro dei beni del
ricorrente, si chiede di voler ridurre l’importo del risarcimento del danno alla
minor somma di euro 77.000,00, essendo l’unica ad aver trovato un presunto
riscontro negli atti.
4.4. In relazione al quarto motivo, si censura il trattamento sanzionatorio
del tutto inadeguato, anche in relazione al diniego delle attenuanti generiche,
rispetto al fatto ed alla personalità del suo autore.

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eccesso e in ordine all’ingiustificato diniego di riconoscimento delle circostanze

5. Ricorso nell’interesse di Braidic Devit, Braidic Paolo, Braidic Sabrina e
Braidic Jovanka a firma del solo avv. Pellicini per il primo e dell’avv. Avv. Pellicini
e dell’avv. Cescutti per il secondo, la terza e la quarta imputata.
Lamentano i ricorrenti:
– inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ai sensi dell’art.
606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 192, comma 2 cod. proc.
pen. ed all’art. 640 cod. pen.; carenza e contraddittorietà della motivazione e
travisamento delle prove e del fatto (primo motivo);

606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 640 cod. pen. ed all’art. 19,
comma 2 cod. proc. pen. nonché carenza e contraddittorietà della motivazione e
travisamento del fatto (secondo motivo);
– inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ai sensi dell’art.
606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 110 e 640 cod. pen.
(terzo motivo);
– inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ai sensi dell’art.
606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 648 bis cod. pen. ed all’art.
192, comma 2, cod. proc. pen. (quarto motivo);
– inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ai sensi dell’art.
606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 640 cod. pen. e all’art. 2035
cod. civ.; carenza, contraddittorietà della motivazione e travisamento del fatto
(quinto motivo).
5.1. In relazione al primo motivo, si evidenzia come la Corte territoriale, a
fronte di una dettagliata ricostruzione dei fatti operata dalla difesa secondo il
narrato della persona offesa che ne evidenziava le gravi contraddizioni ed
incongruenze, ne effettuava una nuova che, tuttavia, travisava le risultanze
istruttorie ed in particolare il contenuto della denuncia-querela, della successiva
deposizione dello Struna e degli estratti conto forniti dalla stessa persona offesa.
5.2. In relazione al secondo motivo, si evidenzia come la Corte territoriale
abbia erroneamente ritenuto integrati gli artifici e raggiri consistiti nell’utilizzo di
un intermediario, nella presentazione di un’auto di grossa cilindrata, nell’uso
dell’abitazione e nell’aver proposto alla persona offesa dapprima l’acquisto di
lingotti d’oro e poi lo scambio di denaro con consegna di alcune banconote per la
verifica dell’autenticità: circostanze che avrebbero ingannato la vittima
inducendola a consegnare agli imputati la complessiva somma di euro
300.000,00 con la prospettiva di un forte guadagno (700.000,00 euro), senza
ricevere in cambio i 700.000,00 euro pattuiti. In realtà, nella vicenda in esame,
non è stato posto in essere alcun elemento falso o ingannevole, ma è stato solo
prospettato un affare (illecito) immediatamente accettato dalla persona offesa.

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– inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ai sensi dell’art.

5.3. In relazione al terzo motivo, si evidenzia come i comportamenti
contestati a Braidic Sabrina si fossero tutti verificati dopo la consumazione del
reato di truffa. In realtà, la condotta posta in essere dalla stessa risulta
palesemente inidonea ad integrare un concorso nel reato di truffa, potendo al più
configurare una mera connivenza, essendosi sostanziata in un atteggiamento
meramente passivo, niente affatto agevolativo o rafforzativo: la donna, infatti, si
trovava semplicemente nella propria abitazione quando vi è giunto il marito
Braidic Paolo con lo Struna. Del resto, la stessa persona offesa ha riferito che

consegnato al solo Braidic Paolo in due diverse occasioni.
5.4. In relazione al quarto motivo, si censura la sentenza impugnata che ha
ritenuto sussistenti nei confronti di Braidic Jovanka sia l’elemento oggettivo sia
l’elemento soggettivo del reato di riciclaggio. Invero, l’imputata si era limitata ad
utilizzare al rogito notarile due assegni circolari di asserita illecita provenienza
per il pagamento dell’abitazione sita in Povoletto, compiendo in tal modo
un’operazione non solo del tutto lecita, ma anche tracciabile e certamente
inidonea a dissimulare la provenienza del bene. A supporto di ciò, la circostanza
che la Braidic non ha preso parte all’asserita truffa né tantomeno risulta esserne
stata a conoscenza, non essendo stata nemmeno indagata per detta
incolpazione. L’assunto che la Braidic Jovanka fosse a conoscenza della
provenienza delittuosa del denaro avrebbe dovuto essere ritenuto dalla Corte
territoriale nient’altro che un mero sospetto, in assenza di qualsivoglia elemento
fattuale a sua dimostrazione, e da tale determinazione sarebbe dovuta
necessariamente derivare una pronuncia assolutoria nei confronti della
medesima.
5.5. In relazione al quinto motivo, si censura la sentenza impugnata nella
parte in cui ha escluso, con motivazione del tutto apparente, l’esistenza di una
prestazione contraria al buon costume. In realtà, la domanda avanzata dalla
parte civile appare immeritevole di accoglimento, in quanto la stessa parte civile
ha riferito di essere perfettamente consapevole della provenienza delittuosa del
denaro che avrebbe ricevuto dagli imputati e di aver accettato di “ripulirlo”
mediante la consegna di altro denaro di provenienza lecita, così pattuendo di
porre in essere un’operazione di riciclaggio.
5.6. Nei motivi aggiunti, si censura:
– l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale nonché il vizio
motivazionale in relazione agli artt. 110, 640 cod. pen. (primo motivo aggiunto);
– l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale nonché il vizio
motivazionale, anche per travisamento delle prove e del fatto, in relazione all’art.

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Braidic Sabrina non partecipò né intervenne alle trattative e che il denaro venne

192, comma 2 cod. proc. pen. e agli artt. 640 e 648 bis cod. pen. (secondo
motivo aggiunto).
5.6.1. In relazione al primo, si evidenzia come la Corte territoriale abbia
errato nell’individuazione del momento consumativo del reato di truffa là dove ha
affermato che le condotte fossero state compiute fino al febbraio 2012 (data in
cui sarebbero avvenute “fantasiose assicurazioni sulla restituzione del maltolto”),
atteso che la truffa contrattuale, reato istantaneo e di danno, non si consuma nel
momento dell’assunzione da parte del soggetto passivo dell’obbligazione della

parte dell’agente con la conseguente perdita dello stesso da parte della persona
offesa. Le condotte successive (rassicurazioni circa la restituzione della somma
asseritamente consegnata) non valgono ad integrare gli estremi del reato di
truffa, in relazione alle quali andava pronunciata sentenza di assoluzione per
insussistenza del fatto.
5.6.2. In relazione al secondo, si evidenzia come dal verbale di
accertamento redatto dalla Guardia di Finanza di Cividale del Friuli il 21/11/2016
(in epoca successiva all’udienza di discussione avanti la Corte d’appello di Trieste
del 14/11/2016) risultano in capo al solo Paolo Braidic versamenti non giustificati
relativi alla propria ditta individuale per euro 78.298,37 per l’anno 2011 e per
euro 17.500,00 per l’anno 2012, somme imputabili ad attività lavorativa non
dichiarata. Tali dati consentono di escludere che la prova della truffa e del
riciclaggio potesse essere tratta dalla situazione economica degli imputati, atteso
che gli stessi godevano di altri proventi non risultanti dalle dichiarazioni dei
redditi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi, evocativi in molte parti di non consentite censure in fatto, sono
manifestamente infondati e, come tali, risultano inammissibili.
2. Va preliminarmente evidenziato come, secondo la giurisprudenza della
Suprema Corte (cfr., Sez. 6, n. 10951 del 15/03/2006, Casula, Rv. 233708),
anche alla luce della nuova formulazione dell’art. 606, comma primo lett. e) cod.
proc. pen., dettata dalla L. 20 febbraio 2006 n. 46, il sindacato del giudice di
legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a
verificare che la relativa motivazione sia: a) “effettiva”, ovvero realmente idonea
a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione
adottata; b) non “manifestamente illogica”, ovvero sorretta, nei suoi punti
essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle
regole della logica; c) non internamente “contraddittoria”, ovvero esente da

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dazione di un bene economico, bensì in quello del conseguimento del bene da

insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche
tra le affermazioni in essa contenute; d) non logicamente “incompatibile” con
altri atti del processo, dotati di una autonoma forza esplicativa o dimostrativa
tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal
giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o
radicalmente inficiare sotto il profilo logico la motivazione (nell’affermare tale
principio, la Corte ha precisato che il ricorrente, che intende dedurre la
sussistenza di tale incompatibilità, non può limitarsi ad addurre l’esistenza di

non correttamente interpretati dal giudicante, ma deve invece identificare, con
l’atto processuale cui intende far riferimento, l’elemento fattuale o il dato
probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la
ricostruzione adottata dal provvedimento impugnato, dare la prova della verità di
tali elementi o dati invocati, nonché dell’esistenza effettiva dell’atto processuale
in questione, indicare le ragioni per cui quest’ultimo inficia o compromette in
modo decisivo la tenuta logica e l’interna coerenza della motivazione).
2.1. Non è dunque sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente
siano semplicemente “contrastanti” con particolari accertamenti e valutazioni del
giudicante e con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle
responsabilità né che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più
persuasiva di quella fatta propria dal giudicante. Ogni giudizio, infatti, implica
l’analisi di un complesso di elementi di segno non univoco e l’individuazione, nel
loro ambito, di quei dati che – per essere obiettivamente più significativi,
coerenti tra loro e convergenti verso un’unica spiegazione – sono in grado di
superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del
giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, ad
un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento. E’, invece,
necessario che gli atti del processo richiamati dal ricorrente per sostenere
l’esistenza di un vizio della motivazione siano autonomamente dotati di una forza
esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in grado di
disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo
interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente
incongrua o contraddittoria la motivazione. Il giudice di legittimità è, pertanto,
chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione
effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle
deduzioni del ricorrente concernenti “atti del processo”.
2.2. Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi in una valutazione,
di carattere necessariamente unitario e globale, sulla reale “esistenza” della

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“atti del processo” non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione o

motivazione e sulla permanenza della “resistenza” logica del ragionamento del
giudice.
Al giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla
motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di
merito, perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità
esplicativa. Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo

dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei
provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino
autonomamente acquiescenza) rispettino sempre uno standard di intrinseca
razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal
giudice per giungere alla decisione. Può quindi affermarsi che, anche a seguito
delle modifiche dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e) ad opera della L.
n. 46 del 2006, art. 8, “mentre non è consentito dedurre il travisamento del
fatto, stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria
valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di
merito, è invece, consentito dedurre il vizio di travisamento della prova, che
ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento
su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso
da quello reale, considerato che in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli
elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di
verificare se detti elementi sussistano” (Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007,
Casavola e altri, Rv. 238215).
2.3. Pertanto, il sindacato di legittimità non ha per oggetto la revisione del
giudizio di merito, bensì la verifica della struttura logica del provvedimento e non
può quindi estendersi all’esame ed alla valutazione degli elementi di fatto
acquisiti al processo, riservati alla competenza del giudice di merito, rispetto alla
quale la Suprema Corte non ha alcun potere di sostituzione al fine della ricerca di
una diversa ricostruzione dei fatti in vista di una decisione alternativa.
Nè la Suprema Corte può trarre valutazioni autonome dalle prove o dalle
fonti di prova, neppure se riprodotte nel provvedimento impugnato. Invero, solo
l’argomentazione critica che si fonda sugli elementi di prova e sulle fonti
indiziarie contenuta nel provvedimento impugnato può essere sottoposto al
controllo del giudice di legittimità, al quale spetta di verificarne la rispondenza
alle regole della logica, oltre che del diritto, e all’esigenza della completezza
espositiva (Sez. 6, n. 40609 del 01/10/2008, Ciavarella, Rv. 241214).

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giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale

2.4. La medesima giurisprudenza di legittimità considera, inoltre,
inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella
pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e motivatamente disattesi
dal giudice di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto
apparenti, in quanto non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso
la sentenza oggetto di ricorso (v., tra le tante, Sez. 5, n. 25559 del 15/06/2012,
Pierantoni; Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, P.M. in proc. Candita, Rv. 244181;
Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, Giagnorio, Rv. 231708). In altri termini, è del

ai motivi di gravame, la pedissequa riproduzione di essi come motivi di ricorso
per cassazione non può essere considerata come critica argomentata rispetto a
quanto affermato dalla Corte d’appello: in questa ipotesi, pertanto, i motivi sono
necessariamente privi dei requisiti di cui all’art. 581 cod. proc. pen., comma 1,
lett. c), che impone la esposizione delle ragioni di fatto e di diritto a sostegno di
ogni richiesta (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone, Rv. 243838).
Sulla base di questi principi vanno esaminati gli odierni ricorsi.
3. Ricorso nell’interesse di Braidic Devit a firma avv. Fatello.
3.1. Manifestamente infondato è il primo motivo.
Con lo stesso si introducono mere censure in fatto come tali inammissibili
nel giudizio di legittimità, attenendo a “vizi” diversi dalla mancanza di
motivazione, dalla sua “manifesta illogicità”, dalla sua contraddittorietà
(intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando
mancante) su aspetti essenziali astrattamente idonei ad imporre diversa
conclusione del processo. Inammissibili sono, pertanto, tutte le doglianze che
“attaccano” la “persuasività”, l’inadeguatezza, la mancanza di “rigore” o di
“puntualità”, la stessa “illogicità” quando non “manifesta”, così come quelle che
sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle
diverse prove ovvero che evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni
differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza
probatoria del singolo elemento. Tutto ciò è “fatto”, riservato al giudice del
merito. Quando il giudice del merito ha espresso il proprio apprezzamento, la
ricostruzione del fatto è definita, e le sole censure possibili nel giudizio di
legittimità sono quelle dei soli tre tassativi vizi indicati dall’art. 606, comma 1,
lett. e) cod. proc. pen., ciascuno dotato di peculiare oggetto e struttura: sicchè è
altro costante insegnamento di questa Suprema Corte che la deduzione
alternativa di vizi, invece assolutamente differenti, è per sè indice di genericità
del motivo di ricorso e, in definitiva, “segno” della natura di merito della
doglianza che ad essi solo strumentalmente tenta di agganciarsi (Sez. 6, n.
13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965).

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tutto evidente che a fronte di una sentenza di appello che ha fornito una risposta

Inoltre, con riferimento alla dedotta diversa qualificazione giuridica del fatto,
si è in presenza di censura dedotta per la prima volta nella presente sede di
legittimità e, come tale, non scrutinabile.
3.2. Manifestamente infondato è il secondo motivo.
Secondo l’insegnamento di questa Suprema Corte, in tema di truffa, la
natura illecita del patto intercorso con la vittima non impedisce la condanna
dell’imputato alla restituzione della somma di denaro versatagli dalla vittima,
poiché unica eccezione alla ripetibilità dell’indebito è data dalla prestazione

schema dell’indebito oggettivo (art. 2033 cod. civ.) il diritto alla restituzione
delle somme pagate in esecuzione di contratto nullo per illiceità della causa,
contraria all’ordine pubblico (Sez. 2, n. 35352 del 17/09/2010, Petrini, Rv.
248546).
3.3. Manifestamente infondato, oltre che generico, è il terzo motivo di
ricorso che denuncia l’illegittima valutazione delle dichiarazioni della persona
offesa costituita parte civile.
In materia, il Collegio condivide la consolidata giurisprudenza di legittimità
secondo cui le regole dettate dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. non si
applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere
legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di responsabilità,
previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del
dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che in tal caso deve
essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello a cui vengono sottoposte le
dichiarazioni di qualsiasi testimone; inoltre, nel caso in cui la persona offesa si
sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali
dichiarazioni con altri elementi (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte ed
altri, Rv. 253214; v. anche, Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, Manzini, Rv.
265104). Dette conclusioni appaiono tanto più giustificate se la persona offesa
non si sia costituita parte civile, dal momento che, in tal caso, il valore delle
dichiarazioni rese non subisce alcuna attenuazione, essendo il proprio
coinvolgimento nel fatto assai più sfumato e potendosi parificare detta posizione
a quella di qualunque altro dichiarante non coinvolto nel fatto a ragione della
totale assenza di interessi di carattere patrimoniale. Peraltro, quand’anche si
volesse ritenere che anche la persona offesa – costituita o meno parte civile debba soggiacere comunque ad un controllo di attendibilità particolarmente
penetrante, finalizzato ad escludere la manipolazione dei contenuti dichiarativi, è
altrettanto vero che la giurisprudenza di legittimità, anche quando prende in
considerazione la possibilità di valutare l’attendibilità estrinseca della
testimonianza dell’offeso attraverso la individuazione di precisi riscontri, si

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contraria al buon costume (art. 2035 cod. civ.), mentre va ricondotto allo

esprime in termini di “opportunità” e non di “necessità”, lasciando al giudice di
merito un ampio margine di apprezzamento circa le modalità di controllo della
attendibilità nel caso concreto. In tal senso, le Sezioni unite hanno infatti
affermato che «può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni
con altri elementi qualora la persona offesa si sia anche costituita parte civile e
sia, perciò, portatrice di una specifica pretesa economica la cui soddisfazione
discenda dal riconoscimento della responsabilità dell’imputato» (conformi, Sez.
1, n. 29372 del 24/06/2010, Stefanini, Rv. 248016; Sez. 6, n. 33162 del

Peraltro, costituisce principio incontroverso nella giurisprudenza di
legittimità l’affermazione secondo la quale la valutazione della attendibilità della
persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria
chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può
essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in
manifeste contraddizioni (ex plurimis, Sez. 6, n. 27322 del 14/04/2008, De Ritis
e altri, Rv. 240524; Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008, Finazzo, Rv. 239342; Sez.
6, n. 443 del 04/11/2004, dep. 2005, Zamberlan, Rv. 230899; Sez. 3, n. 3348
del 13/11/2003, dep. 2004, Pacca, Rv. 227493; Sez. 3, n. 22848 del
27/03/2003, Assenza, Rv. 225232).
Fermo quanto precede, rileva il Collegio come, nella fattispecie, la Corte
d’appello abbia ampiamente motivato sulla credibilità, intrinseca ed estrinseca,
dello Struna, il cui narrato ha trovato riconosciuti riscontri documentali. Invero,
si afferma in sentenza: “… la narrazione della vicenda resa dalla parte offesa
Struna è pienamente credibile, non solo perché circostanziata e corredata di
sufficienti riferimenti temporali – senza che discrasie spiegabili con la scarsa
conoscenza della lingua italiana e col tempo trascorso dai fatti possano inficiare
l’attendibilità della persona offesa e l’essenza del narrato – ma anche perché
riscontrata ab externo dalla documentazione bancaria di prelievo di parte degli
esborsi in denaro consegnati ai Braidic, nonché dalla deposizione della moglie
della parte offesa e del teste Milat che aveva prestato allo Struna gli ulteriori
100.000 euro per consentire a costui di pervenire a quella somma di 300.000
che gli sarebbe stata remunerata con il versamento di euro 700.000 … ; … del
tutto plausibile che lo Struna, a fronte della costruzione truffaldina posta in
essere dai Braidic, possa essere andato in tilt – persuaso dall’abile messa in
scena con cui gli si assicuravano cospicui guadagni – e, come dallo stesso
dichiarato in denuncia, preso dall’avidità, influenzato dagli altrui artifizi e raggiri,
possa avere aderito all’affare consegnando ai truffatori in due tranches dapprima
100.000 euro e posi successivamente 200.000, truffatori che si erano poi resi
irreperibili senza corrispondere alcunchè di quanto promesso a titolo di

11

03/06/2004, Patella, Rv. 229755).

remunerazione, cercando poi solo di guadagnare tempo con Braidic Sabrina che
inutilmente prometteva in restituzione le somme versate adducendo scuse e
pretesti sull’irreperibilità di marito e figlio …”.

Ma non solo. Rileva la Corte

territoriale come ulteriori elementi che corroborano la narrazione dello Struna
sono costituiti “… da un lato dall’acquisto, in stretto rapporto temporale con la
truffa, dell’immobile di Povoletto, dall’altro essenzialmente dalle modalità di
detto acquisto posto che, ancorchè la titolarità di conti correnti in capo ai
prevenuti, gli assegni circolari per l’acquisto della Metta erano stati emessi dallo

fronte di corrispondenti cospicui versamenti in contanti effettuati dai tre imputati
della famiglia Braidic. La perfetta coincidenza tra l’entità della somma indicata
quale oggetto di truffa dallo Struna (300.000 euro) e l’entità della somma
versata in contanti sul conto del Di Bartolomeo (285.000 euro) per l’emissione
degli assegni circolari occorrenti per l’acquisto della casa e da far figurare nel
rogito, convalida la narrazione dello Struna …”.
In relazione alle ampiamente giustificate conclusioni assunte dalla Corte
territoriale, il ricorrente omette, di fatto, di sviluppare un adeguato confronto
critico rispetto alla sostanza delle contrarie argomentazioni ivi utilizzate e di
indicare la specifiche ragioni della sua asserita erroneità, limitandosi a
contrapporvi una serie di doglianze già analizzate e motivatamente disattese in
punto di fatto, così prospettando una diversa e alternativa “lettura” delle
risultanze probatorie acquisite, fondate su una – come detto – non consentita
richiesta di rivisitazione del loro contenuto, senza addurre censure destinate a
disarticolare, o anche solo a porre in crisi, la complessiva tenuta e la coerenza
logica delle valutazioni al riguardo operate nella decisione impugnata.
3.4. Manifestamente infondato è il quarto motivo.
Sia la statuizione di conferma del trattamento sanzionatorio operato in
primo grado che quella relativa al diniego delle circostanze attenuanti generiche
sono assistite da congruità logico-giuridica. Con riferimento alla prima, vi è
insindacabile valutazione di congruità, necessariamente operata sulla base dei
parametri di cui all’art. 133 cod. pen.; con riferimento alla seconda, vi è
“svalutazione” del profilo dell’incensuratezza nella messa a confronto al ruolo di
prim’ordine svolto dal ricorrente sotto il profilo della protrazione nel tempo e
dell’abilità nell’organizzazione e messa in scena della truffa. Al riguardo, va
ricordato l’insegnamento di questa Suprema Corte secondo cui non è necessario
che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti
generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli
dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia
riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o

12

stesso conto della Banca Popolare di Vicenza del venditore Di Bartolomeo a

superati tutti gli altri da tale valutazione (cfr., Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011,
Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244).
4. Ricorso nell’interesse di Braidic Devit, Braidic Paolo, Braidic Sabrina e
Braidic Jovanka a firma del solo avv. Pellicini per il primo e dell’avv. Avv. Pellicini
e dell’avv. Cescutti per il secondo, la terza e la quarta imputata.
4.1. Manifestamente infondato è il primo motivo.
Il motivo reitera sostanzialmente quelli proposti, con i numeri 1 e 3,
nell’interesse di Braidic Devit. Ne consegue che le considerazioni esposte ai

ribaditi nella loro integralità.
4.2. Manifestamente infondato è il secondo motivo.
Come correttamente evidenziato dal giudice di primo grado, risulta
indiscutibile la commissione del reato di truffa: alla base vi è la prospettazione di
un affare, con grandissimi ritorni economici, a fronte del versamento iniziale di
una somma di denaro in contanti; una volta ottenuta la dazione, i truffatori
rinviano con pretesti il pagamento del dovuto, fino a rendersi del tutto
irreperibili; la vittima è consapevole di partecipare ad un affare dai contorni
illeciti e questo spiega l’iniziale ritrosia a sporgere querela.
In particolare, secondo l’insegnamento di questa Suprema Corte, in tema di
truffa, quando l’agente si è procurato un ingiusto profitto in danno di altri,
ponendo in essere artifici e raggiri che abbiano indotto in errore la vittima, il
delitto sussiste anche nell’ipotesi in cui il soggetto passivo abbia agito motivato
da fini illeciti, poiché in tal caso non viene meno l’oggettività giuridica della
fattispecie, costituita dall’esigenza di tutela del patrimonio altrui e della libertà
del consenso nei negozi patrimoniali (Sez. 1, n. 42890 del 27/09/2013, Paterlini,
Rv. 257296; v. anche, Sez. 2, n. 10792 del 23/01/2001, Delfino, Rv. 218673). A
fondamento di tale principio, si è rilevato come, anche sotto il profilo testuale, la
stessa norma di cui all’art. 640, secondo comma nr. 1) cod. pen., nel punire
quale forma aggravata di truffa, la condotta se commessa “con il pretesto di fare
esonerare taluno dal servizio militare”, ossia quando il soggetto passivo
persegua un obiettivo antigiuridico in relazione all’esenzione da servizio militare,
costituente un illecito, finisca per riconoscere l’irrilevanza, per la configurabilità
del reato, del motivo illecito – conosciuto e/o perseguito – dalla persona offesa.
4.3. Manifestamente infondato oltre che generico è il terzo motivo.
I giudici di merito hanno chiarito – con valutazione del tutto congrua e privi
di vizi logico-giuridici e, come tale, non rivisitabile in questa sede – che la
condotta truffaldina sia riconducibile a tutti gli imputati, in concorso tra loro, ivi
compresa Braidic Sabrina, avuto riguardo al contributo materiale morale dalla
stessa fornito alla commissione del reato, non potendosi

13

“restringere la

precedenti paragrafi 3.1. e 3.3. del considerato in diritto devono essere ripresi e

valutazione della condotta della Braidic (Sabrina) alla sola mera presenza fisica
all’atto della consegna della prima tranche di 100.000 in contanti da parte dello
Struna “, occorrendo invece valutare la prova nel suo insieme e considerare il
fatto nel suo complessivo sviluppo, da cui emerge l’inequivoco ed effettivo
apporto causale offerto dalla stessa alla realizzazione dell’evento.
Per il resto, rimane solo da evidenziare un profilo di assoluta genericità del
motivo di ricorso, caratterizzato esclusivamente da affermazioni apodittiche nelle
quali si lamenta la mancata presa in considerazione e la conseguente non

4.4. Manifestamente infondato oltre che aspecifico è il quarto motivo.
Va al riguardo premesso che secondo un consolidato e condivisibile
orientamento di questa Corte Suprema (per tutte, Sez. 4, n. 15497 del
22/02/2002, Palma, Rv. 221693; Sez. 6, n. 34521 del 27/06/2013, Ninivaggi,
Rv. 256133), è da ritenersi inammissibile per difetto di specificità il ricorso che come nella fattispecie – riproponga pedissequamente le censure dedotte come
motivi di appello (al più con l’aggiunta di frasi incidentali contenenti
contestazioni, meramente assertive ed apodittiche, della correttezza della
sentenza impugnata) senza prendere in considerazione, per confutarle, le
argomentazioni in virtù delle quali i motivi di appello non siano stati accolti.
Si è, infatti, osservato (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo e altri,
Rv. 254584) che la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica
argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si
realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt.
581 e 591 cod. proc. pen.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto
e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale
dell’atto di impugnazione è, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente, il
confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli
elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del
provvedimento il cui dispositivo si contesta).
Invero, il motivo di ricorso in cassazione è caratterizzato da una “duplice
specificità”: “… deve essere sì anch’esso conforme all’art. 581 cod. proc. pen.,
lett. c (e quindi contenere l’indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di
fatto che sorreggono ogni richiesta presentata al giudice dell’impugnazione); ma
quando “attacca” le ragioni che sorreggono la decisione deve, altresì,
contemporaneamente enucleare in modo specifico il vizio denunciato, in modo
che sia chiaramente sussumibile fra i tre, soli, previsti dall’art. 606 cod. proc.
pen., comma 1, lett. e), deducendo poi, altrettanto specificamente, le ragioni
della sua decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice del merito per

14

motivata valutazione di implicita irrilevanza di elementi addotti dalla difesa.

giungere alla deliberazione impugnata, sì da condurre a decisione differente”
(Sez. 6, n. 8700/2013, cit.).
Risulta, pertanto, evidente che, se il motivo di ricorso si limita a riprodurre il
motivo d’appello, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in
radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata
al provvedimento), posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento ora
formalmente “attaccato”, lungi dall’essere destinatario di specifica critica
argomentata, è di fatto del tutto ignorato. Nè tale forma di redazione del motivo

come implicita denuncia del vizio di omessa motivazione da parte del giudice
d’appello in ordine a quanto devolutogli nell’atto di impugnazione. Infatti,
quand’anche effettivamente il giudice d’appello abbia omesso una risposta,
comunque la mera riproduzione grafica del motivo d’appello condanna il motivo
di ricorso all’inammissibilità. E ciò per almeno due ragioni. È censura di merito.
Ma, soprattutto (il che vale anche per l’ipotesi delle censure in diritto contenute
nei motivi d’appello), non è mediata dalla necessaria specifica e argomentata
denuncia del vizio di omessa motivazione (e tanto più nel caso della motivazione
cosiddetta apparente che, a differenza della mancanza “grafica”, pretende la
dimostrazione della sua mera “apparenza” rispetto ai temi tempestivamente e
specificamente dedotti); denuncia che, come detto, è pure onerata dell’obbligo di
argomentare la decisività del vizio, tale da imporre diversa conclusione del caso.
Può, pertanto, affermarsi che “la riproduzione, totale o parziale, del motivo
d’appello ben può essere presente nel motivo di ricorso (ed in alcune circostanze
costituisce incombente essenziale dell’adempimento dell’onere di autosufficienza
del ricorso), ma solo quando ciò serva a “documentare” il vizio enunciato e
dedotto con autonoma specifica ed esaustiva argomentazione, che, ancora
indefettibilmente, si riferisce al provvedimento impugnato con il ricorso e con la
sua integrale motivazione si confronta. A ben vedere, si tratta dei principi
consolidati in materia di “motivazione per relazione” nei provvedimenti
giurisdizionali e che, con la mera sostituzione dei parametri della prima sentenza
con i motivi d’appello e della seconda sentenza con i motivi di ricorso per
cassazione, trovano piena applicazione anche in ordine agli atti di impugnazione”
(Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, cit.).
Nella fattispecie, i giudici di merito hanno chiarito – con valutazione del tutto
congrua e privi di vizi logico-giuridici e, come tale, non rivisitabile in questa sede
– come, nei confronti di Braidic Jovanka, non sia dubbia la ricorrenza del reato di
riciclaggio, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, reato compendiato
nell’avere sia consegnato assegni circolari nella consapevolezza della loro
provenienza illecita sia nell’essersi prestata, a mezzo dell’operata transazione

15

di ricorso (la riproduzione grafica del motivo d’appello) potrebbe essere invocata

immobiliare, mediante la formale intestazione a sé della villetta di Povoletto, ad
ostacolare l’individuazione della provenienza delittuosa del denaro e nel far
perdere definitivamente le tracce della sua origine illecita (il delitto di riciclaggio
si distingue da quello di ricettazione in relazione all’elemento materiale, che si
connota per l’idoneità ad ostacolare l’identificazione della provenienza del bene,
e all’elemento soggettivo, costituito dal dolo generico di trasformazione della
cosa per impedirne l’identificazione: cfr.,

ex multis,

Sez. 2, n. 48316 del

06/11/2015, Berlingeri, Rv. 265379).

ultimo, del rapporto parentale esistente con gli altri Braidic, appare corretta la
valutazione dei giudici di merito che hanno escluso che l’imputata si fosse
limitata ad una mera presenza fisica, del tutto inconsapevole, alla stipula
dell’atto notarile, non potendo la stessa non essere pienamente a conoscenza
che “l’operazione finale” di copertura – a cui la stessa era stata chiamata e che
aveva accettato – non poteva che essere svolta da lei, soggetto rimasto
formalmente estranea ad ogni precedente attività in relazione al reato di truffa e,
come tale, il più idoneo a cercare di “disarticolare” la complessiva attività illecita.
4.5. Manifestamente infondato è il quinto motivo.
Si rimanda al riguardo alle considerazioni svolte nel precedente paragrafo
3.2. del considerato in diritto.
4.6. Manifestamente infondati sono sia il primo che il secondo motivo
aggiunto.
Identica sanzione di inammissibilità “colpisce” i motivi aggiunti depositati in
data 02/03/2018.
Al riguardo, occorre preliminarmente osservare che eventuali deduzioni
potevano e potrebbero essere esaminate soltanto in quanto non costituenti
“motivo nuovo”: ciò in quanto, la facoltà conferita all’appellante ed al ricorrente
dall’art. 585 cod. proc. pen., comma 4, deve trovare necessario riferimento nei
motivi principali e rappresentare soltanto uno sviluppo o una migliore e più
dettagliata esposizione dei primi, anche per ragioni eventualmente non
evidenziate in precedenza, ma sempre collegabili ai capi e punti già dedotti (Sez.
1, n. 46950 del 02/11/2004, Sisic, Rv. 230181). Ne consegue che motivi nuovi
ammissibili sono soltanto quelli coi quali, a fondamento del petitum già proposto
nei motivi principali d’impugnazione, si alleghino ragioni “giuridiche” diverse da
quelle originarie, non potendo essere ammessa l’introduzione di censure nuove
in deroga ai termini tassativi entro i quali il ricorso va presentato.
I motivi nuovi proposti a sostegno dell’impugnazione devono, pertanto,
avere ad oggetto, a pena di inammissibilità, i capi o i punti della decisione
impugnata che sono stati enunciati nell’originario atto di impugnazione a norma

16

)

Sulla base dell’operata lettura complessiva degli accadimenti e, non da

dell’art. 581 cod. proc. pen., comma 1, lett. a) (Sez. 6, n. 73 del 21/09/2011,
dep. 2012, Aguì, Rv. 251780; nello stesso senso, Sez. 6, n. 27325 del
20/05/2008, D’Antino, Rv. 240367). Va, in proposito, ribadito (Sez. 2, n. 1417
del 11/10/2012, dep. 2013, P.C. in proc. Platamone e altro, Rv. 254301) la
facoltà del ricorrente di presentare “motivi nuovi” o “aggiunti” incontra il limite
del necessario riferimento ai motivi principali, dei quali i motivi ulteriori devono
rappresentare mero sviluppo o migliore esposizione, anche per ragioni
eventualmente non evidenziate, ma risultando sempre ricollegabili ai capi ed ai

nuovi” o “aggiunti” con i quali, a fondamento del petitum dei motivi principali, si
alleghino ragioni di carattere giuridico diverse o ulteriori, non anche quelli con i
quali si intenda allargare l’ambito del predetto petitum, introducendo censure
non tempestivamente formalizzate entro i termini per l’impugnazione.
Tutto ciò premesso e considerato, rileva il Collegio come i motivi aggiunti in
questione (il secondo caratterizzato anche da non consentite valutazioni in fatto,
tali da comportare un astratto e non consentito giudizio di merito) non si limitino
a reiterare, le censure dedotte nel ricorso principale che, come si è visto, sono
risultate inammissibili. Gli stessi, infatti, fuoriescono dal paradigma di cui l’art.
585, comma 4, cod. proc. pen., dal momento che i rispettivi oggetti non si
limitano ad argomentazioni nuove e diverse finalizzate a chiarire meglio eventualmente sotto altri aspetti o in una diversa prospettiva – il contenuto e la
portata di quelli già presentati.
Con gli stessi, infatti, attraverso un’impropria utilizzazione della norma
suddetta, intendono introdurre un “thema decidendum” totalmente diverso da
quello inizialmente devoluto, attività – come detto – non consentita (cfr.,

ex

multis, Sez. 6, n. 1660 del 29/11/1995, dep. 1996, Porletti, Rv. 203732).
5. Alla pronuncia consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei
ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma che, valutata la
causa di inammissibilità, si stima equo determinare in euro duemila ciascuno da
devolversi a favore della Cassa delle ammende nonché alla rifusione delle spese
del grado in favore della parte civile Struna Zvonko che liquida in euro 3.510,00
oltre accessori di legge

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila ciascuno a favore della Cassa
delle ammende nonché alla rifusione delle spese del grado in favore della parte
civile Struna Zvonko che liquida in euro 3.510,00 oltre accessori di legge.

17

punti già dedotti, con la conseguenza che sono ammissibili soltanto i “motivi

Così deciso il 20/03/2018.

ANDREA PELLEGRINO

cy(2) 17

A

Il Presidente
MENICO GALLO
E’ 0 (-e–Z_CL–

Il Consigliere estensore

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